gianni lucini
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domenica 23 ottobre 2011
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la rivolta contro le ingiustizie
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«Quello che ho cercato di cogliere con questo film è la frattura che si determina tra le generazioni in certe particolari condizioni della storia. Padri e figli che si parlano e non si capiscono più. Sconvolgimenti sociali (e politici) che scuotono dalle fondamenta ordini secolari costituiti, fin dentro le stesse famiglie» Così Pasquale Scimeca racconta nelle note di regia il suo film. Sarebbe riduttivo considerare Placido Rizzotto uno dei tanti lungometraggi che denunciano e raccontano gli abusi del potere mafioso. Non è questo il suo scopo. La sua intenzione è quella di raccontare le difficoltà della sfida lanciata al vecchio ordine economico e sociale dalla generazione che era uscita dalla Resistenza pensando che da quel momento tutto sarebbe cambiato.
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«Quello che ho cercato di cogliere con questo film è la frattura che si determina tra le generazioni in certe particolari condizioni della storia. Padri e figli che si parlano e non si capiscono più. Sconvolgimenti sociali (e politici) che scuotono dalle fondamenta ordini secolari costituiti, fin dentro le stesse famiglie» Così Pasquale Scimeca racconta nelle note di regia il suo film. Sarebbe riduttivo considerare Placido Rizzotto uno dei tanti lungometraggi che denunciano e raccontano gli abusi del potere mafioso. Non è questo il suo scopo. La sua intenzione è quella di raccontare le difficoltà della sfida lanciata al vecchio ordine economico e sociale dalla generazione che era uscita dalla Resistenza pensando che da quel momento tutto sarebbe cambiato. Da questo punto di vista la storia di Placido Rizzotto, un sindacalista che viene ucciso perchè la sua lotta contro le ingiustizie diventa una minaccia per chi detiene il potere, si svolge in Sicilia ma parla un linguaggio universale. Placido Rizzotto muore ieri in Sicilia come Chico Mendes muore oggi in Brasile. Scimeca lo dichiara in apertura del film parafrasando una celebre frase di Elio Vittorini e facendo comparire sullo schermo la scritta: «Ad evitare equivoci o fraintendimenti avverto che la Sicilia che inquadra e accompagna questo film è solo per avventura Sicilia; solo perchè il nome Sicilia suona meglio del nome Persia, Venezuela, Brasile o Messico...». Non è un film disperato anche se la conclusione con il giovane comunista Pio La Torre che ringrazia il giovane carabiniere Carlo Alberto Dalla Chiesa per aver catturato i responsabili della scomparsa di Placido Rizzotto sembra evocare una sorta di continuità nella scia di sangue che dal sindacalista di Corleone arriva fino ai giorni nostri. C’è un elemento di speranza nella narrazione filmica ed è la capacità di reazione di chi non vuole arrendersi. I carabinieri indagano, intuiscono, interrogano, ma senza l’intervento del manesco e taciturno padre del pastorello ucciso la rete dell’omertà reggerebbe. Il segreto della non impunità degli assassini è nella forza di questo imponente personaggio interpretato da Mario Rivera, il bassista degli Agricantus, il gruppo che ha scritto ed eseguito la colonna sonora. È lui che, dopo aver seppellito il figlio, affianca l’azione delle forze dell’ordine camminando tra le ombre di un paese e di una società che conosce bene. È lui che scova uno per uno i responsabili e li ammorbidisce prima di consegnarli alla legge. È lui il simbolo di una comunità che non si piega all’ineluttabilità della prepotenza dei ricchi e dei potenti.
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gianni lucini
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domenica 23 ottobre 2011
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un grande amore per la cultura orale
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La figura del vecchio Carmelo Rizzotto che si trasforma in cantastorie per raccontare con i suoi cartelloni dipinti le vicende del figlio Placido denuncia l’amore di Pasquale Scimeca per la cultura orale che ha nei cantastorie l’emblema più significativo: «...il cantastorie è un personaggio naif, nasce dall’epopea popolare, non è un intellettuale... era... l’esponente di una cultura considerata subalterna, direbbe Gramsci, ma importante per comprendere il pensiero del popolo. Il cantastorie usa le stesse metafore espressive del cinema...». Presentato per la prima volta al pubblico alla 57a Mostra Internazionale del cinema di Venezia nella sezione "Cinema del Presente" Placido Rizzotto viene accolto bene sia dal pubblico che dalla critica.
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La figura del vecchio Carmelo Rizzotto che si trasforma in cantastorie per raccontare con i suoi cartelloni dipinti le vicende del figlio Placido denuncia l’amore di Pasquale Scimeca per la cultura orale che ha nei cantastorie l’emblema più significativo: «...il cantastorie è un personaggio naif, nasce dall’epopea popolare, non è un intellettuale... era... l’esponente di una cultura considerata subalterna, direbbe Gramsci, ma importante per comprendere il pensiero del popolo. Il cantastorie usa le stesse metafore espressive del cinema...». Presentato per la prima volta al pubblico alla 57a Mostra Internazionale del cinema di Venezia nella sezione "Cinema del Presente" Placido Rizzotto viene accolto bene sia dal pubblico che dalla critica. Si aggiudica poi il Premio Fedic (Federazione Italiana dei Cineclub) e trionfa al Festival di Annecy partecipando anche alla 25a Edizione del prestigioso Toronto International Film Festival.
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zap78
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sabato 24 novembre 2012
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un film che merita di essere visto
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Un film che appassiona, un film vero che racconta una storia triste ma eroica, una storia passata ma sempre attuale.
La mafia è una piaga che infetta la Sicilia e il sindacalista Corleonese Placido Rizzotto, la combatte coraggiosamente invitando i contadini a non avere paura e ad occupare le terre espropriate.
A causa dei propri ideali Placido Rizzotto viene ucciso per diventare così un martire che ha difeso la propria terra dalla vigliaccheria di chi usa il male per il proprio tornaconto.
Questa vicenda appassiona per il suo realismo e fa riflettere mostrando come le cose non siano cambiate: la paura della gente, l'emarginazione delle donne, la solitudine di che lotta una guerra contro un nemico infimo e vigliacco, il coraggio di pochi carabinieri.
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Un film che appassiona, un film vero che racconta una storia triste ma eroica, una storia passata ma sempre attuale.
La mafia è una piaga che infetta la Sicilia e il sindacalista Corleonese Placido Rizzotto, la combatte coraggiosamente invitando i contadini a non avere paura e ad occupare le terre espropriate.
A causa dei propri ideali Placido Rizzotto viene ucciso per diventare così un martire che ha difeso la propria terra dalla vigliaccheria di chi usa il male per il proprio tornaconto.
Questa vicenda appassiona per il suo realismo e fa riflettere mostrando come le cose non siano cambiate: la paura della gente, l'emarginazione delle donne, la solitudine di che lotta una guerra contro un nemico infimo e vigliacco, il coraggio di pochi carabinieri.
Un film da vedere, per non dimenticare chi non ha smesso di credere in un mondo dove la libertà e l'uguaglianza sociale non siano un'utopia ma una cosa normale.
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