carloalberto
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martedì 14 luglio 2020
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il testamento di un artista
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Estremo, estetizzante, omaggio al cinema tout court, Veronika Voss è un film testamento, l’ultima disperata, angosciata, dichiarazione d’amore alla sua Arte, di Fassbinder, che nello stesso anno di produzione del film, 1982, seguirà la stessa sorte della protagonista, emulandone, finanche nelle modalità, il gesto fatale. In Veronika Voss c’è il preannunciarsi di un progetto segreto ed inconscio, che l’ispirazione artistica libera nella creazione filmica ed, al contempo, una riflessione acuta, drammaticamente vissuta fin dentro le viscere ed il sangue dell’autore, sul ruolo dell’Arte nella società contemporanea, nell’eterna dialettica con il Potere, la cricca dei criminali della clinica neurologica, e le Masse, simbolicamente e non a caso rappresentate dal giornalista sportivo.
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Estremo, estetizzante, omaggio al cinema tout court, Veronika Voss è un film testamento, l’ultima disperata, angosciata, dichiarazione d’amore alla sua Arte, di Fassbinder, che nello stesso anno di produzione del film, 1982, seguirà la stessa sorte della protagonista, emulandone, finanche nelle modalità, il gesto fatale. In Veronika Voss c’è il preannunciarsi di un progetto segreto ed inconscio, che l’ispirazione artistica libera nella creazione filmica ed, al contempo, una riflessione acuta, drammaticamente vissuta fin dentro le viscere ed il sangue dell’autore, sul ruolo dell’Arte nella società contemporanea, nell’eterna dialettica con il Potere, la cricca dei criminali della clinica neurologica, e le Masse, simbolicamente e non a caso rappresentate dal giornalista sportivo. L’Arte, sotto le spoglie della diva di un tempo, interpretata magnificamente da Rosel Zech, abbandonata a sé stessa, alla ricerca spasmodica ed isterica di un riconoscimento sociale che le restituisca un’identità ed un ruolo perduto nel mondo postbellico, sotto una pioggia scrosciante, in una delle prime memorabili scene, viene soccorsa da un passante, l’anonimo cittadino, l’uomo qualunque della nuova società, che, ignaro di chi ella sia e cosa rappresenti, le offre il riparo di un ombrello. E’ l’illusoria protezione di un porto sicuro che attrae e repelle al naufrago nel mare in tempesta del parossismo artistico. La Mediocrità, d’altra parte, non è in grado di accogliere, né di comprendere, un’anima così grande, persa nella nostalgica farneticazione di un mondo mai esistito così come immaginato, in cui, in realtà, l’asservimento complice del Cinema al Potere ha creato i presupposti per la macellazione in serie dei campi di sterminio. Il giornalista dappoco, che scrive poesie di nascosto, vedrà nella grande attrice del passato l’occasione di riscatto della sua vita, da vivere fino in fondo, per sfuggire alla frustrazione di una esistenza squallida e di un mestiere scelto per ripiego. I due, nel fraintendimento delle reciproche aspettative, rappresentano l’impossibile incontro tra l’Arte e le Masse, due mondi divisi da un muro insormontabile.L’Arte finisce succube dei carnefici, i cinici profittatori, i sopravvissuti del nazismo ancora all’opera che si sono rifatti una verginità con nuove rispettabili professioni sotto l’ala protettrice dell’americano, il soldato di colore che arrotola sigarette nel biancore accecante degli ambienti asettici del laboratorio-cucina, dove l’alchimia tecnologica sperimenta nuove forme di controllo psichico spacciandole per innocui e naturali nutrimenti dello spirito, metaforicamente simboleggiati dal latte nel suo candore di puro alimento infantile. L’uomo qualunque non ha la forza di contrastare il Male, non riuscirà a strappare l’Arte al suo destino, potrà assistervi impotente, rimanerne sconvolto, ma subito dopo tornerà al tran tran del suo lavoro. Il suo è stato un sogno, è entrato come tutti nella fabbrica dei sogni, ma dall’unica porta obbligata per le masse, quella dello spettatore falsamente partecipe alla tragedia e perciò indifferente. Il cinema è un gioco di luci e di ombre, dice un personaggio, e le luci sono le protagoniste di questo film, scintillanti nei flashback, per abbagliare e nascondere il vero, oppure, nel contrasto con l’oscurità della notte, per rendere vivi e palpitanti gli alberi nel parco. L’utilizzo dell’iride per staccare da una scena, introducendone un’altra, è un chiaro omaggio al cinema muto di David Griffith. Il personaggio di Veronika Voss richiama alla mente la Norma Desmond di Viale del tramonto di Wilder ed, in alcuni momenti, la Lola dell’Angelo Azzurro di von Sternberg, ma con esiti opposti, perché l’Arte ormai ha perso il suo potere seduttivo e non conduce più alla pazzia, traviando l’uomo normale, ma, priva di fascinazione ed incapace di confrontarsi con la routine della banale quotidianità delle Masse che disprezza, è attratta soltanto dagli assoluti, dal Male personificato nella banda degli ex nazisti, mentre nella piccola stanza in cui è confinata dal Potere, risuona l’altro Assoluto, con le campane della messa officiata dal papa a San Pietro. Morta l’Arte, il travet della metropoli globalizzata si volta dall’altra parte, china il capo e ritorna, novello servo della gleba, al vomere assegnatogli dal sistema. L’Arte, tra l’impossibilità di comunicare con le Masse ed il preannunciarsi di un nuovo asservimento al Potere, sceglie la morte, come coerentemente farà lo stesso Fassbinder.
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stefano capasso
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domenica 4 settembre 2016
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attaccamenti mortali
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Veronika Voss è una attrice in declino. Ha avuto i suoi fasti durante il nazismo ma ora nel 1955 vive a Monaco di Baviera e non lavora più. Nel suo sofferto girovagare incontra un giornalista che dapprima si incuriosisce al suo caso e poi se ne innamora. Veronika è una tossicomane, e il suo medico di fiducia sta lavorando alle sue spalle per finirla e prendere possesso dei suoi beni residui. Invano il giornalista tenterà di salvarla.
Film in bianco e nero decisamente drammatico questo di Fassbinder che affronta diversi temi, la difficile fase della perdita di importanza la necessità di essere amati e direi su tutto il tema dell’attaccamento. Ognuno dei protagonisti ha sviluppato o sviluppato un forte attaccamento a cose del passato e o situazioni presenti, attaccamento che in molti casi finisce per essere mortale.
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Veronika Voss è una attrice in declino. Ha avuto i suoi fasti durante il nazismo ma ora nel 1955 vive a Monaco di Baviera e non lavora più. Nel suo sofferto girovagare incontra un giornalista che dapprima si incuriosisce al suo caso e poi se ne innamora. Veronika è una tossicomane, e il suo medico di fiducia sta lavorando alle sue spalle per finirla e prendere possesso dei suoi beni residui. Invano il giornalista tenterà di salvarla.
Film in bianco e nero decisamente drammatico questo di Fassbinder che affronta diversi temi, la difficile fase della perdita di importanza la necessità di essere amati e direi su tutto il tema dell’attaccamento. Ognuno dei protagonisti ha sviluppato o sviluppato un forte attaccamento a cose del passato e o situazioni presenti, attaccamento che in molti casi finisce per essere mortale.
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dounia
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giovedì 10 novembre 2011
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i rimpianti non aiutano a vivere
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E' il 1955. A Monaco di Baviera un'attrice è invecchiata e non vive più gli anni del successo. La si vede triste sotto la pioggia mentre incontra un giornalista che l'accompagna, con l'ombrello, alla fermata dell'autobus, è poi in un cinema mentre guarda un suo film, ma è delusa dalla realtà ed esce dalla sala perché non riesce a vederlo fino alla fine. In simile scena è ripreso anche il regista. La casa in cui vive ora è una clinica psichiatrica dove la dr.ssa che l'ha in cura, in realtà la sta uccidendo usando la morfina. L'attrice è succube del fatto, rimpiange la sua dimora e invita lì il giornalista che fa l'amore con lei, ma vede che la donna sta male. Va a parlare con la dr.ssa e subito crede di aiutare l'attrice, ma poi scopre che ciò non avviene e lentamente tutto gli compare chiaro.
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E' il 1955. A Monaco di Baviera un'attrice è invecchiata e non vive più gli anni del successo. La si vede triste sotto la pioggia mentre incontra un giornalista che l'accompagna, con l'ombrello, alla fermata dell'autobus, è poi in un cinema mentre guarda un suo film, ma è delusa dalla realtà ed esce dalla sala perché non riesce a vederlo fino alla fine. In simile scena è ripreso anche il regista. La casa in cui vive ora è una clinica psichiatrica dove la dr.ssa che l'ha in cura, in realtà la sta uccidendo usando la morfina. L'attrice è succube del fatto, rimpiange la sua dimora e invita lì il giornalista che fa l'amore con lei, ma vede che la donna sta male. Va a parlare con la dr.ssa e subito crede di aiutare l'attrice, ma poi scopre che ciò non avviene e lentamente tutto gli compare chiaro. L'attrice tenta di girare una piccola parte in un film, ma scorda troppe volte le parole che deve dire. Sono presenti anche il giornalista e il marito che dà per scontato il fatto e spiega all'uomo che l'ha conosciuta ultimamente com'è andata la storia. Il giornalista è interessato alla figura della donna e, aiutato da una sua amica, vuole liberarla dalla "prigione" in cui si trova, ma viene uccisa dopo un primo incontro con la dr.ssa dove si presenta come donna da curare e poi è scoperta. Viene fatta una festa in onore dell'attrice con uno scopo preciso e la donna è posta al centro dell'attenzione come vorrebbe essere nella realtà di tutti i giorni. L'attrice canta in modo stupendo una canzone con belle parole e bella musica. Il giornalista vede che non può più far niente per aiutare la donna come credeva ed è costretto a "gettare la spugna". Si sente impotente di fronte a un mondo deciso ad agire in un modo che a lui non piace. La vita è così. La realtà dei fatti spesso si presenta in una maniera che all'uomo non soddisfa ed è costretto, per forza di cose, ad accettarla. La forma della costrizione non è certo un modo di vivere demoocratico. Il passato, in tanti casi, non è solo il rimpianto della gioventù, ma anche quello di tanti momenti positivi vissuti. L'essere umano, quando si sente finito, prova un senso forte di malinconia ed è bravo quando sorride fino all'ultimo. Alcune persone riescono a costruirsi una vita in tarda età o perché sono fortunate o perché hanno la forza di reagire all'età che avanza. Il presente, comunque, deve essere vissuto e i rimpianti del passato non aiutano certo a farlo.
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fedeleto
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martedì 22 giugno 2010
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veronika voss ,la morte dell'immagine
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Un bianco e nero spettrale,un gioco di luci affascinante,ed una storia commovente.Tutto questo e' VERONIKA VOSS,film con cui fassbinder chiude la quadrilogia femminile(il matrimonio di maria braun,lili marlen,lola,vernoika voss) e sicuramente questo epilogo e' forse il piu' drammatico e intenso ,ove la scenografia e la fotografia(rigorosamente in bianco e nero) da un tocco di misticita' e fascino che lo rende eccelso.Fassbinder in questa pellicola analizza la tematica dell'apparenza ove un'affermata attrice dei tempi del nazismo si ritrova dopo la guerra a vivere una situazione di tormento e frustazione che la porta ad essere tossicomane,e trovando un giornalista(eccezionale l'incontro sotto la pioggia) se ne innamorera' poiche' egli non era attratto dall'immagine ma dalla sua persona.
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Un bianco e nero spettrale,un gioco di luci affascinante,ed una storia commovente.Tutto questo e' VERONIKA VOSS,film con cui fassbinder chiude la quadrilogia femminile(il matrimonio di maria braun,lili marlen,lola,vernoika voss) e sicuramente questo epilogo e' forse il piu' drammatico e intenso ,ove la scenografia e la fotografia(rigorosamente in bianco e nero) da un tocco di misticita' e fascino che lo rende eccelso.Fassbinder in questa pellicola analizza la tematica dell'apparenza ove un'affermata attrice dei tempi del nazismo si ritrova dopo la guerra a vivere una situazione di tormento e frustazione che la porta ad essere tossicomane,e trovando un giornalista(eccezionale l'incontro sotto la pioggia) se ne innamorera' poiche' egli non era attratto dall'immagine ma dalla sua persona.Ma il seguito della storia rappresenta la discesa nell'abisso del tormento in cui ogni cosa avvolge il tutto trasformandolo in autolesionismo.Fassbinder si trova a suo agio nel bianco e nero(la spiegazione risiede nel fatto che voleva immortalare l'attrice nell'epoca del nazismo e dunque la pellicola doveva ricordare i tempi passati) e la fotografia e' letteralmente unica (giochi di luce ed ombre) e l'attrice principale incarna alla perfezione il disagio esistenziale che prova la donna.Ma la tematica principale che fassbinder mette in risalto e' l'immagine(veronika appena vede se stessa nelle foto cambia faccia non riesce a parlare quasi si trovasse a disagio con se stessa simboleggiata dalla sua immagine) e cerca nella morfina un modo per non pensare,ove i tormenti cedono almeno apparentemente ,ma la sua immagine,la sua persona esistono e forse hanno sdoppiato il suo io,l'unico modo per rimediare sara' la morte non solo dell'immagine ma del suo stesso io con il suicidio.Film estremamente profondo dove l'apparenza si fonde in una pellicola oscura e avvolgente che non lascia esito positivo per il nichilismo esistenziale.
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giorgio
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domenica 25 gennaio 2009
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sulla falsariga del 'salò' di pasolini
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Mi rendo conto di avventurarmi su un terreno minato, ma io credo che un film come "Veronika Voss' di Rainer Fassinder non sarebbe stato possibile senza prima un'operazione come "Salò" di Pasolini. La 'vulgata' critica vuole che con Salò Pasolini abbia inteso rendere un'epopea del SADO-MASOCHISMO, in conformità ai suoi 'scritti corsari', ovvero come allegoria della violenza e dell'alienazione strisciante non solo nella sessualità ma, più in generale, nella vita dell'uomo contemporaneo. Ebbene, Veronika Voss, diva UFA, che si identifica nel destino dell’eroina di un suo film, “veleno insidioso”, seguendone le stesse orme nell'abisso della morfina (ricordiamo, però, il precedente letterario di ‘Anna Karenina’, morfinomane per … amore!), ci sono tutti questi requisiti: un'icona SADO-MASOCHISTICA per eccellenza, che veicola verso le masse, attraverso il cinema UFA, valori e miti di alienazione e sopraffazione a sostegno dell'egemonia nazista e borghese, sia pure dietro la paccottiglia dello sfarzo e dell'eleganza.
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Mi rendo conto di avventurarmi su un terreno minato, ma io credo che un film come "Veronika Voss' di Rainer Fassinder non sarebbe stato possibile senza prima un'operazione come "Salò" di Pasolini. La 'vulgata' critica vuole che con Salò Pasolini abbia inteso rendere un'epopea del SADO-MASOCHISMO, in conformità ai suoi 'scritti corsari', ovvero come allegoria della violenza e dell'alienazione strisciante non solo nella sessualità ma, più in generale, nella vita dell'uomo contemporaneo. Ebbene, Veronika Voss, diva UFA, che si identifica nel destino dell’eroina di un suo film, “veleno insidioso”, seguendone le stesse orme nell'abisso della morfina (ricordiamo, però, il precedente letterario di ‘Anna Karenina’, morfinomane per … amore!), ci sono tutti questi requisiti: un'icona SADO-MASOCHISTICA per eccellenza, che veicola verso le masse, attraverso il cinema UFA, valori e miti di alienazione e sopraffazione a sostegno dell'egemonia nazista e borghese, sia pure dietro la paccottiglia dello sfarzo e dell'eleganza. Secondo me, questa lettura è chiarissima nella scena iniziale, giustamente famosa, che ritrae Veronika al cinema insieme al suo pubblico, in una fotografia di ideale immedesimazione alla proiezione del suo film "veleno insidioso"; la frase che, in "veleno", Veronika lancia alla sua amica-carnefice "adesso anche la mia morte ti appartiene!" sarà la frase di addio che Veronika lancerà verso la Dr.ssa Kaz in un culmine di ironia tragica. La CONTEMPORANEITA’ DELL'ALIENAZIONE è materializzata nel'gabinetto' della Dr.ssa Kaz, il quale, vera "stanza della tortura", novello dr. kaligaris (e simile alle "stanze" di Salò) è l’ideale continuità nel dopo-guerra della sopraffazione nazista dei 'lager': dove Veronika, insieme ai coniugi ebrei, vive le proprie crisi di astinenza che la porteranno alla morte. Verso la mitologia sado-masochistica UFA, però, Fassbinder (a differenza di Pasolini in “Salò”) marca la mediazione interpretativa, dal momento che dissemina nel film una serie di indizi e di elementi che suggeriscono al pubblico il distacco del regista dal mondo di ambiguità che rappresenta. In questo senso, cioè, Fassbinder gioca la carta dello “straniamento” e del distacco critico, secondo una tecnica di pretta origine brechtiana, in modo che il pubblico, davanti agli eventi, non cada nella duplice reazione (ACRITICA) della 'fascinazione' o del ‘mero disgusto’. La parabola del giornalista Robert è esemplare: cade nella rete seduttiva di Veronika, cedendo all'illusione di 'salvare' Veronika, con le proprie forze, senza capire che dietro Veronika c'è un intero 'sistema di alienazione', e che Veronika è contemporaneamente vittima e pedina dello stesso 'sistema'. E ad ulteriore riprova di questo, si può notare il ‘taglio’ interpretativo che Rose Zech conferisce a Veronika: una marionetta a scatti, priva di pensieri e di autonomia, che addirittura ‘recita’ alla vigilia della morte; capisce che la Dr.ssa Kaz la sta uccidendo, eppure si trucca, si guarda allo specchio come prima di andare a girare una delle sue scene-madri: anche qui non è la persona-Veronika, ma è il personaggio di “Veleno insidioso” (al punto che ne ripete le battute poco prima di morire). Da ultimo, veramente inquietante il sottofondo sonoro che ritrae l’agonia di Veronika: le onde radio che trasmettono ‘jazz’ e la benedizione ‘urbi et orbi’ del papa; come a dire: “qui c’è un Auschwitz annidata nelle pieghe del mondo consumista".
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paride86
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giovedì 2 ottobre 2008
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germania in bianco e nero
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Quarto film di Fassbinder sulla Germania postnazista raccontata attraverso figure di donne. Veronika Voss è un'icona del passato, schiava della morfina e padrona di nulla, neanche di se stessa. Sicuramente è l'immagine più disperata fra le quattro, ma anche la più fredda e distaccata dal suo destino.
Ad accentuare questa sensazione c'è anche il bianco e nero traslucido usato dal regista, che stavolta dal melodramma vira drasticamente al noir con atmosfere hitchcockiane. Eppure, secondo me, qualcosa non ha funzionato del tutto: il personaggio (teoricamente) principale, cioè Veronika, è stato approfondito ben poco.
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leonardo masieri
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lunedì 24 marzo 2008
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noir alla tedesca?
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Catalogare questo film come noir è inesatto, il bianco e nero rende il gioco di luce molto accentuato. La camera da letto, la casa-prigione, la sala da pranzo, tutto il peggio dell'esistenza è bianco come il latte, tanto candido essere contrasto rispetto a chi ci vive. Veronika, ex stella del cinema muto tedesco, dopo una stagione di gloria, vive il passaggio da donna-star a donna-sola con la fragilità tipica delle donne che soltanto all'apparenza sembrano forti. E' un film sulla fragilità, sulla soverchiazione del piu' forte ( piu' cattivo ) sul piu' debole. I deboli soccombono, non solo Veronika, ma anche Robert il suo spasimante giornalista, cosi' i vecchietti ex internati di Treblinka oppure la stessa fidanzata di Robert,compiacente del proprio amore sottratto dalla famosa e luminosa ( solo nell' apparenza ) Veronika Voss.
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Catalogare questo film come noir è inesatto, il bianco e nero rende il gioco di luce molto accentuato. La camera da letto, la casa-prigione, la sala da pranzo, tutto il peggio dell'esistenza è bianco come il latte, tanto candido essere contrasto rispetto a chi ci vive. Veronika, ex stella del cinema muto tedesco, dopo una stagione di gloria, vive il passaggio da donna-star a donna-sola con la fragilità tipica delle donne che soltanto all'apparenza sembrano forti. E' un film sulla fragilità, sulla soverchiazione del piu' forte ( piu' cattivo ) sul piu' debole. I deboli soccombono, non solo Veronika, ma anche Robert il suo spasimante giornalista, cosi' i vecchietti ex internati di Treblinka oppure la stessa fidanzata di Robert,compiacente del proprio amore sottratto dalla famosa e luminosa ( solo nell' apparenza ) Veronika Voss.
Menzione particolare per gli splendidi abiti di scena. Rosel Zech veste veramente come le dive di un cinema che non esiste piu'.
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sergio pensato
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domenica 9 settembre 2007
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il morto è ancora nell'armadio
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La coscienza di Fassbinder, mentre dipingeva il suo affresco sulla Germania contemporanea, si preoccupava poco della Storia: il suo è un cinema di denuncia, non di analisi e mi sembra fuori luogo rimproverargli di non aver ricostruito efficacemente il clima del Muto. Fassbinder abbozza il ruolo dell'attrice ai tempi del suo splendore ricorrendo piuttosto alla memoria, che contrasta con il fantasma presente. Ma quello che gli preme dirci è che successo è caduta nella vita di Veronika sono due facce complementari di un unico sistema: utile o inutile, il suo ruolo consiste nell'animare l'immaginario collettivo per condurlo ad una visione di regime. Fassbinder certo usa molto la citazione visiva, ma molte sue suggestioni sono funzionali ad un gioco di specchi tra realtà e convenzioni.
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La coscienza di Fassbinder, mentre dipingeva il suo affresco sulla Germania contemporanea, si preoccupava poco della Storia: il suo è un cinema di denuncia, non di analisi e mi sembra fuori luogo rimproverargli di non aver ricostruito efficacemente il clima del Muto. Fassbinder abbozza il ruolo dell'attrice ai tempi del suo splendore ricorrendo piuttosto alla memoria, che contrasta con il fantasma presente. Ma quello che gli preme dirci è che successo è caduta nella vita di Veronika sono due facce complementari di un unico sistema: utile o inutile, il suo ruolo consiste nell'animare l'immaginario collettivo per condurlo ad una visione di regime. Fassbinder certo usa molto la citazione visiva, ma molte sue suggestioni sono funzionali ad un gioco di specchi tra realtà e convenzioni. Un cronista, insoddisfatto della vita e nauseato del lavoro, trova nella disperazione esistenziale il coraggio di attingere alla verità. Svolgendo l'inchiesta, entra nella cripta di una società che rimuove il passato, ma perpetua la propria miseria. Criptico, claustrofobico, il film si svolge tra sale, corridoi, celle di clausura; un potere sovrumano vi incista la cattiva coscienza, assimilando i sepolti vivi pur di mantenere(per dirla con De André)"una pace terrificante". Così la società del benessere cancella (facendo il vuoto attorno alla coppia di ebrei o solidarizzando con gli assassini di Veronika) alla radice lo scandalo, ma prosegue a lucrare profitti. Quando apprende questa verità finale, il giornalista non lotta più. Qualche critico ha confuso il mezzo con il fine, rimproverando a Fassbinder di essere estetizzante.
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