Irene Bignardi
Chissà perché la bravissima Patricia Highsmith, cupa regina del noir e anima molto tormentata, non fu contenta, a suo tempo, nel 1977, così si lesse all'uscita del film di Wim Wenders, della versione che l'allora molto giovane regista tedesco aveva fatto del suo romanzo, Ripley's Game (1974), e del personaggio di Ripley. Reazione inesplicabile, o spiegabile con la visione idiosincratica di tanti autori letterari di fronte alla riduzione cinematografica delle loro invenzioni: perché non solo L'amico americano è uno dei film più interessanti e meglio riusciti di Wenders (seguivano a ruota i più sperimentali e liberi Alice nelle città, Falso movimento, Nel corso del tempo), ma anche perché, assieme a Sconosciuti in treno di Hitchcock, ha dato al mondo di ambiguità e di profonda corruzione morale immaginato dalla scrittrice americana l'immagine più paradossalmente, anche se non letteralmente, fedele, e ha costruito attorno alla storia della Highsmith un'atmosfera insieme originale e coerente. [...]
di Irene Bignardi, articolo completo (2305 caratteri spazi inclusi) su 2008