monia raffi
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giovedì 2 aprile 2009
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il cinema dei momenti
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Quando parti dall’idea che un film ti piace c’ è poco da fare, lo spirito critico va a farsi benedire e ti ritrovi a guardare le immagini con la faccia estasiata, pensando che non esista modo migliore per mostrare quello che stai vedendo. Ma quando si tratta di Godard, sembra proprio che non si possa far altro che guardare questi piani e sentire il loro potere, più delle parole più di qualsiasi discorso fatto a priori. Godard si guarda e poi si discute e si riflette nell’idea che il cinema sia una forma d’arte semplice, che spesso dimentichiamo essere tale. Bande à Part è un film di momenti. La storia della rapina fa semplicemente da sfondo ad un lungometraggio che si basa sugli istanti apparentemente banali della vita quotidiana.
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Quando parti dall’idea che un film ti piace c’ è poco da fare, lo spirito critico va a farsi benedire e ti ritrovi a guardare le immagini con la faccia estasiata, pensando che non esista modo migliore per mostrare quello che stai vedendo. Ma quando si tratta di Godard, sembra proprio che non si possa far altro che guardare questi piani e sentire il loro potere, più delle parole più di qualsiasi discorso fatto a priori. Godard si guarda e poi si discute e si riflette nell’idea che il cinema sia una forma d’arte semplice, che spesso dimentichiamo essere tale. Bande à Part è un film di momenti. La storia della rapina fa semplicemente da sfondo ad un lungometraggio che si basa sugli istanti apparentemente banali della vita quotidiana. E’ la forza di Godard prendere i momenti morti dal punto di vista dell’intreccio e da questi generare il film. Forse proprio per quella concezione secondo la quale il cinema deve avvicinarsi alla vita. Franz, Odile, Arthur tre ragazzi che fanno comunella divertendosi in una Parigi avvolta dalla nebbia (il titolo viene proprio dal francese faire band à part che corrisponde all’italiano fare comunella). La vita diventa così una commedia beffarda e spensierata: la lezione d’inglese che nessuno segue, il pomeriggio al bar fra le battute e i dispetti infantili. Ma è proprio questo a diventare interessante, come la famosa sequenza del balletto, dove tra un passo e l’altro la voce narrante dello stesso Godard ci svela i pensieri dei tre amici. O la decisione del minuto di silenzio, dove non sono soltanto Franz, Odile e Arthur a stare zitti ma è proprio l’audio ad essere staccato per una trentina di secondi. Ma poi i primi piani ai volti di Odile, gli sguardi carichi di tristezza ci trasportano in un’altra dimensione della vita, quella in cui si accantonano i giochi per dare spazio ai pensieri e alle riflessioni; come l’inquadratura fissa a Odile che canta all’interno del metrò, quegli sguardi persi nel vuoto e il treno che va, da dove, fuori, s’ intravede come un miraggio la parola liberté che è, alla fine, tutto quello che vagando andiamo a cercare. Gli squarci di una Parigi invernale, che fanno parte del film e della storia così come ne fanno parte i personaggi, i boulevard notturni e le sponde della Senna con i suoi bouquinistes dove comprare quei libretti di serie b che possono dare sempre un’idea. Quell’idea che lo stesso Godard trae da Fool’ s Gold di Dolores Hitchens per concepire questo film. Ma il tempo scorre e il colpo va messo a segno; e come nei polizieschi che si rispettino bisogna aspettare che faccia notte. E allora l’ultima trovata della combriccola l’indimenticabile corsa all’interno del Louvre per tentare di battere il record mondiale di Jimmy Johnson. Ci riusciranno regalandoci una delle sequenze più assurde, esilaranti e memorabili della storia del cinema. Questi momenti hanno trovato posto in molte scene di altri film, sono state citate o meglio ancora semplicemente riproposte e a loro volta sono diventati dei veri e propri cult. Forse proprio perché Band à part è quel cinema che si mescola alla vita, dove l’istante apparentemente vuoto si trasforma in indelebile ricordo.
MONIA RAFFI
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lunedì 11 novembre 2013
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due amici, parigi e lei... odile
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Davvero splendido questo capolavoro di Jean-Luc Godard che viene definito come una delle massime espressioni della Nouvelle Vague, imperdibile. Parigi è lo sfondo magico della storia, ma qua c'è qualcosa in più: l'ambientazione fredda autunnale crea un alone malinconico nel quale tuttavia i protagonisti si muovono con ardore e spensieratezza, animati dallo spirito giovanile e dalle nuove tendenze degli anni '60. Una storia semplice: due ragazzi, Franz (Sami Frey) e Arthur (Claude Brasseur), amici e appassionati di cinema, incontrano Odile (Anna Karina), giovane ragazza bella e ingenua. Dei due Franz è il più elegante, con impermeabile e cappello, mentre Arthur è più sportivo, meno intellettuale ma più spiritoso, sempre pronto ad una battuta e un sorriso.
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Davvero splendido questo capolavoro di Jean-Luc Godard che viene definito come una delle massime espressioni della Nouvelle Vague, imperdibile. Parigi è lo sfondo magico della storia, ma qua c'è qualcosa in più: l'ambientazione fredda autunnale crea un alone malinconico nel quale tuttavia i protagonisti si muovono con ardore e spensieratezza, animati dallo spirito giovanile e dalle nuove tendenze degli anni '60. Una storia semplice: due ragazzi, Franz (Sami Frey) e Arthur (Claude Brasseur), amici e appassionati di cinema, incontrano Odile (Anna Karina), giovane ragazza bella e ingenua. Dei due Franz è il più elegante, con impermeabile e cappello, mentre Arthur è più sportivo, meno intellettuale ma più spiritoso, sempre pronto ad una battuta e un sorriso. C'è da subito molta armonia fra i tre, si divertono un sacco a girare per Parigi con la Simca cabriolet malandata di Arthur, bevono Coca-Cola nei bistrot e sognano... I soldi però sono pochi e una confidenza di Odile anima in loro una malsana idea di furto nella casa della zia di Odile, dove lei abita. Pare infatti che ci sia una grossa quantità di denaro non custodita. Dapprima è solo un'idea bizzarra e ne parlano quasi scherzando, poi si concretizza anche a causa di uno zio di Arthur che reclama soldi, forse prestati da tempo. Comunque non rinunciano ai pomeriggi in allegria, sognando una Ferrari "per correre ad Indianapolis" e viaggi in posti esotici, trovati magari in un buon libro letto da Franz. Odile si sente attratta da tutti e due ma cede ad Arthur, il più allegro e meno complicato, intraprendente e più simpatico. Bellissima la scena dove i tre improvvisano un ballo nel bistrot al ritmo di un disco appena arrivato nel juke-box. Franz comunque continua a vedersi con Odile, l'amicizia non ne ha risentito. Tra un quotidiano e l'altro leggono di un turista americano che ha visitato il Museo del Louvre in 9 minuti e 45 secondi, loro trovano l'idea fantastica e provano a fare un "tempo" migliore. Si addentrano nel Louvre e corrono a perdifiato tra le sale e i corridoi immensi tra l'incredulità dei visitatori. Quando escono hanno vinto, sono riusciti a "vedere" il Louvre in 9 minuti e 43 secondi! Due secondi in meno, tanta felicità in più... Questa splendida sequenza è citata da Bertolucci in "The Dreamers", dove i protagonisti Eva Green, Louis Garrel e Michael Pitt imitano in tutto e per tutto Odile, Arthur e Franz. Una divertente scena la propongono Franz e Arthur a inizio film, quando mimano per strada, lungo un boulevard, l'agguato che Pat Garrett tese a Billy Kid uccidendolo. Claude Brasseur qua è superlativo. Invece sono maldestri, impreparati e goffi quando effettuano la rapina in casa della zia di Odile, che si pente troppo tardi di avere parlato di quei maledetti soldi ai due amici. Ma non c'è più tempo per rimediare, loro vogliono il denaro e lei li deve aiutare. Non fila tutto liscio, Arthur è il più sfortunato, Odile e Franz andranno lontano insieme scoprendo di essere innamorati, scegliendo come meta un luogo caldo fuori dall'Europa, abbandonando Parigi che in fin dei conti li aveva sempre amati. La voce "fuori campo" che narra la vicenda (nella versione originale la voce è proprio di Godard) è un'idea vincente perché permette dialoghi essenziali tra i protagonisti. Nella versione originale si apprezza la voce delicata di Anna Karina, splendida quando presta la sue calze ad Arthur e Franz per coprirsi i volti durante il colpo. Un film unico e indimenticabile. -di "Joss" -
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carloalberto
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martedì 15 giugno 2021
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sprazzi di genialità
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Bande a part risulta, a tratti, noioso e forse troppo lungo rispetto all’esile trama, ma è illuminato da sprazzi di genialità cinematografica assoluta. Memorabili e a tutt’oggi sorprendenti, dopo aver influenzato generazioni di cineasti, la sequenza della corsa sfrenata nel Louvre, a ridar vita alle cose morte creando lo scompiglio tra i morti che le ammirano compunti, la scena del minuto di silenzio, che, annunciato da un personaggio che dice come possa sembrare interminabile un minuto di silenzio, si tramuta immediatamente, in meta cinema, nella percezione dello spettatore, che non può che concordare con quell’affermazione, la sequenza girata nella metro, quando Anna Karina, guardando in camera, inizia a cantare, mentre scorrono le immagini a commento straziante delle parole del testo della canzone e quella del balletto improvvisato nel bar, che, interrompendo la narrazione, mostra gli attori che giocano mentre recitano ed al contempo i tre personaggi che giocano alla vita e giocando si incontrano, si perdono, muoiono.
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Bande a part risulta, a tratti, noioso e forse troppo lungo rispetto all’esile trama, ma è illuminato da sprazzi di genialità cinematografica assoluta. Memorabili e a tutt’oggi sorprendenti, dopo aver influenzato generazioni di cineasti, la sequenza della corsa sfrenata nel Louvre, a ridar vita alle cose morte creando lo scompiglio tra i morti che le ammirano compunti, la scena del minuto di silenzio, che, annunciato da un personaggio che dice come possa sembrare interminabile un minuto di silenzio, si tramuta immediatamente, in meta cinema, nella percezione dello spettatore, che non può che concordare con quell’affermazione, la sequenza girata nella metro, quando Anna Karina, guardando in camera, inizia a cantare, mentre scorrono le immagini a commento straziante delle parole del testo della canzone e quella del balletto improvvisato nel bar, che, interrompendo la narrazione, mostra gli attori che giocano mentre recitano ed al contempo i tre personaggi che giocano alla vita e giocando si incontrano, si perdono, muoiono. La voce di Godard, come quella di Welles nel L’orgoglio degli Amberson, accompagna, come un cantore omerico, le gesta dei suoi eroi, anime smarrite in una Parigi plumbea dove nel grigio dominante spicca il biancore cadaverico del Louvre. Il film è una parodia di un noir, è la parodia di un drammatico, che si trasforma, nella scena della sparatoria tra i due banditi, nella parodia di un western, è, infine, la parodia di una parodia.
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mr.619
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domenica 4 luglio 2010
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paradigma meta-artistico
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Dopo aver visionato e compiuto una minuta autopsia di questo drammaturgico ed afflatante affresco romanzesco, sono giunto alla conclusione ( già pensata e dibattuta all'interno della mia anima vegetativa ed intuistico-intellettuale) che Godard non è un regista, nè un cineasta che dirige pellicole, scrive sceneggiature e parla agli attori: egli è un artista, il dipingitore amanuense ed elegante di una galleria indescrivibile nelle sue annotazioni uniche e principali di quadri letterari e (non) cinematografici, che portano al limite estremo la loro cognizione e memoria assoluta."Bande a part" ( nella mia esegesi interpretativa, una vera e propria "banda oscillativa a parte", muove il cardine aulico della sua stessa "weltanschauung" intorno alla bellissima "ancilla" Odile, che, nell'enigmatico gioco fisico-matematico propinato dal regista, è una metempsicosi (illusoria) litotica della patente "kineseos noesis" illuscente la sua luccicanza egoista nella superficie di riflessione ed inflessione del cineasta-poeta.
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Dopo aver visionato e compiuto una minuta autopsia di questo drammaturgico ed afflatante affresco romanzesco, sono giunto alla conclusione ( già pensata e dibattuta all'interno della mia anima vegetativa ed intuistico-intellettuale) che Godard non è un regista, nè un cineasta che dirige pellicole, scrive sceneggiature e parla agli attori: egli è un artista, il dipingitore amanuense ed elegante di una galleria indescrivibile nelle sue annotazioni uniche e principali di quadri letterari e (non) cinematografici, che portano al limite estremo la loro cognizione e memoria assoluta."Bande a part" ( nella mia esegesi interpretativa, una vera e propria "banda oscillativa a parte", muove il cardine aulico della sua stessa "weltanschauung" intorno alla bellissima "ancilla" Odile, che, nell'enigmatico gioco fisico-matematico propinato dal regista, è una metempsicosi (illusoria) litotica della patente "kineseos noesis" illuscente la sua luccicanza egoista nella superficie di riflessione ed inflessione del cineasta-poeta.Conseguentemente, la prima scena in cui ella compare è ambientata in una lezione d'inglese, dove lo "xenos", dis-comprensione elegitiva obstante l'area cinesensitiva dello sguardo opico ed opale, si fonde in reazionario matrimonio psicocollettivo con le sensazioni attrattive ed agenti avvertite dalla protagonista ( rapporto uomo/donna, cinema/realtà, che troverà maggiore esplanazione altrove).Ma, naturalmente, quando si assiste ad un'opera proveniente dal "bonum ingenium" del francese Godard, tutto il resto, compresa la stessa storia, subisce una dissoluzione invertita, quasi che soltanto nella sua accezione di spontanea conclusione ad un ragionamento eccellente artistico-realistico si potesse vedere la sua vera natura plottistica.Difatti, ho scorto nella segmentizzazione delle parti storiche della trama una sorta di concezione "climaxista discendente" del cinema: in un primo momento, come "sciarada" apartativa, che, quantunque dolce ed ontologicamente concepibile, non può essere inserita sul contesto nominato, ma sub-inerito; poi, l'(im)possibilità biocinecratica di sintropocronizzazione "adversus secum" ( esempio manifesto è il delirante fotogramma al bar durante un minuto di silenzio dinamico); infine, la dolevole filonesesi accipibile della vita, la quale, essendovi l'amore, può rendersi con un'opportuna metamorfosi semplicemente "filìa".Perchè un tassello della verità archetipica può essere mutuale al concetto originante feconde suggestioni compienti e strutturanti innati legami inter(con)testuali dalle nebulose luminiscenze telenergiche.
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