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                Questo film del 2011, diretto da Béla Tarr, è un lento viaggio verso la fine…verso la morte.Il film è diviso in 6 giorni nei quali assistiamo alla vita quotidiana di un vetturino e della sua giovane figlia.
 Essi, lavorano dalla mattina fino alla sera per continuare a restare in vita e a poter magiare patate bollite ed a bere acqua del pozzo.
 É angosciante pensare che fanno tutto questo solo per la vita e, soprattutto, che non possono godere dei piaceri di essa.
 Eppure, la storia di questi due non è altro che un’allegoria della vita dell’essere umano in generale che compie solo un lento viaggio verso la morte…e, questo viaggio è la vita.
 Come ha detto lo stesso Tarr, con questo film ha cercato di riprodurre la vita…perché l’uomo compie sempre le stesse azioni aspettandosi qualcosa di nuovo che non arriva mai…e questo è il modo in cui trascorre la vita.
 In effetti, per tutto il film vediamo i due personaggi che lavorano e ripetono le azioni quotidiane…è angosciante ma è anche ironico…perché tutto ciò noi lo vediamo in 149 minuti…ma questi equivalgono alla durata della vita intera..senza che nemmeno noi ce ne accorgiamo.
 C’è poco dialogo tra il padre e la figlia (poverella….lavora tantissimo) e parlano solo nei momenti in cui succede qualcosa di inaspettato…perché, che si voglia o no, nella vita succede sempre.
 Gli zingari, il conoscente che passa per la casa e preannuncia l’apocalisse in un discorso molto inquietante.
 E, man mano, ci avviciniamo sul serio alla fine del mondo.
 In Satantango la speranza è rappresentata dai rivoluzionari Irimias e Petrina mentre qui essa non esiste.
 O meglio, non esiste per quei due ma Bela Tarr ci fa capire che in generale per l’essere umano c’è..proprio così: gli zingari non sono altro che il desiderio di libertà, infatti loro stanno per emigrare in America…alla ricerca della loro felicità.
 Ad ogni giorno che passa, la speranza diminuisce e il cavallo di famiglia non mangia più, il pozzo si secca…fino ad arrivare al sole che si spegne e ai due “protagonisti” che si decidono a non magiare più e a morire…solo il vetturino ha ancora una timida speranza quasi stupida…e, poco prima che l’ultimo fotogramma del film si sfochi, afferma :- dobbiamo mangiare.
 É assurdo come l’uomo voglia sempre ad ogni costo ripetere le stesse situazioni aspettando che qualcosa cambi…è come se tutti fossimo affetti da disturbi di tipo ossessivo-compulsivi. E, Bela Tarr, mette in risalto in modo spietato ed angosciante la pesantezza dell’umanità e della vita. Forse, in modo addirittura più chiaro e coerente di ciò che voleva fare in “Satantango”.
 Certo l’opera era molto più lunga, perché è vero le le sequenze sono lunghissime ma è pur vero che sono tante e quindi è pure difficile mantenere una certa costanza e calibratura all’intera opera…è chiaro che è comunque un film che va visto (e rivisto9 e quando stai più di 7 ore a vederlo un po’ ti affezioni pure…si crea quasi un legame d’affetto con la pellicola, sebbene non sia un sentimentale.
 Bela Tarr ha dichiarato che questo è il suo ultimo film…spero che non sia perché non ha l’opportunità e i consensi per continuare a fare film di questo tipo perché essi sono quasi perfetti e densi di una grande espressività espressa soprattutto attraverso i piano sequenza che sono tipici del regista ungherese.
 
 
 
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