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Richmond, Virginia. Sheryl, madre single di mezza età, ricerca l’anima gemella ad imbarazzanti serate danzanti; Marc e Stephen, i suoi due figli adolescenti, sono alle prese con le difficili relazioni con il proprio gruppo di amici e con le ragazze, rispettivamente. Matthew Petock mette in scena tre solitudini sotto uno stesso tetto (raramente vediamo i tre insieme se non a tavola), tre isole che tentano disperatamente di uscire dalla propria cronica solitudine che nasconde tutto lo spleen della nostra modernità rimasta ormai priva di riferimenti sicuri. Le soluzioni escogitate non possono che essere, perciò, momentanee; al contrario, tutte le attività a cui si dedicano paiono acuire ulteriormente la loro solitudine e il loro isolamento, ben evidenziato dalla sagace fotografia curata da Daniel Partick Carbone che alterna primi piani e campi lunghissimi. Per la maggior parte del tempo, inoltre, i personaggi paiono seguire un copione prestabilito che però nessuno di loro ha coscientemente ratificato: il suo contenuto altro non è se non le regole non scritte imposte dalla società e proprie all’età di ognuno dei personaggi (sotto quest’aspetto si rivela indicativo il rapporto tra Stephen e Joanna, che pare quasi più l’espletamento di un contratto che una vera relazione affettiva). La soluzione a tutto ciò si presenta a noi all’improvviso in tutta la sua – se vogliamo dirla così – banalità: alla fine di questa gigantesca odissea personale nella quale ognuno giocava per se stesso, infatti, i tre scoprono la verità più ovvia, che pure non avevano visto – il loro essere famiglia. E da questa base possono iniziare a ricostruire insieme.
In generale il film scorre piuttosto bene, ma perché la quotidianità che viene ritratta acquisti un senso lo spettatore deve pazientare proprio sino al finale.
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