Lettera da una sconosciuta, magistralmente diretto da M. Ophuls, è uno di quei film che davvero ci aiutano a comprendere e ci svelano qualcosa sul nostro esserci nel mondo. Fin dalle prime scene la giovane Lisa, interpretata magistralmente da Joan Fontaine, si muove in una dimensione lontana dal comune sentire: lei vede le persone e le cose attraverso il filtro assoluto del suo cuore romantico. Stefan, nella finzione un brillante Louis Jourdan, è il talentuoso pianista a cui consacrerà ogni suo respiro. Ophuls ce lo presenta facendoci prima vedere le cose che gli appartengono. La scena del suo traslocco nella casa dove abita anche Lisa, passa tutta attraverso lo stupore e il crescente interesse della ragazza per il pianoforte, gli oggetti esotici e lussuosi, il servitore muto. La passione nasce già in quel momento per poi crescere sempre di più senza che in realtà i sentimenti e le azioni di Stefan abbiano una reale importanza. Egli non è quello che vede il cuore di lei. E’ pigro, frivolo, vile ma il fatto di rendersene conto non cambia e non può cambiare la strada che Lisa deve percorrere fino in fondo. Nel romanzo di S. Zweig, da cui è tratto il film, la ragazza diventa una mantenuta. In Ophuls questa degradazione non è necessaria: il dramma ne guadagna. Lisa può rimanere in quel terreno di eccezzionalità che le è proprio. La lettera, il non ricordare di Stefan, bastano al regista per affermare l’impossibilità di ogni tentativo di conciliazione con la realtà: semplicemente e crudelmente due linee parallele non si incontrano mai.
A17540.
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