Danza di morte

   
   
   

quando la Rai era un servizio pubblico Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


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giovedì 24 giugno 2021

 Dramma da camera di Strindberg, scritto nel 1900, in un adattamento televisivo del 1971 di Sequi, con un trio di attori di teatro formidabile, Gianni Santuccio, Lilla Brignone e Achille Millo, quando la RAI ancora credeva nella sua missione, svolgeva il servizio pubblico e metteva in scena i grandi classici della letteratura mondiale, non concorrendo con le tv private nella produzione selvaggia di fiction indecenti e spettacoli di dubbio gusto per accaparrarsi la fetta più grossa di pubblicità.
E’ l’anima tormentata  e misogina di Strindberg la vera protagonista di questo dramma intimo, appena tinto di naturalismo e ambientato metaforicamente su di un’isola, segno di una solitudine interiore irrimediabile, che prende forma incarnandosi ora nel vecchio capitano, rancoroso e meditabondo, ora nel melanconico e disilluso Kurt, l’ospite inatteso, l’amico di famiglia di un tempo, entrambi persi e sconfitti al cospetto dell’arpia infedele ed inaffidabile interpretata da una grande Lilla Brignone.
La moglie del capitano, bisbetica e velenosa, vittima e carnefice al contempo, coglierà l’occasione per rivendicare la propria femminilità repressa nonché le ragioni della sua condizione di donna oppressa e succube del marito. Ma la coppia è inscindibile, unita com’è dall’odio comune per il mondo, che non ha gratificato lei nelle sue aspirazioni di grande attrice, non ha riconosciuto i meriti militari di lui non promuovendolo maggiore.  
Alla fiamma dell’odio che si alimenta reciprocamente, indirizzandosi dapprima sulle persone più vicine, sui parenti, sui servi ed infine, scomparsi tutti, scappati o allontanati, perfino i figli, andati via per non essere costretti a parteggiare per l’uno o per l’altro in una tragica guerra familiare, non rimane che rivolgersi contro il coniuge, l’unica persona rimasta, sopravvissuta alla strage dei presunti nemici, per continuare a crepitare distruttiva e felice.
A noi non rimane, invece, che rimpiangere l’epoca d’oro della RAI quando portava il grande teatro nella casa degli italiani, da poco alfabetizzati, tentando un acculturamento di massa, visti gli esiti attuali, miseramente fallito.

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