Dopo Quarto potere e con lo stesso stile del suo primo film, simile a quello di un Caravaggio della celluloide in bianco e nero, Welles, privilegiando i toni scuri e le penombre, che celano in alcune inquadrature completamente i volti degli attori, in contrasto con le poche luci che illuminano gli interni della grande villa, dipinge questa volta non la storia di un uomo bensì l’epopea di una ricca famiglia ottocentesca che da un glorioso passato cade nella povertà assoluta sconfitta dalla modernità rappresentata dalla nascente industria automobilistica di inizi novecento. La bellezza della fotografia e l’estetismo dominante nelle riprese, forse superiore a quello di Quarto potere, compensano ampiamente e fanno passare in secondo piano la mancanza di naturalezza dei dialoghi che fanno declamare più che recitare i personaggi che talora sembrano parlare come libri stampati e soprattutto il lieto fine smielato e romantico, che, tuttavia, sembra essere stato imposto dalla produzione e dalla industria hollywoodiana per risultare più rassicurante per il pubblico, considerato che l’anno prima gli Stati Uniti erano scesi in guerra contro l’Asse.
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Dopo Quarto potere e con lo stesso stile del suo primo film, simile a quello di un Caravaggio della celluloide in bianco e nero, Welles, privilegiando i toni scuri e le penombre, che celano in alcune inquadrature completamente i volti degli attori, in contrasto con le poche luci che illuminano gli interni della grande villa, dipinge questa volta non la storia di un uomo bensì l’epopea di una ricca famiglia ottocentesca che da un glorioso passato cade nella povertà assoluta sconfitta dalla modernità rappresentata dalla nascente industria automobilistica di inizi novecento. La bellezza della fotografia e l’estetismo dominante nelle riprese, forse superiore a quello di Quarto potere, compensano ampiamente e fanno passare in secondo piano la mancanza di naturalezza dei dialoghi che fanno declamare più che recitare i personaggi che talora sembrano parlare come libri stampati e soprattutto il lieto fine smielato e romantico, che, tuttavia, sembra essere stato imposto dalla produzione e dalla industria hollywoodiana per risultare più rassicurante per il pubblico, considerato che l’anno prima gli Stati Uniti erano scesi in guerra contro l’Asse. Joseph Cotten coprotagonista con Welles del suo primo film, interpreta ancora una volta l’alter ego del regista o meglio la sua coscienza morale, che prevale alla fine sul lato oscuro della personalità di Welles, alias il Kane di Quarto potere, ed impersonata ora dal giovane egocentrico e pieno di sé, il rampollo viziato della famiglia Amberson, interpretato da Tim Holt.
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