antonio tramontano
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domenica 11 ottobre 2015
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originale metafora sul nichilismo e la redenzione
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Una studentessa di filosofia assiste ad un documentario sugli orrori della guerra, ne resta turbata nell’animo, riflette, passeggiando verso la via di casa, su come la coscienza dei popoli valuti il concetto del “male” e la sua relazione con il dolore. Improvvisamente, viene aggredita da una donna che, trascinandola in un vicolo cieco, le morde il collo. Da questo momento la sua visione del mondo cambierà radicalmente, sarà pervasa da una concezione nichilista dove il “male” è condizione essenziale e basilare dell’individuo.
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Una studentessa di filosofia assiste ad un documentario sugli orrori della guerra, ne resta turbata nell’animo, riflette, passeggiando verso la via di casa, su come la coscienza dei popoli valuti il concetto del “male” e la sua relazione con il dolore. Improvvisamente, viene aggredita da una donna che, trascinandola in un vicolo cieco, le morde il collo. Da questo momento la sua visione del mondo cambierà radicalmente, sarà pervasa da una concezione nichilista dove il “male” è condizione essenziale e basilare dell’individuo.
Abel Ferrara mette in scena, servendosi di un’originale metafora "vampiresca", il duello filosofico moderno tra il pensiero di Friedrich Nietzsche e quello cristiano-platonico. Si discute di determinismo e di libero arbitrio, le citazioni filosofiche e letterarie abbondano ma sono sempre pertinenti, segno di una sceneggiatura scritta con preparazione dall’ottimo Nicholas St.John, storico collaboratore di Ferrara.
La deriva nichilista avanza, trasformando l’individuo in un oltre-uomo dipendente dai propri istinti ed in funzione della volontà di potenza, motore e destino del mondo. La morale diviene “malattia” dell’animo da cui guarire e ad un’interpretazione estremamente negativa del pensiero di Nietzsche si contrappone una, altrettanto estrema, idealizzazione del cristianesimo, puro, privo dei suoi elementi contraddittori ed unica via di redenzione.
Le interpretazioni e le scelte ideologiche degli autori possono non essere del tutto condivisibili nel merito, la loro convinzione religiosa può apparire semplicistica e banalizzante, ma, The addiction, resta un’opera non indifferente agli appassionati di filosofia, che potranno apprezzarne al meglio i contenuti in tutte le sfumature. Un film, di sicuro, stimolante anche per chi vuole avvicinarsi in maniera alternativa ai temi trattati.
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gianleo67
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venerdì 2 gennaio 2015
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vampirismo & filosofia superomistica
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A seguito dell'aggressione di una misteriosa donna vampiro, una giovane studentessa di filosofia newyorkese inizia a sviluppare una strana dipendenza dalla violenza e dalla sete di sangue che la porta ad elaborare la personale teoria di una tesi di laurea fondata sul nichilismo e sulla irredimibile malvagità della natura umana. Quando il contagio che ha contribuito a diffondere tra la cerchia delle sue amicizie e frequentazioni universitarie culmina nella insostenibile violenza di un'orgia sanguinaria durante la sua festa di laurea, inizia per lei un percorso di pentimento e di redenzione che la condurrà a confessarsi e consacrarsi a Dio sul suo letto di morte.
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A seguito dell'aggressione di una misteriosa donna vampiro, una giovane studentessa di filosofia newyorkese inizia a sviluppare una strana dipendenza dalla violenza e dalla sete di sangue che la porta ad elaborare la personale teoria di una tesi di laurea fondata sul nichilismo e sulla irredimibile malvagità della natura umana. Quando il contagio che ha contribuito a diffondere tra la cerchia delle sue amicizie e frequentazioni universitarie culmina nella insostenibile violenza di un'orgia sanguinaria durante la sua festa di laurea, inizia per lei un percorso di pentimento e di redenzione che la condurrà a confessarsi e consacrarsi a Dio sul suo letto di morte.
Ultimo della sua cosidetta trilogia del peccato (anche se le tematiche care a Ferrara sono disseminate un pò in tutta la sua produzione), questo livido horror metropolitano persegue le ambizioni filosofeggianti di un cinema che guarda alla trasgressione ed alla redenzione attraverso un sistema di categorie gnoseologiche che inquadrano la natura umana come un elemento indipendente e autonomo dal significato materiale dei processi storici, trascendendola e riducendola alla dimensione fondamentalmente malvagia dell'affermazione individuale. Lontano dallo psicologismo yuppie di un'alienazione metropolitana ai tempi del reaganismo ('Stress da vampiro' - 1988 Robert Bierman) e più prossimo alle speculazioni antropologiche di derivazione 'Cronenberghiana' ('Rabid - Sete di Sangue' - 1976) piuttosto che a quelle 'from the bloks' dei suoi film precedenti ('Il cattivo tenente' 1992), Ferrara indugia sul repertorio simbolico e letterario di un immaginario vampiresco in trasferta newyorkese (fotofobia, avversione al sacro, sensualità, trofismo ematico, etc.) attraverso l'itinerario umanistico e intellettuale di una tesi di laurea che prova a speculare tanto sul valore storico delle responsabilità collettive (la guerra in Vietnam, Pol Pot come l'Olocausto sono gli esempi da cineteca degli orrori) quanto sulla istintiva aggressività della natura umana, in cui la violenza è lo strumento attraverso cui perseguire l'affermazione del sè attraverso l'annientamento dell'altro. Coerentemente con il retroterra sociale e culturale in cui ambienta il suo thriller metafisico, il regista italo-americano ci presenta il dilagare di una pandemia inferica attraverso il diffondersi di un contagio vampiresco in cui la dipendenza dal sangue, al pari di una qualunque tossicodipendenza, soddisfa tanto il bisogno che discende dalla natura violenta del male quanto ne garantisce la diffusione senza limiti nel mondo, alimentando quei processi di prevaricazione superomistica che sono alla base di una concezione nichilista dei processi storici. Pur appesantito da queste speculazioni filosofiche e dal citazionismo a volte sproloquiante di Nicholas St. John ('Ho sentito il vento delle ali della follia' - Baudelaire), Ferrara riesce a dare una prova di ammirevole rigore nel condurre una materia incandescente e rischiosa come questa attraverso le forche caudine di un finale debordante, tra orge vampiresce senza sprezzo del ridicolo e il geniale stratagemma di un suicidio assistito che, aggirando l'ingloriosa e materiale fine di un'aspirante Nosferatu in gonnella, si riconverte al rituale sacramentale della comunione cristiana. Mandando il diavolo (che è in noi) al creatore,si sa, non ci resta che ascendere ad una gloria celeste che finisce per tradire la immendabile malvagità della natura terrestre ('L'autoconoscenza è la distruzione del sè'). Ottima prova della Taylor premiata alla Settimana internazionale del Cinema Fantastico di Malaga e nomination all'Orso d'oro al Festival di Berlino del 1995 per Abel Ferrara.
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pietro viola
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giovedì 9 giugno 2011
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l'autoconoscenza è la distruzione del sé
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Il male è un oceano ribollente e necessario sotto la crosta leggera del bene faticosamente, culturalmente costruito. Usando il tema del vampirismo quale specchio o "metà oscura" sanguinosa e ferina di quanto la filosofia esistenzialista/nichilista esprime con le parole, il pazzo ferrara realizza uno dei film più inquietanti che siano mai stati fatti sui temi della necessità e dell'arbitrio, della colpa e della redenzione, della schiavitù (la "dipendenza" del titolo) e della libertà. E lo fa in modo estremo, arrivando alla radice del male ineluttabile (dalle immagini del massacro di My Lai in Vietnam alla scena della festa di sangue stile society rovesciato) e del bene quale difficile e doloroso (impossibile?) processo di assunzione di responsabilità di sé.
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Il male è un oceano ribollente e necessario sotto la crosta leggera del bene faticosamente, culturalmente costruito. Usando il tema del vampirismo quale specchio o "metà oscura" sanguinosa e ferina di quanto la filosofia esistenzialista/nichilista esprime con le parole, il pazzo ferrara realizza uno dei film più inquietanti che siano mai stati fatti sui temi della necessità e dell'arbitrio, della colpa e della redenzione, della schiavitù (la "dipendenza" del titolo) e della libertà. E lo fa in modo estremo, arrivando alla radice del male ineluttabile (dalle immagini del massacro di My Lai in Vietnam alla scena della festa di sangue stile society rovesciato) e del bene quale difficile e doloroso (impossibile?) processo di assunzione di responsabilità di sé.
Fotografia in un bianco e nero allucinato ed espressionista, attori in stato di grazia (pare quasi di guardare la realizzazione delle teorie herzoghiane di cuore di vetro), soprattutto cristopher walken, la filosofia nelle parole dei fiolosofi quale canovaccio e script, una delle scene finali più belle mai viste al cinema: la visione è dichiaratamente di parte (la teologia cattolica), il risultato è per tutti, e tutto.
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adriano sgarrino
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giovedì 11 marzo 2010
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the addiction
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Paese di prod.: USA Anno: 1994 Di: Abel Ferrara Con: Lili Taylor, Christopher Walken, Annabella Sciorra, Paul Calderon, Edie Falco, Kathryn Erbe, Fredro Starr. New York: Kathleen Conklin (Taylor), prossima laureanda in filosofia, viene vampirizzata da una "donna" misteriosa (Sciorra). Da quel momento sarà costretta a nutrirsi di sangue anch'ella, imparando a sue spese e sulla propria pelle il male e la perdizione dell'umanità. Sceneggiato in maniera impeccabile da Nicholas St. John, Abel Ferrara ha girato un film non propriamente sul vampirismo ma sulle radici del male insite nel genero umano (in generale) e nel singolo individuo (in particolare).
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Paese di prod.: USA Anno: 1994 Di: Abel Ferrara Con: Lili Taylor, Christopher Walken, Annabella Sciorra, Paul Calderon, Edie Falco, Kathryn Erbe, Fredro Starr. New York: Kathleen Conklin (Taylor), prossima laureanda in filosofia, viene vampirizzata da una "donna" misteriosa (Sciorra). Da quel momento sarà costretta a nutrirsi di sangue anch'ella, imparando a sue spese e sulla propria pelle il male e la perdizione dell'umanità. Sceneggiato in maniera impeccabile da Nicholas St. John, Abel Ferrara ha girato un film non propriamente sul vampirismo ma sulle radici del male insite nel genero umano (in generale) e nel singolo individuo (in particolare). La tesi di fondo è che l'uomo è per sua stessa natura incline al male, al malvagio (e la dipendenza del titolo sta proprio ad indicare la "dipendenza dalla propensione al Male"), come sottolineano le parole della vampira newyorkese ("Non siamo malvagi perché facciamo del male, ma facciamo del male perché siamo malvagi"). Il vampirismo diviene così il pretesto, il mezzo, più o meno efficace, per soddisfare questa atavica ed ineludibile inclinazione al Male. Per avvalorare maggiormente il proprio punto di vista, Ferrara ha deciso di inserire all'interno del film immagini storiche (per es.: gli inserti documentari sull'Olocausto) che, senza dubbio alcuno, testimoniano con forza la predilezione per il malvagio da parte dell'uomo. Pertanto la riflessione sulla condizione umana tova sì nella vicenda vampiresca la sua espressione più immediata e, se vogliamo, più fantasiosa, ma questi addentellamenti di natura storica conferiscono all'opera una dimensione più globale e più reale che non può lasciare indifferenti. In questo modo, l'intimo anelito alla catarsi che avverte la protagonista diviene lo specchio ideale del desiderio di redenzione che l'umanità tutta dovrebbe sentire crescere dentro di sè, a causa degli orrori di cui è tristemente responsabile. L'ottima fotografia in bianconero di Ken Kelsch non fa altro che acuire il persistente senso di disperazione che serpeggia in tutto il film. Molto apprezzabile anche la colonna musicale, curata da Joe Delia, in chiave prevalentemente hip hop e funk, con l'indispensabile apporto dei Cypress Hill. Nel complesso, un film allucinato e allucinante, un capolavoro la cui profondità metafisico-antropologico-filosofica lo distanzia nettamente da qualsiasi altra pellicola: sarebbe ben riduttivo definire "The Addiction" un semplice horror.
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aripijate
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lunedì 26 gennaio 2009
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no.
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la fotografia è un incubo, lento come la morte, citazioni leggendo solo il titolo delle opere e una morale cristiana intollerabile.
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gianmaria s
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lunedì 28 aprile 2008
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vampiri e filosofia per un horror di classe
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Horror di classe sui vampiri, girato in bianco e nero pone l'accento su questioni diverse da quelle trattate di solito, non è una guerra tra umani e vampiri che si trasforma in splatter, ne la lotta per la conquista di un qualche potere. Ma come dice il titolo è una lotta contro e per capire la dipendenza, sfrutta la dipendenza dal sangue dei vampiri per una panoramica più vasta. Divaga spesso e volentieri nella filosofia, riflettendo sui temi dell'esistenza, del male (l'uomo non è malvagio perchè fa del male, ma fa del male perchè è malvagio). In questo divagare a volte risulta un po' contorto e necessiterebbe di un'altra visione. Attinge a piene mani da Sartre, forse esagerando un po' con le citazioni filosofiche.
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piero
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martedì 18 settembre 2007
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abel ferrara: un maestro del cinema.
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Pochi registi possiedono, oggi, le capacità tecniche e la visionaria sensibilità di Abel Ferrara. Straordianaria la sceneggiatura, struttrata sulla rivisitazione in chiave simbolica dell'esistenzialismo sartriano (ed heideggeriano!), filtrato attraverso la lente pessimistica di un moralista contemporaneo. Non per tutti i palati, ma senz'altro entusiasmante per quanti credono ad una possibile evoluzione del cinema di genere.
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