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ivan il matto
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sabato 6 dicembre 2025
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e la chiamano repubblica islamica...
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E la chiamano Repubblica islamica….
E’ notizia di questi giorni, il regista iraniano Jafar Panahi, da decenni inviso al regime teocratico di quel Paese, è stato condannato in contumacia, per l’ennesima volta, a un periodo di detenzione per attività di propaganda anti iraniana. Contemporaneamente l’artista veniva premiato ai “Gotham Awards” di New York quale miglior regista, miglior film internazionale e miglior sceneggiatura per il suo ultimo “Un semplice incidente”, già reduce dalla Palma D’oro a Cannes 2025. Seguendo il classico schema induttivo dell’empirismo inglese, il regista di Mianeh, parte da un puro evento casuale (un incidente automobilistico), per ragionare indirettamente sulla condizione socio-politica del regime degli ayatollah sia contemporanea che pregressa.
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E la chiamano Repubblica islamica….
E’ notizia di questi giorni, il regista iraniano Jafar Panahi, da decenni inviso al regime teocratico di quel Paese, è stato condannato in contumacia, per l’ennesima volta, a un periodo di detenzione per attività di propaganda anti iraniana. Contemporaneamente l’artista veniva premiato ai “Gotham Awards” di New York quale miglior regista, miglior film internazionale e miglior sceneggiatura per il suo ultimo “Un semplice incidente”, già reduce dalla Palma D’oro a Cannes 2025. Seguendo il classico schema induttivo dell’empirismo inglese, il regista di Mianeh, parte da un puro evento casuale (un incidente automobilistico), per ragionare indirettamente sulla condizione socio-politica del regime degli ayatollah sia contemporanea che pregressa. La vicenda narrata è di una semplicità disarmante: il meccanico Vahid nel riparare l’auto in panne di chi ha subito l’incidente di cui sopra, crede di riconoscere in lui Eghbal, detto gamba di legno, il più crudele degli agenti da cui aveva subito abusi durante la detenzione per motivi politici anni e anni prima. A metterlo in allarme è il rumore sordo ed inconfondibile di una gamba finta che si muove...lo stesso che era stato costretto ad ascoltare ai tempi del carcere. Insicuro dell’identità dell’uomo, dopo averlo rapito, il meccanico lo benda e lo narcotizza, lo chiude nel suo furgone, decidendo di chiedere consiglio ad altre vittime che come lui erano state offese nel corpo e nello spirito. Dopo “Taxi Teheran” (2015) Panahi torna a girare film on the road (stavolta in un furgone), forse per dare meno nell’occhio al regime. In quest’occasione si racconta del valore della vendetta all’interno di una a parabola limpida che ragiona sulle conseguenze della repressione politica, sulle sofferenze che non passano con il tempo, sul terrore che può promanare dall’ascolto di un suono che fa rabbrividire. In questo senso il lavoro del regista sul ‘fuori campo’ ha qualcosa di straordinariamente geniale: semplici rumori che suscitano sgomento, trasalimento, furore che scoppia all’improvviso. Tutti elementi di un cinema ‘povero’ che fa perno su idee e stati d’animo, primi piani e dialoghi serrati di provenienza teatrale, basati, probabilmente, sulla personale memoria dell’autore nei due periodi della sua personale carcerazione. Ne emerge un’opera intensissima, dai costi produttivi irrilevanti anche perché girata clandestinamente (come molte altre vietate per sempre in Iran), che non rinuncia a spunti comici (vedi i poliziotti corrotti anche col POS) o al classico teatro dell’assurdo. Tutto questo nell’attuale teocrazia persiana…altro che Repubblica!
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emiliz
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martedì 2 dicembre 2025
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mah...
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Il film comincia bene, c'è tensione, ironia, emozione. Poi si trasforma inesorabilmente in un comizio di cui nessuno sentiva il bisogno, messo lì per dire esplicitamente quello che tutti vogliamo sentirci dire (che l'Iran è una dittatura oscurantista e disumana) e mandarci a casa con la consolazione di essere dalla parte dei buoni. Alcune scene e alcuni dialoghi, soprattutto sul finale, sono imbarazzanti e al limite del ridicolo. Non è un film politico, è un film smaccatamente logorroico che non fa emergere conflitti, non racconta, non dice nulla dei protagonisti, tutti uguali, piatti e prevedibili. Farhadi e Jalilvand sono un'altra cosa, dieci spanne sopra.
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Il film comincia bene, c'è tensione, ironia, emozione. Poi si trasforma inesorabilmente in un comizio di cui nessuno sentiva il bisogno, messo lì per dire esplicitamente quello che tutti vogliamo sentirci dire (che l'Iran è una dittatura oscurantista e disumana) e mandarci a casa con la consolazione di essere dalla parte dei buoni. Alcune scene e alcuni dialoghi, soprattutto sul finale, sono imbarazzanti e al limite del ridicolo. Non è un film politico, è un film smaccatamente logorroico che non fa emergere conflitti, non racconta, non dice nulla dei protagonisti, tutti uguali, piatti e prevedibili. Farhadi e Jalilvand sono un'altra cosa, dieci spanne sopra.
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rosalinda laurelli gaudiano
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sabato 29 novembre 2025
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? una fotografia spietata e durissima sulla societ
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… una fotografia spietata e durissima sulla società iraniana…
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… una fotografia spietata e durissima sulla società iraniana…
Tutto ha inizio con un semplice incidente di notte. Rashid è in auto con la moglie incinta e la figlioletta. Ad un tratto si rende conto che ha investito un cane. Scende dalla macchina e abbate l’animale. Ma presto comprende che la macchina ha subito un danno. Si ferma presso un’officina dove il meccanico è Vahid, che riconosce in Rashid l’aguzzino, detto gamba di legno, l’uomo che in carcere lo ha torturato con malvagia disumana.
Vahid fu messo in carcere per aver semplicemente chiesto di essere pagato.
Quel passo claudicante, il suono metallico della protesi dell’uomo Rashid, scuotono un vissuto indimenticabile per Vahid. È lui l’uomo aguzzino, il torturatore beffardo, l’uomo dei servizi segreti che lo torturava in quel carcere . Così Vahid lo segue, lo aggredisce, lo immobilizza , lo benda e lo carica sul furgoncino diretto verso il deserto, deciso a seppellirlo vivo. Ma il dubbio s’insinua nella coscienza di Vahid. Rashid nega di essere lui quell’aguzzino.
Jafar Panahi sconta la sua pena, esce dal carcere e gira in tutta segretezza “Un semplice incidente”, una fotografia spietata e durissima sulla società iraniana, persone comuni e fatti apparentemente banali ma che mettono in parallelo umanità e disumanità, dubbio e certezza, vestendo il racconto di commedia quando sul furgone salgono una fotografa, una sposa con il vestito bianco, il suo sposo ed un libraio. Il teatro è il deserto, luogo dove vacillano alla fine quelle certezze che sostanziano un’umanità che emerge prepotente tra tutti i rapitori. Un film semplice ma efficace nel suo messaggio autentico, intriso di sapiente ironia, una denuncia coraggiosa sulla repressione che sempre serpeggia nella politica iraniana, dove lo spazio a fatti efferati e crudeli è sempre garantito da chi detiene il potere. Girato in coproduzione, Iran-Francia e Lussemburgo, il film ha vinto la Palma d’Oro al 78° Festival di Cannes, ed esce solo nelle sale estere essendo Jafar Panahi messo al bando dal regime iraniano come regista, continuando però sempre a portare avanti il suo lavoro usando lo strumento filmico come denuncia sociale e civile della sua società, iraniana.
BUONA VISIONE, ORA AL CINEMA!
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domenica 23 novembre 2025
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toccante
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Un film profondo ,unico.Ci fa riflettere su cosa saremmo disposti a fare per vendricarci.saremmo anche disposti ad andare contro tuto ci? in cui crediamo,contro i notri valori?Quanto vale una vita umana??
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gabriella
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venerdì 21 novembre 2025
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un ragionevole dubbio
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Nato dall'esperienza in carcere del regista iraniano Jafar Panhai , il film prende spunto dal titolo stesso, un semplice incidente , un' auto di notte investe accidentalmente un cane, il conducente, con moglie incinta e figlioletta è costretto a fermarsi in un garage per un danno al veicolo causato dall’impatto. Uno dei meccanici, Vhaid, crede di riconoscere nell’uomo il suo aguzzino durante la sua prigionia per motivi politici o di semplice manifestazione, dal rumore della protesi che egli porta alla gamba destra, decide così di pedinare l’uomo, e alla prima occasione, lo tramortisce sbattendogli la portiera del van in faccia, lo porta nel deserto dove ha scavato una buca, deciso a seppellirlo vivo per i suoi crimini e misfatti, compreso quello di avergli danneggiato irreversibilmente un rene.
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Nato dall'esperienza in carcere del regista iraniano Jafar Panhai , il film prende spunto dal titolo stesso, un semplice incidente , un' auto di notte investe accidentalmente un cane, il conducente, con moglie incinta e figlioletta è costretto a fermarsi in un garage per un danno al veicolo causato dall’impatto. Uno dei meccanici, Vhaid, crede di riconoscere nell’uomo il suo aguzzino durante la sua prigionia per motivi politici o di semplice manifestazione, dal rumore della protesi che egli porta alla gamba destra, decide così di pedinare l’uomo, e alla prima occasione, lo tramortisce sbattendogli la portiera del van in faccia, lo porta nel deserto dove ha scavato una buca, deciso a seppellirlo vivo per i suoi crimini e misfatti, compreso quello di avergli danneggiato irreversibilmente un rene. Le invocazioni dell’uomo che nega di essere la persona che cerca e che c’è un errore , induce Vahid a consultare altre persone che hanno subito la brutalità e le torture nel carcere, tra queste Shiva una fotografa di matrimoni che sta facendo un servizio a una coppia che si sarebbero sposati il giorno dopo, vittime anch’essi , e in breve si aggiunge anche Ahmid, il più iroso di tutti, determinato a farlo a pezzi. Così c’è un susseguirsi di persone che entrano ed escono dal van, riconoscendo tuttavia che durante la prigionia erano tutti bendati e nessuno ha visto mai in faccia il loro carnefice, unico indizio rimane la protesi alla gamba, dando luogo a un dilemma morale, il dubbio sull’identità del sequestrato, legato a un ragionevole dubbio. Vhaid e i suoi compagni non sono degli assassini, non potrebbero mai uccidere un innocente, non come i loro carcerieri che torturavano i prigionieri con cieca certezza e senza scrupolo alcuno. Sono persone che si portano appresso cicatrici profonde, mai rimarginate, hanno dovuto prendere psicofarmaci per annullare i ricordi e forse anche la memoria si è annebbiata, nessuno ha ricominciato a vivere veramente, vale veramente la pena portarsi dietro anche il peso di una vendetta che per quanto comprensibile, non spezza il ciclo di violenza, è giusto continuare a tramandare l’odio, rimanere congelati al passato, per quanto doloroso, o invece sperare in un futuro migliore?, E’ il quesito che il regista si pone e interroga lo spettatore, l’incertezza è il topos del film, il rumore ricorrente della protesi simboleggia un’ossessione inesorabile, della vendetta che divora l’uomo, che risuona come la gamba d’avorio del capitano Achab ( Moby Dick), il fantasma del passato che perseguita il presente,l’oppressione della tirannia che continua a zoppicare ritmicamente nella vita dei sopravvissuti.
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sabato 15 novembre 2025
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un semplice incidente
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Totalmente d accordo Malgrado le restrizioni della censura Panhai ha girato un film bellissimo
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athos
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sabato 15 novembre 2025
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messaggio potente
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Il film in alcuni punti tracima nel grottesco teatrale per testimoniare l'assurdità del medioevale regime iraniano. Finale molto potente e chiusura a sorpresa. All'uscita rimane la sensazione di aver visto un buon film a cui manca qualcosa per essere ricordato.
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venerdì 14 novembre 2025
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non bisogna fidarsi dei "premiati"!
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Film lento e a tratti decisamente noioso! la critica lo definisce anche " ironico", ma veramente non si capisce il perch
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mercoledì 12 novembre 2025
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un film di denuncia
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mto interessante una denuncia lucida e ironica un'analisi delle emozioni e dei sentimenti di vendetta e umanit
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francesca meneghetti
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lunedì 10 novembre 2025
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caso, scelta, responsabilit?, dubbio
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Chi dal cinema si aspetta azione, dinamismo, effetti speciali, stia lontano da questo film, vincitore a Cannes, imperdibile, che, per certe scelte tecniche, lunghi piani sequenza a camera fissa, produce un effetto teatrale. Partiamo dal regista, Jafar Panahi, iraniano, che ha conosciuto, per il suo dissenso al regime, l?esperienza della tortura psicologica nelle carceri iraniane, e che quindi ha voluto lanciare un messaggio di resistenza con un film girato lontano dalle grinfie della censura. I temi chiave del racconto sono: caso, scelta, responsabilit?, dubbio. Il caso irrompe pesantemente almeno due volte: la prima quando un banale incidente stradale determina l?incontro tra ?Gamba lesta?, un ufficiale dei servizi segreti (cosiddetto a causa di una protesi di legno alla gamba che produce un rumore particolare) e Vahid, che ne speriment? le arti malefiche anni prima, per aver protestato per la mancata corrispondenza dei salari.
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Chi dal cinema si aspetta azione, dinamismo, effetti speciali, stia lontano da questo film, vincitore a Cannes, imperdibile, che, per certe scelte tecniche, lunghi piani sequenza a camera fissa, produce un effetto teatrale. Partiamo dal regista, Jafar Panahi, iraniano, che ha conosciuto, per il suo dissenso al regime, l?esperienza della tortura psicologica nelle carceri iraniane, e che quindi ha voluto lanciare un messaggio di resistenza con un film girato lontano dalle grinfie della censura. I temi chiave del racconto sono: caso, scelta, responsabilit?, dubbio. Il caso irrompe pesantemente almeno due volte: la prima quando un banale incidente stradale determina l?incontro tra ?Gamba lesta?, un ufficiale dei servizi segreti (cosiddetto a causa di una protesi di legno alla gamba che produce un rumore particolare) e Vahid, che ne speriment? le arti malefiche anni prima, per aver protestato per la mancata corrispondenza dei salari. La seconda, quando una drammatica telefonata giunta da una bambina, la figlia di ?Gamba lesta?, costringe a modificare di 180 gradi i piani d?azione di Vahid, che si espone cos? a grossi rischi. La prima reazione di Vahid all?incontro fatale ? furente e istintiva: insegue il suo torturatore, lo colpisce, ed ? sul punto di seppellirlo vivo quando ? assalito dal dubbio e per dissiparlo cerca la conferma di altre vittime di ?Gamba lesta?: una fotografa che indossa pantaloni e giubbino, ma non il velo, se non episodicamente; una sua amica vestita da sposa per il servizio fotografico (e il suo futuro marito); un altro testimone, il pi? furioso. Tutti rivivono gli orrori del carcere e delle sevizie, tutti riconoscono il prigioniero (sedato e nascosto in una cassa di legno), ma nessuno condivide l?idea dell?altro su cosa fare. Ne derivano discussioni continue, drammatiche e di tipo teatrale, tra i vari personaggi, mentre Vahid tiene aperta la porta del dubbio e si rivela, alla fine, il pi? moderato, dopo la prima reazione d?impulso. La violenza merita una risposta ugualmente violenta? La resistenza a una violenta oppressione deve imitarne i metodi o restare ancorare a principi di umanit? e di piet?? Ecco allora entrare il gioco la coppia dinamica scelta/responsabilit?, perch? da ogni azione voluta deriva una conseguenza precisa, i cui effetti sono destinati a ricadere su chi l?ha realizzata. Ho pensato che simili discussioni potevano essere intercorse tra i partigiani che in Europa combatterono il nazifascismo in Europa. Il film ? potente, e non solo per la pregnanza del messaggio. C?? anche l?ironia, che si insinua specie nel mostrare la corruzione dell?Iran, dove i poliziotti chiudono un occhio di fronte a una mazzetta e, se chi hanno di fronte non ha contanti, sono pronti a estrarre il Pos. La regia poi privilegia la messa a fuoco dei personaggi, mentre gli sfondi urbani tendono a sfocare, diversamente dal deserto. Hanno un gioco importante anche le luci (quelle del tramonto, quelle notturne in particolare) e la colonna sonora, che lascia la sua firma a conclusione del film.
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