Chloé Zhao porta sullo schermo il bestseller di Maggie O'Farrell e realizza un film di rara potenza, fisica ed emotiva. Un mélo tragico e sanguigno, per rintracciare il dolore dietro al genio di Shakespeare.
di Valerio Sammarco La Rivista del Cinematografo
C'è un momento rivelatore e sconvolgente in Hamnet, che sembra intrappolare per un istante non solo il trapasso del bimbetto eponimo, ma anche il senso più profondo di un'opera costantemente in bilico tra la magia della vita e l'immanenza della morte: nel chiaroscuro di una foresta dipinta sullo sfondo si muove quest'anima innocente, confusa, in bilico appunto tra il restare e l'andare via per sempre.
Dopo la dimenticabile parentesi di Eternals, la regista premio Oscar (per Nomadland) Chloé Zhao realizza un film di rara potenza, fisica ed emotiva, che - proprio come il romanzo omonimo di partenza (il bestseller firmato Maggie O'Farrell, 2020) - mostra le stimmate del grande classico: Hamnet - Nel nome del figlio (già trionfatore a Toronto, ora alla Festa di Roma, tra qualche mese sicuro frontrunner per l'Awards Season, e sì, la domanda sul perché alla Mostra di Venezia abbia marcato visita, considerando oltretutto che la regista vantava già un Leone d'Oro, ce la faremo per molto tempo) ci riporta nelle campagne inglesi di fine XVI secolo. [...]
di Valerio Sammarco, articolo completo (4031 caratteri spazi inclusi) su La Rivista del Cinematografo 21 ottobre 2025