Analisi in taxi per Dakota e Sean Penn
di Roberto Nepoti La Repubblica
Ci sono film completamente ambientati nell'abitacolo di una macchina, e dei più vari generi: dal celebre Duel all'iraniano Taxi Teheran a Locke . Una notte a New York , prima regia della sceneggiatrice Christy Hall, si guadagna un posto più che rispettabile nel filone. Come osservare le tre "unità aristoteliche" mantenendo vivo l'interesse dello spettatore per un film dove, senza colpi di scena o melodrammi, tutto è affidato alle parole di due personaggi "qualsiasi"?
Una ragazza bionda (non rivelerà mai il proprio nome) sale su un taxi, destinazione il centro di Manhattan. Lungo il tragitto per Midtown, il conducente capisce che la donna si scambia messaggi con un uomo che insiste per vederla subito; o, almeno, perché gli mandi foto osé.
Pian piano i due passeggeri, diversi tra loro, cominciano a parlare delle rispettive vite: un modo come un altro per sentirsi meno soli al mondo.
Anche lo spettatore entra in intimità con loro: apprende che lei sta con un uomo più grande, con figli, e intuisce che il ruolo le va stretto. L'autista, Clark, ha una visione maschilista dei rapporti tra gli uomini e le loro amanti; ma tra i due non scatta mai il conflitto, mentre il lungo viaggio li vede inoltrarsi in confidenze più intime, fino a somigliare a una seduta di psicanalisi. Dakota Johnson, che avevamo snobbato ai tempi dei film sulle "cinquanta sfumature", sorprende con un'interpretazione notevole; mentre Sean Penn, meno gigione del solito, non approfitta della parte del tassista cresciuto a Hell's Kitchen. Però il vero valore aggiunto è la fotografia del direttore greco-americano Phedon Papamichael, che gioca con luci e ombre nell'abitacolo, creando split-screen virtuali che mostrano insieme l'autista e la passeggera, studiandone le rispettive microfisionomie.
Da La Repubblica, 19 dicembre 2024
di Roberto Nepoti, 19 dicembre 2024