No Sudden Move è un bel gangster movie e un bel heist movie, con un cast in pallissima, un evidente amore (e nessuna spocchia) per il genere e la capacità di reggere una tensione che non cede mai, così come l’ironia che ogni tanto sfocia in momenti di puro e genuino divertimento.
No Sudden Move, da gangster movie più o meno “classico” si trasforma nel sottofilone preferito dal suo autore, il nostro Soderbergh, e cioè l’heist movie, o caper movie, o colpo grosso movie, chiamatelo un po’ come preferite. Solo che No Sudden Move, in un certo senso, è l’opposto di Ocean’s Eleven e i suoi fratelli: là era il piano, articolato e geniale al punto da apparire onnisciente e onnipotente, a regolare il mondo del film, riportando ogni possibile deviazione, anche quella che a noi spettatori veniva inizialmente presentata come un inciampo o un contrattempo o un problema da risolvere, nei ranghi di un disegno superiore ordito con classe dai nostri fighissimi beniamini; qua i nostri beniamini non sono tanto beniamini e nemmeno tanto fighi, e il piano se lo inventano man mano, trovandosi tra le mani un potentissimo MacGuffin (che poi, vedrete, proprio un MacGuffin non è) e giocando una partita di cui tentano di apprendere regole e contesto man mano. Il “disegno superiore” contro cui andranno inevitabilmente a schiantarsi sarà, con ineluttabile realismo, un ordine ben più grande di loro, e praticamente inscalfibile.
Da questo punto di vista la Detroit degli anni Cinquanta (la Motor City in piena espansione con le lotte intestine delle big four dell’automobile) diventa l’esempio perfetto di un ambiente associato dove l’evoluzione tecnica, gli esperimenti di gentrificazione urbana e di controllo sociale creano interessi paradossali che nessuno comprende sino in fondo (neanche noi spettatori) ma che condizionano ogni singolo percorso umano. Ecco che il documento/mcGuffin intorno a cui ruota la narrazione frammentata produce infinite derive potenziali: i sentimenti universali e i generi codificati del cinema hollywoodiano diventano gli effetti collaterali di un sistema di regole freddo e apparentemente impenetrabile.
Nell’odierno panorama audiovisivo quello di Steven Soderbergh ci appare uno degli sguardi più lucidi proprio perché capace di condensare urgenti istanze sociali, culturali, tecniche e mediali.
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