– “fai finta di essere un uomo”
– “io farò finta di essere un robot!
In questa frase che spinge i due protagonisti ai propri confini (entrambi sono loro stessi mentendo) c’è forse una delle mille risposte alle domande che il film propone. L’interessante struttura narrativa della regia (la bravissima Maria Schrader) ha la caratteristica dominante di rimanere sospesa sopra quella linea di confine che non è solo quella tra umano e artificiale, ma anche (e soprattutto) quella tra l’umano e l’umanità.
Della storia il film non fa mistero ed è abbastanza semplice percepirne il senso nel modo fluido in cui la dipana. Quello che mi ha intrigato molto è la forma del film, la scelta di alcuni dettagli e di alcuni dialoghi.
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– “fai finta di essere un uomo”
– “io farò finta di essere un robot!
In questa frase che spinge i due protagonisti ai propri confini (entrambi sono loro stessi mentendo) c’è forse una delle mille risposte alle domande che il film propone. L’interessante struttura narrativa della regia (la bravissima Maria Schrader) ha la caratteristica dominante di rimanere sospesa sopra quella linea di confine che non è solo quella tra umano e artificiale, ma anche (e soprattutto) quella tra l’umano e l’umanità.
Della storia il film non fa mistero ed è abbastanza semplice percepirne il senso nel modo fluido in cui la dipana. Quello che mi ha intrigato molto è la forma del film, la scelta di alcuni dettagli e di alcuni dialoghi. Le riuscitissime prove attoriali dei due protagonisti danno poi un’ulteriore spessore alla “sostanza” del film.
Nelle trame cosiddette “fantasy” è facilissimo cadere nel banale o nell’inconcludente, ma nella modalità seguita dalla Schrader l’attenzione (e la sensibilità) resta sempre molto alta e continuamente provocata.
La sequenza delle formiche sul balcone, la bellezza dell’arte, il ricordo che diventa futuro, l’improvvisa inattesa reazione “artificiale”, l’innocenza senile e la corsa a piedi nudi sull’erba. Alla fine, forse, un finale che potrebbe essere solo un sogno.
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