La ragazza d'autunno

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Un film di Kantemir Balagov. Con Viktoria Miroshnichenko, Vasilisa Perelygina, Andrey Bykov, Igor Shirokov.
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Titolo originale Dylda. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 120 min. - Russia 2019. - Movies Inspired uscita giovedì 9 gennaio 2020. MYMONETRO La ragazza d'autunno * * * 1/2 - valutazione media: 3,93 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Maternità surrogata, Leningrado, 1945 Valutazione 4 stelle su cinque

di Eugenio


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giovedì 7 maggio 2020

Gelido, drammatico e implacabile con scene esteticamente incredibili a ben pensare ma plausibili considerando il periodo storico in cui esso è ambientato. Tutto ciò è La ragazza d’autunno.
Leningrado, autunno 1945. Iya (Viktoria Miroshnichenko), detta Giraffa (titolo originale del film "Beanpole"), slavata russa infermiera in un ospedale per veterani, soffre di una sindrome post-traumatica con convulsioni inaspettatamente violente che la congelano, la paralizzano e la fanno respirare con fatica. Con lei vive un bambino di tre anni, Pashka, che apprendiamo essere non suo figlio (checchè questo la chiami “madre”) ma di Masha (Vasilisa Perelygina), giovane più o meno coetanea, di ritorno dal fronte per vendicarsi del marito ucciso dai tedeschi. Ma a un certo punto, mentre Iya e Pashka giocano sul pavimento di legno del loro piccolo appartamento, la donna ha uno dei suoi attacchi e soffoca inavvertitamente il bambino sotto il suo peso, spietatamente ma senza colpe.
Masha, occhi disperati e assetata di vita oltre che sterile a seguito di una orrenda ferita provocata da una granata, richiede lo scotto di quella perdita: Dirà, cinica: Il mio bambino non me lo hai protetto quindi adesso me ne darai uno nuovo. Magari con uno di quei soldati.
Il là alle danze del film di Kantemir Balagov, classe 1991, allievo della scuola di Sokurov, impostosi con prepotenza con il suo esordio, Tesnota, vincitore per la miglior regia, Un Certain Regard a Cannes, premiato al Torino Film Festival, è presto dato. E apparentemente senza speranza, La ragazza d’autunno si muove nei meandri di una Leningrado fatta di anime buie dostojevskiane, intrise di dolore, di squallidi interni, di miserie del mondo di sopra e di sotto, di macerie morali imposte dalla guerra col suo gravido carico di traumi.
La storia di una frattura terribile per la comunità russa si specchia nel comportamento ondivago, “inutile dentro” e stranito di Iya, una donna distrutta dalla privazione, una vita sconvolta da ricostruire, in maniera surrogata per farne vivere un’altra non sua.  Per far questo, Bagalov sceglie un’atmosfera fatta di colori caldi, di piccole baracche, di vite scrostate ai margini che guardano ai temi del sacrificio e dell’amore su cui si innesta algida una borghesia fredda e inaccurata, quella cui appartiene il portantino russo, Sasha, futuro marito di Masha.
Doppie vite, colori verdi e rossi si fondono nel sangue della tragica storia russa, con oltre venti milioni di morti e soprattutto di coloro che alla morte sono sopravvissuti, lasciando nei loro cuori strascichi di ferite e traumi duri a morire, in esso si nasconde il senso della ragazza d’autunno. Ma è soprattutto quella voglia di vivere che si innalza dalle macerie, si respira, nonostante tutto e tutti, da questa desolante terra eliottiana che ha lasciato la seconda guerra mondiale, quella (e questa) voglia di vivere a prevalere. In un bel dialogo tra Masha, forse il personaggio meglio caratterizzato e la madre di Sasha che sposerà, si legge tutto il sentimento di vita, quella voglia di salire dagli inferi, di entrambe le donne, due, lo specchio uno dell’altra che si dividono la scena, spezzate dalla voglia di avere una vita a cui “aggrapparsi”.
Il distico vita-morte permea le oltre due ore e quindi della pellicola, una storia di maternità surrogata nella rinascita russa, di anime morte in continuo movimento, che come falene attratte dalla luce della vita, cercano di rimettersi in moto, avendo bisogno le une delle altre, per sancire la loro esistenza.
Iya intorpidita dalla vita si aggrappa a Masha, assecondandola anche nelle sue direttive secondo l’imposizione darwiniana della legge del più forte. E Masha finisce per crederci, imbastisce quel teatrino di vita, già distrutto dal conflitto, nel disperato e disperante bisogno di amore e di conforto. Anche se ahimè illusorio.
 

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