Aniara

   
   
   

Abbandonate ogni speranza o voi che entrate. Valutazione 3 stelle su cinque

di Ashtray_Bliss


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giovedì 8 agosto 2019

Questa frase potrebbe benissimo sintetizzare la trama del film Aniara, un prodotto tipico del cinema indipendente nordico, fedele per estetica e contenuto alle opere migliori del panorama scandinavo, guidato da una forte vena nichilista e un'atmosfera asfissiante e soffocante almeno quanto quella evocata da High Life di Claire Denis. E sono tante le omologie tra questi due lungometraggi, che mettono in scena un'umanità devastata e condannata a un eterno errare, logorata dall'interno, consumata dagli istinti primordiali insiti nella nostra specie, i quali prendono il sopravvento non più per garantire la sopravvivenza e la conservazione del genere umano ma per disintegrarlo e sfibrare ogni aspetto socialmente evoluto che ci contraddistingue. La scienza, la cultura, l'arte, i sentimenti si riducono a essere semplicemente degli specchi per le allodole, degli idoli nefasti e vacui di un passato irripetibile e irraggiungibile. E quando la società inizia a crollare, dopo la dissolutezza e la perdita di valori morali e di scopi elevati, prevale solo l'impulso dell'eros e della morte come osservò Freud, nel tentativo di sopperire a un'esistenza segnata.

Perchè Aniara, questo il nome della navicella che a sua volta affonda le radici etimologiche nella parola greca che significa tedioso, prosaico o monotono, e ispirato a una lunga poesia di un nobelista (per la letteratura) svedese, costituisce la materializzazione di tutte le più recondite paure dell'umanità. Quella di imbarcarsi per un viaggio senza mai poter raggiungere la propria destinazione, e senza possibilità di tornare indietro, di resettare i comandi e rimettersi in traiettoria. La consapevolezza di andare in contro a morte certa, all'estinzione inevitabile di questa umanità già da tempo perduta e doppiamente condannata dal Fato a un incommensurabile sradicamento, sia dalla Terra, devastata dalle catastrofi prodotte dall'avidità, e dagli altri pianeti disposti ad accogliere questa diaspora di superstiti. Mentre lo Spazio la inghiottisce propagandola eternamente nel suo profondo, nell'oscurità di un viaggio interstellare senza fine. Una condanna pesante da sopportare e che inizialmente verrà mistificata dai comandanti di Aniara, facendo vivere gli ignari passeggeri con delle fragili e infondate speranze di salvezza, di raggiungimento di una terra promessa dove ricominciare da capo quello che è stato sospeso e interrotto sul nostro pianeta madre, sulla nostra Gaia. 

Una speranza che incarna perfettamente la protagonista di quest'opera intima, profonda e disperatamente nichilista attraverso il volto della tenace e anonima protagonista (Emilie Jonsson) la quale va contro il clima di crescente angoscia, preoccupazione e desolazione mettendo in funzione la prodigiosa MiMa, un'intelligenza artificiale in grado di ricreare nella mente dei suoi visitatori gli scenari e ambienti tipici della Terra, tra cui laghi, mari, boschi, ricollegando -seppur in modo plasmatico-gli uomini alla loro casa, alla Natura, quella stessa natura che hanno contribuito a distruggere e uccidere. Frammenti di immagini, suoni, sensazioni che MiMa riproduce fedelmente basandosi sui ricordi e sulla memoria degli individui ma che gradualmente si sovrappongono alle immagini di morte, distruzione, devastazione che gli uomini si portano dietro e che condividono inevitabilmente con MiMa fino al momento in cui anch'essa, sopraffatta dal dolore (in qualità di IA senziente) si lascia andare. Persa anche quest'ancora di plasmatica e ingannevole speranza di fugace ritorno a una normalità da tempo andata, la popolazione di Aniara inizia a sprofondare verso l'abisso più nero, metaforicamente e letteralmente parlando, correndo in contro a un destino di dissolutezza, una deriva morale profonda e irreversibile come il viaggio verso l'ignoto e la morte certa cui sono destinati.

Si ritorna quindi a parlare della teoria di S. Freud e del principio del piacere che prenderà il sopravvento mentre i meccanismi socialmente imposti si allentano. Le orgie, anche di carattere mistico o para religioso sostituiscono la corsa al consumismo, mentre i negozi abbassano definitivamente le serrande e la ricerca del piacere sembra in grado di placare le ansie e le angosce dei passeggeri. E quando anche l'eros e la ricerca di gratificazione edonistica giunge al termine e appare come un vano tentativo di colmare un vuoto inconciliabile con la natura umana, viene prontamente sostituito dall'istinto di morte. Le persone, passati ormai anni dall'incidente che portò Aniara fuori rotta, iniziano a dare evidenti segni di stress e squilibri psicologici che li portano a suicidarsi o uccidere persino i propri figli. La morte costituisce ormai l'unica via di salvezza, assumendo ruolo salvifico in grado di porre fine a questa eterna condanna, a questa lenta agonia che macera e disgrega quel barlume d'umanità rimasto acceso all'interno della navicella. 

La salvezza, come in High Life, non è garantita, nè da dentro nè tanto meno da fuori, e noi assistiamo inermi ed impotenti come i passeggeri a bordo a questo continuo degenerarsi e sfibrarsi del tessuto sociale che lascia il posto soltanto alla morte o alla pazzia. 
Aniara, prende spunto dall'omonima poesia del premio Nobel svedese Martinsson e consiste in un'opera fortemente pessimista dove la filosfia, l'esistenzialismo e la fantascienza si incontrano e confluiscono creando un'opera intrigante e visivamente interessante in grado di porre l'attenzione su vari aspetti e problemi della nostra società quali il consumismo illogico e immotivato, la distruzione, ormai irreversibile, del pianeta Terra, il progetto molto concreto di colonizzare nuovi pianeti tra cui Marte e creare una nuova casa, un nuovo habitat per l'umanità, ma anche trattare quel lato intrinsecamente autolesionistico dell'uomo che lo porta a distruggere tutto ciò che crea e che lo circonda. Ma è anche una vivida riflessione su dove vogliamo dirigerci come umanità, dove vogliamo andare quando in realtà tutti noi siamo come i passeggeri di Aniara, alla deriva sia morale che fisica, abbagliati da questo falso bisogno di consumo il quale non ci sazierà mai completamente, ci porterà a desiderare sempre di più, subito, ora. Il consumismo ci ha distolto dai veri piaceri della vita e dagli obiettivi nobili che dovrebbero nutrire e arricchire il nostro spirito e portarci alla scoperta di altri pianeti in nome della scienza e del progresso tecnologico non come bisogno sempre più urgente di trarre in salvo un'umanità corrotta e viziosa, al centro della quale vi è solo uno smisurato ego e gli impulsi primordiali di gratificazione e soddisfazione puramente personale e mai collettiva.

Adottando un registro tipico dei film nordici, e strutturato su più capitoli, Aniara opta per una narrazione lineare e partendo da un poema distopico propone un'atmosfera ansiogena, cupa, ossessiva, nichilista a servizio di un film che privilegia l'introspezione e i dialoghi all'azione, ai colpi di scena o alla suspence. L'impossibilità di raggiungere la propria destinazione e di essere condannati ad una esistenza priva di un vero e proprio scopo porta alla decomposizione sociale e personale, alla progressiva perdita dei valori, della fede, della speranza. Idea tanto interessante quanto inquietante visivamente tradotta in modo plausibile e minimalista che non perde il suo valore espressivo. E se in High Life i passeggeri del vascello 7 avevano almeno quel giardino a ricordagli la Terra, a salvarli dal disorientamento e disgregamento psicoemotivo, in Aniara c'è solo MiMa che rievoca i ricordi legati alla Natura ma quando smette di funzionare i suoi passeggeri sembrano doppiamente condannati all'abisso, esistenziale e fisico, dal quale non vi è ritorno, non vi è salvezza e nemmeno speranza.
Opera solida e precisa, sorretta da una brava interprete protagonista e due registi con le idee ben chiare risulta affascinante e inquietante mentre trascina all'interno di questo inesorabile viaggio interstellare dove domina il buio e l'oscurità assoluta, fisica o meno che essa sia. Voto: 3,5/5.

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