brunopepi
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giovedì 1 ottobre 2020
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lodevole sodalizio soderbergh/frank
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Per chi ama il western ma anche per chi non lo predilige, questa stupefacente, audace e coraggiosa opera dell'accoppiata Soderbergh-Frank (idea e regia), in questo caso il braccio e la mente, lancia un prodotto dal genere desueto ma che riscontra soddisfazione anche tra i palati più raffinati. Una serie TV appagante da vedere magari tutta d'un fiato laddove gli ingredienti per un ottimo western ci sono tutti. Dal soggetto alla sceneggiatura dalla fotografia alla musica, ai costumi, al trucco al montaggio. Appaiono un po' tutte le tematiche del western in questi sette capitoli, scene che ci balenano nella mente e che ci riportano ai vecchi film, da Hathaway a Ford, da Sturges a Leone, considerevoli maestri senza la necessità di paragoni o improbabili raffronti.
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Per chi ama il western ma anche per chi non lo predilige, questa stupefacente, audace e coraggiosa opera dell'accoppiata Soderbergh-Frank (idea e regia), in questo caso il braccio e la mente, lancia un prodotto dal genere desueto ma che riscontra soddisfazione anche tra i palati più raffinati. Una serie TV appagante da vedere magari tutta d'un fiato laddove gli ingredienti per un ottimo western ci sono tutti. Dal soggetto alla sceneggiatura dalla fotografia alla musica, ai costumi, al trucco al montaggio. Appaiono un po' tutte le tematiche del western in questi sette capitoli, scene che ci balenano nella mente e che ci riportano ai vecchi film, da Hathaway a Ford, da Sturges a Leone, considerevoli maestri senza la necessità di paragoni o improbabili raffronti.
La vendetta di Griffit (Daniels) verso il figlio adottivo che fugge dalla sua banda rubandogli il denaro di tanti furti è il centro della storia, dove il rancore e l'umiliazione si convertiranno in stragi e distruzioni. Tranne Jeff Daniels, il resto degli attori rappresentano quanto c'è di meglio nelle serie televisive americane, con rifulgenti, ambigue e rinvigorite donne a far da cornice ad un genere strettamente maschile dove le note al femminile rendono il racconto più originale ed ammirevole. Quasi per intero girata in locations del New Mexico, il regista ci ripropone paesaggi seducenti, notevoli e suggestivi peculiari del genere. Tre i film che mi rivengono in mente durante la visione...il misero quanto incerto "Bad Girls" di Kaplan, lo spettacolare ed esaustivo "I magnifici sette" remake di Fuqua, ed il grandioso ed epico "La battaglia di Alamo" di John Wayne.
Ma prima della parola fine, un cavallo si allontana fra praterie e terre lontane, fra tramonti e gelidi inverni, accompagnandosi con le ultime note di un'eloquente colonna sonora...la sequenza di un cavallo che galoppa, che non si ferma, e che alla stessa stregua del genere western non si fermerà mai...non deve fermarsi.
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eden artemisio
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giovedì 2 gennaio 2020
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western metafisico
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Generazioni di vecchietti sono cresciuti nutrendosi dei miti del West e in Italia, negli anni sessanta, è stato anche inventato il western all’italiana, che ha riscosso un discreto successo, pur se guardato con diffidenza dagli americani, una diffidenza che, a suo tempo, pensai fosse dovuta al loro pensiero americanocentrico. Nel tempo quella struttura narrativa, ispirata alla Wilderness e alla rigenerazione morale, è andata incontro a numerosi rinnovamenti, con nuovi e diversi ingredienti. I protagonisti delle storie da eroi omerici sono diventati uomini comuni, antieroi. La visione messianica della costruzione di una grande nazione è andata scemando verso più confinate morali singole e personali.
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Generazioni di vecchietti sono cresciuti nutrendosi dei miti del West e in Italia, negli anni sessanta, è stato anche inventato il western all’italiana, che ha riscosso un discreto successo, pur se guardato con diffidenza dagli americani, una diffidenza che, a suo tempo, pensai fosse dovuta al loro pensiero americanocentrico. Nel tempo quella struttura narrativa, ispirata alla Wilderness e alla rigenerazione morale, è andata incontro a numerosi rinnovamenti, con nuovi e diversi ingredienti. I protagonisti delle storie da eroi omerici sono diventati uomini comuni, antieroi. La visione messianica della costruzione di una grande nazione è andata scemando verso più confinate morali singole e personali. Poi sono comparse anche figure femminili con ruoli più o meno importanti, ma spesso quasi mai convincenti.
In Godless le donne sono tante. In una città di vedove, sono quasi la totalità. Quelle donne sono tutte vere. Questo nuovo e forte ingrediente fa già una grandissima differenza con tutta la precedente narrativa. Nel secolo scorso, negli anni settanta, si pensava che il genere Western avesse esaurito le sue risorse, che avesse già detto tutto, che tutte le sperimentazioni successive fossero destinate a noiose ripetizioni. Qualcuno, veramente isolato, aveva, però, anche scritto che quel genere di letteratura fosse aperto e capace di rinnovarsi e di attrarre ancora interesse.
Con Godless il Western ha fatto ancora una volta un salto in avanti per la convincente partecipazione corale delle donne e per la costruzione di una morale, non bigotta come spesso è stata raccontata in passato, ma aperta e comunque fondata sul un codice molto pratico ma non insano: “quando la legge non ti protegge e Dio sembra non intervenire, allora gli uomini e le donne devono inventare qualcosa per non soccombere”. E’ quella una morale prammatica che può lasciare liberi gli uomini di interpretarla come vogliono e quindi anche di fare il male, ma soltanto se sono mentalmente disonesti. Si riproduce così l’eterna lotta tra il bene e il male anche in un mondo dove Dio non sembra affacciarsi. Il bene però riaffiora quasi con stupore. Infatti i protagonisti fanno di tutto per salvarsi senza credere molto nella riuscita, ma agiscono con tenacia: tanto ormai rimane loro molto poco da perdere.
Oltre alla convincente forza della storia narrata, la serie Godness può vantare un elemento ancora più innovativo, quello metafisico. Se è vero, infatti, che il genere ha sempre annoverato il rapporto con il trascendente, attraverso il linguaggio poetico e spirituale degli indiani e le visioni degli stregoni, però quel trascendente rimaneva sempre aldilà della storia, un qualcosa di staccato. Invece, In Godless, parallelamente e contemporaneamente all’evolversi della storia narrata, viene rappresentato il dipanarsi di un destino che sembra non avere a che fare con gli umani, ma con il quale quest’ultimi dovranno comunque confrontarsi. Roy e il fratello maggiore scappano verso la California, ma si perdono camminando in circolo, e nella notte buia trovano ospitalità dalla filantropa Lucy. Lo sceriffo, consapevole di non brillare nel suo lavoro e di non poterlo più fare perché sta perdendo completamente la vista, si ostina a cercare il cattivissimo della situazione per assicurarlo alla giustizia. Un confronto improbabile tra Bill e Frank, perché Frank, oltre che spietato è anche intelligente, carismatico, ed efficacissimo quando vuole uccidere, ma soprattutto, come se non bastasse, ha con sé trenta pistoleri senza scrupoli. Lo sceriffo Bill vuole riscattare la nullità della propria esistenza e, senza avere carte da giocare, va alla ricerca del criminale. Si muove lentamente e in modo impacciato. Quasi non riesce a vedere. Ogni tanto però si accorge della presenza di un indiano vestito di bianco, su un cavallo bianco, accompagnato da un cane. l'incedere lento dello sceriffo sembra raccontare una realta parallela allo svolgersi della vita degli altri abitanti di quel territorio. Nello scontro finale, Bill e Roy sparano e ricaricano come se il pericolo di essere colpiti dalla pallottole nemiche non li riguardasse. Qualcosa interviene dall’esterno, come da un mondo parallelo. Le musiche graffianti accompagnano una fotografia che si fa apprezzare ed aiuta a sognare la storia.
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