figliounico
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sabato 25 marzo 2023
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un titolo sbagliato per un film sbagliato
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Per Samuel Maoz la scelta del punto di vista non è soltanto una questione stilistica. Le frequenti inquadrature dell’azione dall’alto implicano lo sforzo di assumere uno sguardo altro da quello comune, forse il desiderio di vedere il mondo con l’occhio di Dio. La digressione filmica nel fumetto introduce un’ulteriore punto di vista, inusuale nella narrazione, quello innocente per definizione del bambino. Peccato che il titolo italiano del film spoileri il soggetto privando lo spettatore del piacere di scoprire lo sviluppo del plot. Peccato che le suggestioni degli sguardi incrociati, dall’alto e dal basso, restino tali e disarticolate non riuscendo a formare una prospettiva unica che ci dia un senso del mondo da condividere.
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Per Samuel Maoz la scelta del punto di vista non è soltanto una questione stilistica. Le frequenti inquadrature dell’azione dall’alto implicano lo sforzo di assumere uno sguardo altro da quello comune, forse il desiderio di vedere il mondo con l’occhio di Dio. La digressione filmica nel fumetto introduce un’ulteriore punto di vista, inusuale nella narrazione, quello innocente per definizione del bambino. Peccato che il titolo italiano del film spoileri il soggetto privando lo spettatore del piacere di scoprire lo sviluppo del plot. Peccato che le suggestioni degli sguardi incrociati, dall’alto e dal basso, restino tali e disarticolate non riuscendo a formare una prospettiva unica che ci dia un senso del mondo da condividere. E’ un dramma familiare che riflette quello di un’intera nazione in guerra dalla sua nascita e che a sua volta nel suo presente riassume la tragedia della shoah ed il terribile destino riservato al popolo ebraico dalla Storia. Tuttavia le ambizioni concettuali e le aspirazioni artistiche dello script non si realizzano nel film, soprattutto per la mancanza di tensione, che si concentra nei primi dieci minuti di girato, partendo dalla scena iniziale in cui i genitori ricevono la notizia della morte del figlio, per poi diluirsi nella lentezza spasmodica del modo di raccontare. La cinepresa si sofferma nella descrizione minuziosa di particolari esterni al dramma sfociando spesso in un estetismo di maniera, ad esempio, nella lunga sequenza in cui si passano lentamente in rassegna tutti gli oggetti disposti su un tavolo nel bunker dell’avamposto israeliano come fossero parte di una natura morta. L’apparizione del cammello, di per sé surreale, si sovraccarica di funzioni simboliche lasciate alla libera interpretazione dello spettatore e risulta anch’essa sganciata, come le anzidette suggestioni prospettiche, da una costruzione unitaria, da una visione interessante della questione che si vuole affrontare. Indubbiamente al fondo del film c’è la questione palestinese. In parole povere, il film è di una noia mortale e questo nonostante l’apprezzabile recitazione degli interpreti, in particolare di Lior Ashkenazi nel ruolo del padre, il protagonista su cui convergono tutte le linee d’azione del dramma, ed il riferimento attuale alla condizione esistenziale dei due popoli in lotta per la medesima terra. Un film che vorrebbe essere tante cose, politico, poetico, surreale, ma non riesce in nessuna di queste.
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sellerone
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sabato 3 agosto 2019
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occhio al dromedario....
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E' risaputo che nella situazione di guerra perenne fra Israele e gli arabi, la cosa più pericolosa per i militari della stella di Davide sono i Dromedari palestinesi. Scherzi a parte, film profondo ed introspettivo, ottimi attori e l'atmosfera. Mi ha sorpreso e glie ne sono grato. Non esagero nel voto per questione di gusto personale.
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fabio
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mercoledì 6 febbraio 2019
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non convince, troppo lento.
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Non funziona: troppo lento specialmente all'inizio, migliora nella parte dei commilitoni ma non decolla mai.
Il dolore, la tragedia, le colpe: tutto annacquato in sequenze deboli, che non hanno nulla di visionario.
Tutto sommato: un film inutile che non riesce mai ad andare oltre il gusto per l'immagine.
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noureddine el harti
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mercoledì 31 ottobre 2018
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la vanità della volpe
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Foxtrot - La danza del destino Oppure La vanità della volpe Questo modello di scrittura è diffuso da decine di anni nei paesi in cui la libertà d’espressione è oppressa. Siamo davanti ad una fiction che sembra narrare di gente senza etnie dichiarate, senza tempo, senza spazio. È la lingua parlata che allude ad una comunità ebraica. Il tempo è suggerito dalle generazioni, dalla nonna ai nipoti dei componenti del nucleo famigliare attorno ai quali si tessono gli eventi. il cane, sul quale il maschio alfa scarica periodicamente la sua rabbia, sembra un orientamento geografico nello spazio. Il susseguirsi delle scene è un album di situazioni che chiamano la riflessione: -Il potere dello stato (la grande famiglia) che prevale sul potere del nucleo famigliare.
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Foxtrot - La danza del destino Oppure La vanità della volpe Questo modello di scrittura è diffuso da decine di anni nei paesi in cui la libertà d’espressione è oppressa. Siamo davanti ad una fiction che sembra narrare di gente senza etnie dichiarate, senza tempo, senza spazio. È la lingua parlata che allude ad una comunità ebraica. Il tempo è suggerito dalle generazioni, dalla nonna ai nipoti dei componenti del nucleo famigliare attorno ai quali si tessono gli eventi. il cane, sul quale il maschio alfa scarica periodicamente la sua rabbia, sembra un orientamento geografico nello spazio. Il susseguirsi delle scene è un album di situazioni che chiamano la riflessione: -Il potere dello stato (la grande famiglia) che prevale sul potere del nucleo famigliare. Una specie di diritto di vita e di morte sui figli degli altri (la richiesta d’intervento di qualche generale dell’esercito). -In un istituto lussuoso, in fondo della scena, degli anziani dai passi rigidi ballano mentre in primo piano una donna di mezz’età danza con grazia. (anche per le vittime della seconda guerra… la vita deve continuare) una giovane di colore aspetta accanto ad una colonna dopo aver accompagnato una madre che si confonde tra i suoi figli. (discriminazione raziale anche tra la “stessa” gente) -Le scene con il cammello nel posto di blocco rimandano alla parabola “E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli” (Mt 19,24), però mantengano non identificati il ricco in questione e il presunto regno dei cieli. -Lo stato dell’arsenale tecnologico usurato dalla natura può essere interpretato come riferimento al vero esercito nemico. -Il container che affonda nel fango può essere come riferimento al senso del termine “Palestina” detto in altre lingue °falass ten” e che significa “rovina dell’argilla”. -Lo status di ateo affermato all’inizio tra il padre e lo zio poi affermato nel mezzo del film tra i ragazzi del posto di blocco, pone l’interrogazione sulla legittimità di un matrimonio tra l’ideologia di una comunità e la nazione di un popolo: il giudaismo è una religione ma ciò non basta per improvvisare lo Stato del popolo ebreo nemmeno con il pretesto che dio stesso gli abbia dato un nome, Israele o altro. -Il sipario scende sul palcoscenico con le illustrazioni, l’unico patrimonio che il figlio abbia lasciato in cui, tra l’altro, scorre il tatuaggio che perde forma e consistenza man mano che la pelle stessa della nonna subisce altrettanto col passar del tempo. il quaderno sfogliato dalle mani lesionati dei genitori sembra voler riassumere tutta la sofferenza del vissuto dicendo che questa è una cultura senza ricordi. La sua gente, lesionata da terzi o auto lesionata, è smemorata. La sovrabbondante descrizione del dolore subito e la quasi timida espressione del dolore inflitto agli altri tende a fare di questo film un punto di vista per nulla neutrale ma, le denunce lungo la storia, rimediano a quest’handicap.
noureddine el harti
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gaiart
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domenica 28 ottobre 2018
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green book e l'atlante del possibile
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Genius is not enough. It takes courage to change the people’s soul.
Quando c'è bellezza, sensibilità, eleganza, ironia, professionalità, cultura, simpatia e un pò di umanità allora si toccano i vertici.
E' questo il caso del film Green book. Per chi non lo sapesse il Green book era in realtà una sorta di atlante per gli spostamenti dei neri negli anni '60 in America, una lista di alberghi, motel, ristoranti e luoghi dove era loro consentito sostare, mangiare, in sostanza vivere, senza essere menati, insultati, cacciati, come invece succedeva spesso altrove.
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Genius is not enough. It takes courage to change the people’s soul.
Quando c'è bellezza, sensibilità, eleganza, ironia, professionalità, cultura, simpatia e un pò di umanità allora si toccano i vertici.
E' questo il caso del film Green book. Per chi non lo sapesse il Green book era in realtà una sorta di atlante per gli spostamenti dei neri negli anni '60 in America, una lista di alberghi, motel, ristoranti e luoghi dove era loro consentito sostare, mangiare, in sostanza vivere, senza essere menati, insultati, cacciati, come invece succedeva spesso altrove.
Il film è sorprendente ed è fatto proprio con amore. Solleva tematiche politiche e sociali, quali la potenza della cultura, la solitudine dei geni, la solidarietà tra anime ed esseri umani anche con formazioni, background, colori e culture diverse, l'integrazione sociale e la dismississione di un inutie e sterile razzismo. Questa la parte seria profonda e utile del film.
Poi c'è tutta una parte divertentissima fatta da dialoghi ironici, colti, divertenti e sani in cui lo stereotipo del "little italy" newyorkese trova ancora più conforto e accoglienza in una proiezione romana, dove le leggere e perfette inflessioni in calabrese stretto di Viggo Mortensen, visibilmente appesantito per entrare meglio nel ruolo di "public relationer ", cioè buttafuori nei night, rendono la "famiggglia" italiana un Must della New York anni 50 e 60.
In realtà la storia è tratta da questo personaggio meraviglioso della New York anni 60, TonyLip Villalonga e la sua vita. Questo uomo che magna quintali di cibo con una voracità unica, spingendosi per vincere una scommessa a 26 hotdogs e, a suo discapito, dice: "mio padre mi ha insegnato quando fai una cosa falla con amore, se mangi mangia fino in fondo", sa conquistare tutti.
Infatti entrò a contatto con grandi nomi e star, rimanendo sempre se stesso, un uomo di umanità e forza bruta, dolcezza e carisma, atteggiamenti medioevali e bruschi, ma con un grande cuore e intelligenza.
Il film, presenatto già a Toronto, è forse il più bello passato finora alla festa del cinema e auguro che vinca il plauso del pubblico, cosa che di sicuro non succederà.
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emanuele1968
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mercoledì 25 aprile 2018
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mah.....
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Un pò altanelante tra i drammatico estremo, e melodrammatico, poi nel secondo tempo mi sono perso un pezzo, in conclusione non ho capito.
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flyanto
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martedì 3 aprile 2018
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la danza della vita
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"Foxtrot" simboleggia, come i passi dell'omonimo ballo, l'andamento della vita che, facendo percorrere diverse direzioni, poi conduce sempre al fine stabilito. Da qui l'impotenza dell'uomo di fronte al Fato.
Ad una famiglia viene annunciata la morte del proprio figlio militare stanziato in un posto di blocco posto al confine del Paese.
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"Foxtrot" simboleggia, come i passi dell'omonimo ballo, l'andamento della vita che, facendo percorrere diverse direzioni, poi conduce sempre al fine stabilito. Da qui l'impotenza dell'uomo di fronte al Fato.
Ad una famiglia viene annunciata la morte del proprio figlio militare stanziato in un posto di blocco posto al confine del Paese. Il dolore dei genitori è immenso e, sia pure in uno stato emotivo di profonda disperazione, vengono intrapresi i preparativi per il funerale. Nel frattempo viene loro annunciata la notizia dello sbaglio d'identità e che pertanto il ragazzo è ancora vivo e compie il proprio dovere di soldato nella propria postazione militare al confine. Da questo momento si verificherà una serie di avvenimenti che porteranno ad un'unica ed inevitabile conclusione....
"Foxtrot" è una pellicola divisa in quattro parti o capitoli in cui vengono alternativamente rappresentati lo stato d'animo e le azioni dei genitori e quelli del ragazzo nella sua attività di soldato. L'andamento, pertanto, di ciò che viene raccontato come, appunto, un ballo simboleggiante l'esistenza umana, ha un inizio che riconduce, chiudendo come fosse un cerchio, ad una fine che in pratica è già presente sin dall'inizio. Un film molto particolare e profondo emotivamente parlando e colmo di una suggestiva simbologia che induce lo spettatore a riflettere seriamente sull'esistenza, sul valore di essa e sul Destino e l'operare invano umano.
Delicato e melanconico allo stesso tempo.
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miguelangeltarditti
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lunedì 2 aprile 2018
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destino y guerra
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El director Samuel Maoz, israelita, con una producción cinematográfica realizada entre Israel, Alemania, y Francia, produce este film premiado en el último festival de Venecia, Italia. Ya había ganado en el 2009 el León de Oro en el mismo festival, por su “Lebanon”.
De interesante profundidad filosófica y de una gran belleza cinematográfica, que se contrapone como estética y contenido, a ese cine consumista y facilista que llega en cantidades aberrantes a las salas ávidas de ganancias en boletería, y que banalizan las posibilidades didácticas del arte del cine.
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El director Samuel Maoz, israelita, con una producción cinematográfica realizada entre Israel, Alemania, y Francia, produce este film premiado en el último festival de Venecia, Italia. Ya había ganado en el 2009 el León de Oro en el mismo festival, por su “Lebanon”.
De interesante profundidad filosófica y de una gran belleza cinematográfica, que se contrapone como estética y contenido, a ese cine consumista y facilista que llega en cantidades aberrantes a las salas ávidas de ganancias en boletería, y que banalizan las posibilidades didácticas del arte del cine.
“Foxtrot”,es un film con momentos de surrealismo, que propone esa pregunta sin respuesta, que nos hacemos cuando pensamos en nuestro destino. Abre la discusión sobre determinismo cósmico o indeterminismo del ser humano, posibilitado o no, a elaborar su propio proyecto de vida. Si todo ya está determinado, se desresponsabilizarìa la vida del ser humano, cosa que sería muy cómodo para justificar nuestra inacción. Para no hacernos cargo de nuestros pasos. Para no gobernarnos con nuestro propio raciocinio.
Samuel Maoza los 20 años entraba, en 1982, como soldado con un carro armado israelita en la invasión al Líbano, por lo cual sabe de guerra, y vuelca en el film un grito critico al absurdo de la guerra.
La guerra no hiere solo con las bombas, destruye también con la inacción; la inacción de la espera es altamente nociva, la guerra no se nota solo en el estruendo de las bombas, sino también en el silencio destructivo, interno, intrínseco del ser humano que participa de ella. Sin mencionar el efecto aniquilador de las sociedades que sufren la guerra como víctimas.
O sea que “Foxtrot”, (que en la realidad es una danza amable), habla, como film, de la guerra inhumana. Y no solo.
Filosofa además sobre el destino. Se pregunta si el destino puede ser modificado, o si es inapelable. Usa entonces la metáfora del foxtrot, que tiene como coreografía, pasos ya determinados y fijos y que no pueden ser cambiados.
La vida también es una danza con pasos fijos, y no modificables, es el determinismo implacable. Son las dos líneas ideológicas del film: el horror de la guerra y la inapelabilidad del destino.
Personalmente coincido con lo primero y disiento con lo segundo, porque hago votos por una vida donde el hombre, al menos en parte, sea artífice de su programa existencial, que lo pueda construir con su libre albedrio con la capacidad del intelecto.
Pero el film es muy interesante porque provoca la reflexión del alto pensamiento, porque su elaboración no tiene concesiones banales, porque el lenguaje visual y estético es excelente, sub real por momentos, porque es personal en su narración (con ese camello que pasa delante de los soldados, casi insolentemente, con una oculta simbología de muerte inquietante).
Bravos los actores:Lior Ashkenazi, Sara Adler, Yonatan Shiray, Gefen Barkai, Dekel Adin
michelangelotarditti@gamil.com
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vetrolla
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mercoledì 28 marzo 2018
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qualche ombra ma la luce è intensa
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Non direi narcisistico, piuttosto l'ho trovato in qualche punto tendente verso un compiaciuto manierismo, ma il film è comunque potente, e anche se la ricerca dell'effetto talora appare troppo scopertamente voluta, è notevole la commistione fra crudo realismo e simbolismo, fra distacco e partecipazione.
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carlosantoni
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lunedì 26 marzo 2018
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danzando su un piano inclinato
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C'è un mezzo che si muove arrancando su una strada dissestata in mezzo a un deserto, sotto un cielo torvo. è un mezzo militare, ma ancora non si sa. Qualcuno poi suona a una porta, apre una donna, chi ha suonato, fuoori campo, chiede con tono greve: "Signora Feldmann?". Per tutta risposta, dopo un attimo di smarrimento, Daphna Feldmann sviene. Chi ha suonato alla porta la soccorre prima che cada per terra, si vede che sono militari israeliani, s'intuisce la tragedia. I militari sono giunti a quella famiglia per recare la notizia che il loro ragazzo, Yonathan, è caduto mentre svolgeva il suo servizio. Seguono scene di disperazione intensissime, prive di mediazione.
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C'è un mezzo che si muove arrancando su una strada dissestata in mezzo a un deserto, sotto un cielo torvo. è un mezzo militare, ma ancora non si sa. Qualcuno poi suona a una porta, apre una donna, chi ha suonato, fuoori campo, chiede con tono greve: "Signora Feldmann?". Per tutta risposta, dopo un attimo di smarrimento, Daphna Feldmann sviene. Chi ha suonato alla porta la soccorre prima che cada per terra, si vede che sono militari israeliani, s'intuisce la tragedia. I militari sono giunti a quella famiglia per recare la notizia che il loro ragazzo, Yonathan, è caduto mentre svolgeva il suo servizio. Seguono scene di disperazione intensissime, prive di mediazione. Il padre Michael rimane al centro dlle scena, la madre invece è stata immediatamente sedata. La mdp si alza e riprende la scena il perfetta verticale, poi ruota lentamente su se stessa con un effetto di massimo spaesamento, fa girare la testa, forse come sta girando al protagonista, colto da una notizia così terribile. Durante il film la mdp continuerà più volte a volare alta, a scrutare in basso. Altre volte, in scene d'interno, se ne resterà invece immobile, fissa sui suoi soggetti in dialogo, come ci trovassimo a teatro. La fotografia è cupa, oscura, morbida, ovattata, il clima quasi sempre inclemente. La colonna sonora a volte assente, a volte commenta, senza mai eccedere. La recitazione degli attori, a cominciare dai due protagonisti, il padre Michael (Lior Aschkenazi) e Dahna (Sarah Adler) è intensa e credibile.Ma ciò che fa del film di Maoz un gran bel film, sono due altri aspetti. Il primo, la disinvoltura, la sapiente spavalderia, con la quale il regista mescola i generi, in maniera che può anche risultare scioccante, passando senza soluzione di continuità dalla tragedia alla commedia, qua e là con incursioni nel genere musicall o fumettistico: modalità espressive distonanti che attingono, credo, all'ironia tipica della cultura yiddish: una modalità per cercare di superare il dolore incontenibile della perdita di un figlio, che tuttavia tale resta. Il film è pieno di rimandi simblici al fato, e al tempo stesso alla disumana stupidità della vita intesa come guerra coninua e priva di scopo. Il cammello svolge il suo ruolo simbolico di accidentalità, mentre il container sempre più innclinato allude ad una situazione politica, e umana, estremamente precaria. Così il foxtrot, un ballo che proprio come la guerra si muove nelle quattro possibili direzioni, per far sì che poi alla fine il ballerino si ritrovi semplicemente allo stesso punto di partenza. Eccellente la sceneggiatura, tripartita e drammaticamente imprevedibile, ma non poi così tanto: in fondo si capisce subito che il babbo ha ragione a temere, a non fidarsi delle buone notizie: il destino è cattivo, proprio come lo siamo noi uomini. Bellissimo film, intenso, emozionante, umanissimo. Un dovere vederlo.
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