stefano pariani
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giovedì 23 giugno 2016
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nicolas si perde in un'estetica algida e ricercata
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Ci aveva stupiti con “Bronson” (2008), che lanciò il talento di Tom Hardy, e folgorati con “Drive” (2011), indimenticabile l’interpretazione di Ryan Gosling. Nicolas Winding Refn lo abbiamo atteso per le prove successive con aspettative alte e giustamente motivate ed è arrivato “Solo Dio perdona” (2013), deludendo tuttavia i più. Confuso, ambizioso, autocompiaciuto.
A riaccendere la curiosità attorno al regista danese arriva ora sugli schermi, subito dopo il passaggio a Cannes, “The neon demon”, una sorta di horror-glam ambientato nel mondo della moda. Jesse (Elle Fanning) è una giovane aspirante modella sedicenne che si muove in una Los Angeles patinata e squallida al tempo stesso e che si fa notare rapidamente per la sua bellezza pura e naturale.
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Ci aveva stupiti con “Bronson” (2008), che lanciò il talento di Tom Hardy, e folgorati con “Drive” (2011), indimenticabile l’interpretazione di Ryan Gosling. Nicolas Winding Refn lo abbiamo atteso per le prove successive con aspettative alte e giustamente motivate ed è arrivato “Solo Dio perdona” (2013), deludendo tuttavia i più. Confuso, ambizioso, autocompiaciuto.
A riaccendere la curiosità attorno al regista danese arriva ora sugli schermi, subito dopo il passaggio a Cannes, “The neon demon”, una sorta di horror-glam ambientato nel mondo della moda. Jesse (Elle Fanning) è una giovane aspirante modella sedicenne che si muove in una Los Angeles patinata e squallida al tempo stesso e che si fa notare rapidamente per la sua bellezza pura e naturale. Bionda, graziosa e viso innocente, Jesse si attira subito l’invidia di alcune modelle affermate, che la vedono improvvisamente al centro dell’attenzione dei fotografi e degli stilisti più esigenti.
Non passerà molto tempo perché anche Jesse venga fagocitata in quell’ambiente spietato e crudele, perdendo progressivamente la sua originaria freschezza e ingenuità e finendo preda di chi la sua bellezza la invidiava e la voleva a qualsiasi costo.
Tra scenari algidi e ambientazioni oniriche e surreali, debitrici in varia misura del cinema di Brian de Palma e David Lynch (ma si veda anche “Il bacio della pantera” di Paul Schrader), il film lancia un chiaro messaggio sull’adulazione e sull’estrema ricerca della bellezza, al limite con la follia. A farne le spese una vittima sacrificale gettata in un’arena vorace, della quale finisce col subire il fascino letale.
L’occhio di Winding Refn indaga ogni parte del viso, ogni espressione di Jesse, con l’ammirazione con cui si contempla la bellezza perfetta di una dea neoclassica. Ma non si risparmia di farla successivamente a brandelli, di sporcarla di sangue, di guardarla senza pietà letteralmente divorata dalle glaciali modelle che finalmente possono sentirsi rinate, grazie alla bellezza che tanto desideravano.
Brava Elle Fanning in un ruolo estremo e di rottura con i personaggi finora interpretati; il film gira attorno a lei e così anche la nostra attenzione, che vorrebbe preservarla ad ogni istante da un manipolo di personaggi disumani. Nel cast anche l’ex bimba prodigio Jena Malone, nel ruolo di un’ambigua truccatrice amica (non disinteressata) di Jesse e protagonista di un’esplicita quanto gratuita scena lesbo-necrofila.
Il film, ambizioso e discutibile, si perde nella sua estetica ricercata e fine a se stessa e in una sceneggiatura, scritta a più mani, a tratti superficiale e facilmente dimenticabile. Che sia ora per Nicolas di fermarsi un po’ e riflettere sulle prossime scelte?
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sickboy
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giovedì 15 settembre 2016
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labbra scarlatte
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L'eterea Jesse è una giovanissima ragazza con il sogno della moda. A tale scopo, si reca a Los Angeles e riesce a farsi reclutare da un magnate del settore. Sotto la guida dell'ambigua truccatrice Ruby, fra luci psichedeliche, flash e set fotografici, la ragazza scoprirà a sue spese quali famelici demoni accende la sua diafana bellezza e la sua virginea innocenza.
Film particolarissimo, di sicuro non destinato al largo consenso popolare. Ma evidentemente non è questo aspetto che preoccupa il giovane regista Refn, che in quanto a talento visionario e senso della messa in scena, ne ha da vendere. In questo senso, il film è ammaliante, tanto quanto le modelle che vediamo comparire in mezzo a musiche elettroniche ed effetti di luce di ogni sorta.
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L'eterea Jesse è una giovanissima ragazza con il sogno della moda. A tale scopo, si reca a Los Angeles e riesce a farsi reclutare da un magnate del settore. Sotto la guida dell'ambigua truccatrice Ruby, fra luci psichedeliche, flash e set fotografici, la ragazza scoprirà a sue spese quali famelici demoni accende la sua diafana bellezza e la sua virginea innocenza.
Film particolarissimo, di sicuro non destinato al largo consenso popolare. Ma evidentemente non è questo aspetto che preoccupa il giovane regista Refn, che in quanto a talento visionario e senso della messa in scena, ne ha da vendere. In questo senso, il film è ammaliante, tanto quanto le modelle che vediamo comparire in mezzo a musiche elettroniche ed effetti di luce di ogni sorta. Ma i demoni sono in agguato, pronti a risvegliarsi, catalizzati dalla protagonista (la bravissima Elle Fanning) e l'inferno a neon si palesa in tutta la sua irruenza. Film di non facile decifrazione, aperto a diverse interpretazioni, una delle quali potrebbe trovarsi nell'alienazione di una società votata a fagocitare e divorare le innocenze, trasformandole in altro. La purezza è tabù, in quanto non serve agli scopi dell'immagine e del consumo ossessivo e va quindi estinta, cannibalizzata. La critica si è divisa, come spesso capita di fronte ad opere altamente autoriali come questa. Inutile cercare difetti di sceneggiatura o di altro tipo: lo stesso regista è stato chiaro, dichiarando che le sue intenzioni non sono quelle di girare film, ma di creare esperienze. Prendere o lasciare.
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gianleo67
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lunedì 3 ottobre 2016
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la morte dell'altra...ti fa bella
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Appena arrivata a Los Angeles per intraprendere la carriera di modella, la giovane Jesse viene ingaggiata da un famoso guru della moda, entrando nelle mire di tre inquietanti colleghe morbosamente attratte dall'ideale di candore e di bellezza che la ragazza sembra incarnare.
Oggetto un pò misterioso di una disinvolta ambizione festivaliera, questa ennesima riproposizione del mondo dell'effimero come paradigma faustiano di perdizione e dannazione eterna sembra il facile clichè per una messa in scena grandguignolesca che, se non aggiunge nulla ad un immaginario già consolidato da opere di ben altro spessore, benchè dal registro assai diverso (per dire, da 'Mulholland Drive' a 'La morte ti fa bella'), dall'altro sembra di confermare la regola d'oro secondo cui quando il successo rischia di darti alla testa sarebbe bene pensare di prendersi un anno sabbatico, piuttosto che ridursi a siglare le proprie opere con un pretenzioso marchio di fabbrica (NWR) al pari di un CR7 qualunque.
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Appena arrivata a Los Angeles per intraprendere la carriera di modella, la giovane Jesse viene ingaggiata da un famoso guru della moda, entrando nelle mire di tre inquietanti colleghe morbosamente attratte dall'ideale di candore e di bellezza che la ragazza sembra incarnare.
Oggetto un pò misterioso di una disinvolta ambizione festivaliera, questa ennesima riproposizione del mondo dell'effimero come paradigma faustiano di perdizione e dannazione eterna sembra il facile clichè per una messa in scena grandguignolesca che, se non aggiunge nulla ad un immaginario già consolidato da opere di ben altro spessore, benchè dal registro assai diverso (per dire, da 'Mulholland Drive' a 'La morte ti fa bella'), dall'altro sembra di confermare la regola d'oro secondo cui quando il successo rischia di darti alla testa sarebbe bene pensare di prendersi un anno sabbatico, piuttosto che ridursi a siglare le proprie opere con un pretenzioso marchio di fabbrica (NWR) al pari di un CR7 qualunque. Capita quindi che nell'esaltare la pretesa superficialità dei temi con l'attesa superficialità del format, si confonda intenzionalmente la legittima aspirazione a trasformare l'ispirazione in una coerente struttura formale con la provocatoria volontà di ridurre quest'ultima allo scopo ultimo della rappresentazione cinematografica. Se il demone della vanità si è impossessato di me, sembra dire NWR, allora mi perdoneranno per certo se ne riduco la celebrazione ad un mero esercizio di stile. Il diavolo sta nei dettagli insomma, ma qui sembrano essercene troppi, compresa la classica discesa agli inferi, nel regno dello squallore e della perdizione, tra i laidi recessi di in universo violento e selvaggio e la crudele sublimazione di un posticcio ideale di bellezza che si nutre del sangue e della carne di giovani prede da sacrificare sull'altare di una immonda bramosia di vanità. The Neon Demon, la geometrica, abbacinante, ipnotica divinità dell'effimero diventa quindi lo specchietto per le allodole per un pubblico da stordire con un impianto visivo di primordine (tra vertiginosi piano sequenza, luci stroboscopiche, musiche psichedeliche, ridontanti cromatismi e chi più ne ha più ne metta) ed una pretestuosa superficialità narrativa in cui la frammentarietà delle scene e la spiazzante incoerenza dei nessi logici sono l'armamentario un pò spuntato di chi vorrebbe decretare anzitempo l'inesorabile declino della settima arte (The Canyons - 2013). L'impianto favolistico di questo pastiche misogino in salsa horror soggiace quindi un pò enfaticamente ad un plot di genere con molte concessioni al kitsch e qualche citazione di troppo (Polanski, Lynch, De Palma...persino Argento!) che ne fanno un prodotto derivativo dalla messa in scena estetizzante e pretenziose ambizioni d'autore non andate a buon fine. Alternano soluzioni visive di indubbio fascino ad imbarazzanti cadute di gusto, il film di Refn oscilla pericolosamente tra il sublime e il ridicolo, agitando sotterranee pulsioni ferali (sessuali, macabre, mortifere) che emergono con sconcertante superficialità nei riti ancestrali di un club locale di giovani streghe o nello sfiancante corteggiamento di una irriducibile ragazza frigida. Finale cruento e stomachevole, non esattamente per tutti i gusti.
Nemmeno l'Inferno conosce la furia di una donna che e stata respinta...sopratutto se a respingerla è un'altra donna!
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andrej
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sabato 25 marzo 2017
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un indigesto mix di troppi ingredienti diversi
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Thriller-horror discontinuo, ibrido e frastornante, il film parte discretamente ma dopo la prima ora si fa sempre piu’ confuso e bizzarro, passando da minuti di pura noia (come nella lunghissima, per nulla bella e totalmente superflua scena della sfilata, durante poco meno di 5 minuti e che si sarebbe potuta tranquillamente tagliare per intero, con gran beneficio della pellicola) a bruschi cambiamenti stile e registro espressivo, con abbondanza di eccessi e stranezze di ogni tipo, per poi crollare definitivamente in un finale assurdo e incompiuto. A fine visione lo spettatore resta confuso e perplesso, quasi incredulo davanti a una conclusione cosi’ inadeguata e repentina, e indisposto e irritato dalla cacofonica dissonanza di stili e di generi cui lo si e’ crudelmente sottoposto.
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Thriller-horror discontinuo, ibrido e frastornante, il film parte discretamente ma dopo la prima ora si fa sempre piu’ confuso e bizzarro, passando da minuti di pura noia (come nella lunghissima, per nulla bella e totalmente superflua scena della sfilata, durante poco meno di 5 minuti e che si sarebbe potuta tranquillamente tagliare per intero, con gran beneficio della pellicola) a bruschi cambiamenti stile e registro espressivo, con abbondanza di eccessi e stranezze di ogni tipo, per poi crollare definitivamente in un finale assurdo e incompiuto. A fine visione lo spettatore resta confuso e perplesso, quasi incredulo davanti a una conclusione cosi’ inadeguata e repentina, e indisposto e irritato dalla cacofonica dissonanza di stili e di generi cui lo si e’ crudelmente sottoposto. L’impressione e’ che regia e sceneggiatura non siano state capaci di operare le necessarie scelte circa la direzione su cui indirizzare la pellicola, il genere cinematografico cui attenersi, lo stile prevalente da usare, volendo fare e inserire nel film troppe cose troppo diverse tra loro, col risultato di creare una indigesta e pesantissima insalata russa, destinata a rimanere a lungo sullo stomaco della stragrande maggioranza degli spettatori. Si parte coi toni e i modi di una normale commedia (cui ci si sarebbe potuti mantenere fedeli o da cui si sarebbe potuto poi legittimamente passare alla commedia drammatica) e questa prima parte e’ senza dubbio la parte migliore del film; scricchiolii e dissonanze iniziano a farsi sentire quando all’interno della storia “principale” (trattata in modo piuttosto tradizionale e realistico) si aprono lunghe e infelici parentesi dallo stile espressivo completamente diverso: scene oniriche e riprese tecniche di reportage modaioli che, per quanto perfettamente pertinenti all’argomento del film, sono purtroppo realizzate con mano pesante e poco felice, penalizzate da ambizioni simboliche tanto enigmatiche quanto posticce e da scelte cromatiche e musicali complessivamente sgradevoli nonche’ da uno stile astratto, metaforico o da videoclip pubblicitaria che troppo contrasta con quello del resto della vicenda, causando dissonanze stridenti e fastidiose incongruenze. Ma dove a mio parere il film crolla senza scampo e’ nella brusca virata in direzione horror che caratterizza il finale (maldestramente sanguinolento, inutilmente grandguignolesco e stilisticamente incerto fra compiacimento splatter e ironia, con risultato fallimentare su entrambi i fronti), nell’ultima scena di set fotografico (lentissima e di rara bruttezza) e nella conclusione repentina e monca. Superfluo aggiungere che nel complesso questo film non mi e’ piaciuto per niente, anche se ho seguito con curiosita’ e interesse la prima parte di esso e non ho mancato di apprezzare alcune scene coraggiose e originali, come quella umoristica e politicamente scorrettissima dell’albergatore pedofilo (interpretato da un Keanu Reeves in insolite vesti da cattivo), quella delle serrate, irriducibili avances della truccatrice lesbica nei confronti della ingenua protagonista ritrosa e quella che vede la medesima impegnata in una dettagliata scena di necrofilia lesbica con il cadavere di una bella ragazza simile a colei di cui si e’ invaghita: scena che sfida uno dei piu’ forti tabu’ cinematografici e lo fa al tempo stesso con audacia ed eleganza. Peccato che i pregi della pellicola non bastino a controbilanciare i gravi difetti di cui sopra. In conclusione: ad oggi l’opera in assoluto meno convincente del regista Nicolas Refn.
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pietroviola
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giovedì 29 giugno 2017
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etica ed estetica del vuoto
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Senza la Bellezza, scriveva Dostoevskij, l'umanità è perduta. Ciò che sgomenta maggiormente di questo film algido, perfetto nelle forme, ammaliante e repellente ad un tempo, è la precisione con cui racconta la più grande tragedia della contemporaneità: la perdita della capacità di tollerare la bellezza, la spinta consumistica ad appropriarsene, a svilirla, a contaminarla in ogni modo, fosse anche solo attraverso la trappola antica dello specchio e di Narciso, un mondo dove nessuno, in una logica mortifera che identifica godimento, possesso e distruzione, è piu in grado di incontrare nessun altro, né tantomeno di desiderare alcunché.
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Senza la Bellezza, scriveva Dostoevskij, l'umanità è perduta. Ciò che sgomenta maggiormente di questo film algido, perfetto nelle forme, ammaliante e repellente ad un tempo, è la precisione con cui racconta la più grande tragedia della contemporaneità: la perdita della capacità di tollerare la bellezza, la spinta consumistica ad appropriarsene, a svilirla, a contaminarla in ogni modo, fosse anche solo attraverso la trappola antica dello specchio e di Narciso, un mondo dove nessuno, in una logica mortifera che identifica godimento, possesso e distruzione, è piu in grado di incontrare nessun altro, né tantomeno di desiderare alcunché. In questo vuoto assoluto, l'unico personaggio a conservare qualche tratto di umanità, il giovane fotografo che timidamente cerca davvero di incontrare la protagonista, viene presto liquidato sull'altare dell'apparenza e del puro, infinito consumo di ogni cosa. L'altare del demone del neon.
Per il resto, che dire: immagini ipersature che stordiscono per potenza visiva e onirica, sequenze allucinatorie lentissime, una parte finale realmente terrificante per crudezza e irrimediabilità. Non è sicuramente un film di facile accesso, ma non potrebbe essere diversamente per lo specchio di questi nostri tempi dove tutto sembra un diritto e a portata di mano, e dove forse non siamo mai stati così distanti da noi stessi.
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giulio n.
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giovedì 16 giugno 2016
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la bellezza è tutto
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"La bellezza è tutto" ecco la frase, che nel film viene pronunciata dallo stilista, nella quale si potrebbe riassumere il film del regista danese Nicolas Winding Refn. Questa affermazione potrebbe avere una doppia valenza. Nella prima sicuramente ci fa pensare alla nostra seducente protagonista, una giovane sedicenne orfana di nome Jesse che decide di trasferirsi a Los Angeles per conquistare le passerelle dell'alta moda. La seconda interpretazione si potrebbe associare al regista stesso, il quale ha sacrificato la narrazione per favorire espedienti estetici, il film è stipato di belle immagini con musica da discoteca che ti esalta e con le luci dei neon, onnipresenti nelle scene, che creano un' atmosfera ambigua, a tratti lugubre e tenebrosa.
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"La bellezza è tutto" ecco la frase, che nel film viene pronunciata dallo stilista, nella quale si potrebbe riassumere il film del regista danese Nicolas Winding Refn. Questa affermazione potrebbe avere una doppia valenza. Nella prima sicuramente ci fa pensare alla nostra seducente protagonista, una giovane sedicenne orfana di nome Jesse che decide di trasferirsi a Los Angeles per conquistare le passerelle dell'alta moda. La seconda interpretazione si potrebbe associare al regista stesso, il quale ha sacrificato la narrazione per favorire espedienti estetici, il film è stipato di belle immagini con musica da discoteca che ti esalta e con le luci dei neon, onnipresenti nelle scene, che creano un' atmosfera ambigua, a tratti lugubre e tenebrosa. Ma soffermiamoci più sulla prima. Jesse è bella, ma ciò che più ammalia di lei è la sua naturalezza, la sua bellezza acqua e sapone che non ha bisogno di trucco e rifacimenti plastici per essere notata. Jesse è una ragazza innocente, i suoi modi di fare sono cortesi e sinceri, frequenta un giovane ragazzo di città senza avere brama di arrivismo, ma pian piano quel marcio mondo finisce per conquistare anche lei. Durante la sua prima apparizione in passerella viene scelta per chiudere la sfilata, questo è il catalizzatore che ci porta alla metamorfosi della protagonista, tutto cambia, tutto ciò era Jesse viene in quell'istante cancellato inghiottendo la protagonista in quel mondo cinico ed ingannevole. Il Neon Demon è il simbolo di tutto ciò, è il marchio del mutamento. Jesse nel buio della stanza vede un triangolo e da quel riflesso esce un altra lei, una sua trasposizione narcisista e sprezzante che abbandona il ragazzo comune per rimanere in compagnia di se stessa nel suo nuovo seducente aspetto. Da qui il film precipita sfociando in uno straboccante gioco di perversione e violenza fino al cannibalismo. Refn ci mostra un mondo senza scrupoli dove tutto è lecito, ma lo fa perdendosi in un finale grottesco, violento e per certi versi comico. Refn è lontano dai film che lo hanno reso celebre, quali: Pusher - L'inizio, Bronson e Drive, collocherei quest' opera, assieme al suo precedente lungometraggio Solo Dio perdona, tra quei film dove il regista ha azzardato provando a sperimentare, il che non è mai negativo basta che assieme a tutto quell'artificio emerga anche una solida narrazione e non tutto sia subordinato alla semplice e scontata violenza. Direi che il film si presenta con tratti estetici estremamente curati, con colori e suoni che ti inebriano ma con un contenuto che ancora non convince e lascia lo spettatore asciutto. Refn è sicuramente un buon regista infatti rimango fiducioso con la speranza che riesca a colmare quel clivaggio tra poetica e stile che ancora non rende del tutto completi i suoi film.
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no_data
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mercoledì 15 giugno 2016
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“la bellezza è tutto!”
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Solo merito per quei registi che li riconosci ad ogni singolo fotogramma, che sono rassicuranti tanto quanto prevedibili. Si chiama Stile, dicono. E la versione degenerata dello stile si chiama Marchio, dico. NFR, piazzato sotto al titolo The Neon Demon (lo si cita solo per completezza d’informazione), dà lo stesso esito degli abiti esposti nella vetrina di un negozio: sai già che quello che vedi è ciò che loro considerano il meglio, eppure entri lo stesso per curiosità, lasciando all’ingresso pregiudizio ed eccessivi successi precedenti (Drive). Nicolas Winding Refn, danese complessato come tanti altri conterranei, espone in vetrina i capi migliori dell’sua ultima collezione/film, specchietto per le allodole (voi) che finisce per farvi entrare in uno di quei showroom allestiti al neon, dagli arredi che mescolano barocco e minimalismo, con quattro abiti appesi che vengono moltiplicati dagli specchi.
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Solo merito per quei registi che li riconosci ad ogni singolo fotogramma, che sono rassicuranti tanto quanto prevedibili. Si chiama Stile, dicono. E la versione degenerata dello stile si chiama Marchio, dico. NFR, piazzato sotto al titolo The Neon Demon (lo si cita solo per completezza d’informazione), dà lo stesso esito degli abiti esposti nella vetrina di un negozio: sai già che quello che vedi è ciò che loro considerano il meglio, eppure entri lo stesso per curiosità, lasciando all’ingresso pregiudizio ed eccessivi successi precedenti (Drive). Nicolas Winding Refn, danese complessato come tanti altri conterranei, espone in vetrina i capi migliori dell’sua ultima collezione/film, specchietto per le allodole (voi) che finisce per farvi entrare in uno di quei showroom allestiti al neon, dagli arredi che mescolano barocco e minimalismo, con quattro abiti appesi che vengono moltiplicati dagli specchi. Sei dentro e ti perdi per due ore, fissando le stesse 4 facce (4!) di una metropoli che vive nelle parentesi (notte e alba), boccheggi e guardi l’orologio, sottoponendoti al ricatto di Albertone: “Io so’ io, e voi non siete…”. Deve essere (per forza) cool quello che vedi, devi dire a te stesso. Arte in Concorso all’ultimo Cannes; un quadro animato marchiato d’autore, in realtà incorniciato dai fischi di quei critici che, in verità, bisogna sempre “adoperare con cura”. Stavolta, adoperare come volete! Vestire di beltà l’Inutile e lo Scontato riesce a Refn magnificamente (e non solo a lui, si veda il nostro Sorrentino), creando immagini sature di foto e di cromo, che renderebbero magnificente anche un lavabo. Bellissime appaiono le modelle smunte del film, per poi scoprire, sin da subito, che sono brutte come il diavolo. Cannibali, rifatte, d’indole faustiana, che ti mangerebbero pure gli occhi per avere quella luce che Jesse (Ellen Fanning), trasognante giovane modella appena arrivata a L.A. e che non ha nessun talento se non quello d’essere bella (ci voleva NRF? Basta guardarsi in giro). Nasconde qualcosa Jesse, ma di quello che c’è sotto poco importa. “La bellezza è tutto!”, dice uno stilista simil-Tom Ford, esplicitando il Verbo (come se ce ne fosse stato bisogno) di tutta la pellicola. Ci riesce Refn, con un’aberrante estetica da videoclip, a rendere conturbante pure le ossa sui tacchi a spillo, uno squallido gestore di motel (Keanu Reeves), una truccatrice lesbica e necrofila (Jena Malone, unico personaggio degno d’interesse). I personaggi del film sono disposti a tutto pur di non soccombere alla condanna dell’anagrafe, che ti dice che a 21 anni sei già vecchia. I demoni della competizione gareggiano da anni nel cinema e, in ogni ambito, sempre con le stesse armi. Dalle criptiche sinossi attoriali di Mulholland Drive (2001) alle pacchianerie de Il cigno nero (2010), senza scomodare l’alto lignaggio di Eva contro Eva (1950). La verità di questo mondo vive in Models (1999, documentario glaciale di Ulrich Seidl), in cui la bruttura umana si fa arte (il cinema che ci riesce è quello che vale), e senza il bisogno di mescolare paillete e sangue, grottesco e orrido con qualche stilla di cadaveri restaurati e uteri sanguinanti da, neppur velata, misogina simbologia post-freudiana. La ragione d’essere di un film vive prima nell’essere e poi nella forma. Questo, NRF, sembra averlo dimenticato. **
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elpiezo
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martedì 14 giugno 2016
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una sfibrante discesa verso.... il nulla!!!!
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Visionario e conturbante, si narrano le traversie di una giovane modella alle prese con le attenzioni e le invidie del seducente mondo della moda.
Una pellicola dalla patina cupa e surreale, una storia torbida che si perde nell'ossessiva ricerca della percezione estetica, un insieme di sequenze controverse che si smarriscono in un vortice di sottogeneri stroncati sul nascere da un ritmo così tedioso da impedire ogni apprezzamento verso un prodotto impossibile da digerire.
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giovedì 9 giugno 2016
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un film complice di quanto denuncia
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Condivido il giudizio, pessimo, sul film. Non condivido lo stupore per tanta condivisa misoginia e non mi illudo affatto che le sceneggiatrici, perché donne, non ne siano colpevoli. Anzi. Lo stesso mi sembra ingenuo lo stupore per il marketing sotteso. Il modo della moda vive di negatività e ne fa uso da sempre. Il film da questo punto di vista è del tutto COMPLICE di quanto vorrebbe denunciare. Ed è questo che lo rende inaccettabile. La sua incapacità è infatti nell'essere oggetto di bellezza naturale, la sua estetica dell'artificio è la stessa che uccide la bellezza. Nulla a che vedere con De Palma e Lynch.
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