loland10
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mercoledì 5 aprile 2017
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fino all'ultimo.
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“La vendetta di un uomo tranquillo” (Tarde para la ira, 2016) è il primo lungometraggio del regista attore spagnolo Raùl Arévalo.
Crudo realismo e vendetta senza sconti: luoghi, visi e forme strutturate verso un obiettivo di non farci piacere nessuno. Ma ciò che vediamo è un incontro cruento con il destino.
Efferatezza e mattanza individuale: film che ripiega il suo status simbolico solo sull’incontro (efficace e alquanto indigesto) criminoso che cova (intimo e represso) dentro il personaggio Josè.
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“La vendetta di un uomo tranquillo” (Tarde para la ira, 2016) è il primo lungometraggio del regista attore spagnolo Raùl Arévalo.
Crudo realismo e vendetta senza sconti: luoghi, visi e forme strutturate verso un obiettivo di non farci piacere nessuno. Ma ciò che vediamo è un incontro cruento con il destino.
Efferatezza e mattanza individuale: film che ripiega il suo status simbolico solo sull’incontro (efficace e alquanto indigesto) criminoso che cova (intimo e represso) dentro il personaggio Josè.
Rapina, un uomo in auto, fuga e sirene della polizia, sangue e folle corsa: tutto dentro l’auto; una ripresa dentro la velocità di un malvivente. Un incidente, una giravolta e mentre l’uomo (incolume) tenta di uscire dalla portiera, gli uomini armati sono già lì per arrestarlo. Curro è l’uomo che guida l’auto e la fuga da una rapina finita male.
Ecco che la musica si alza e i titoli si aprono sullo schermo con lettere grandi e cubitali. Alla qualcos’altro. E’ un giallo che fa da apripista al rosso sangue di un uomo che vede la vita (solo) come restituzione della ‘morte’ per quello che ha subito.
Uno sguardo, uno dentro l’altro tra Josè (Antonio de la Torre) e Curro (Luis Callejo): due perdenti (o finti vincenti) di luoghi, fatti e donne. Forse uno appaia l’altro: a ciascuno (tocca) il suo. La vendetta non è solo un piatto freddo ma è uno scarico di tensione micidiale, tetro, metallico e sporchissimo. Un rinsacco sotterraneo, un porcile e un retro di un bar per il regista sono la stessa cosa, un luogo univoco di persone che non vanno oltre il gioco, il tavolo e il linguaggio scevro di ogni volo pindarico.
Col fiato sul collo, con lo spasmo sul volto, con le rughe sudate, con le mani insanguinate e con un’auto che è ‘on the road’ magnetica dei compagni di giro. Un gioco che s’accomuna ai ‘migliori’ (o ‘peggiori’) giustizieri filmici con un lascito accattivante di volti insulsi e inutili contrapposto a un risvolto di sottobosco ‘sociale’ alla meglio senza pensare né al prima e tantomeno al dopo. L’auto di Josè che scompare dietro la curva è un epilogo compiaciuto e soporifero tendente all’eroismo deprimente come alla fuga costante: è la fine che lascia dietro un duello western di sola andata. La post-modernità accomuna il regista in una metafora (irreale) o in una reale (vera metafora) di una guerriglia quotidiana dove c’è solo l’agire e nulla del pensare (evitando il ponderare). Si guarda ad oggi. E gli episodi tragici che sentiamo e come non ricordare il forte simbolismo (dal libro di Vincenzo Cerami) di ‘Un borghese picolo piccolo’ (1977) di Mario Monicelli con un’acutezza funerea sulla società di ieri (e di oggi) da far accapponare la pelle per lo stile del regista romano. Siamo in altro campo visivo. Lì per il figlio, qui per una donna. La famiglia macerata.
Film, questo,sporco, guerriero, corposo e volgare. Diviso in quattro parti e quattro nomi (e nient’altro).
Bar: ritrovo classico di gente che non sa cosa esprimere, una partita a carte, linguaggio volgare e virilità repressa.
Ana: una donna che sta tra due ‘padroni’; Curro che ritrova dopo otto anni di prigione e Josè che cerca buona compagnia;
Famiglia: è tutto per tutti, ognuno a suo modo, ma le cose sono difficili e il sangue genera sangue;
Vendetta: villosamente forte con un cacciavite e un fucile che ha sempre colpi in canna.
Alla fine diventa un film indigesto (come detto) dove non esiste nessun risvolto di apertura. I personaggi sono soli con se stessi, in mezzo a casolari dispersi, radure svuotate, strade polverose e corpi da tuta da vendere. Uno sguardo continuo di odio.
Regia di soppianto e sudorifera, salmastra e pestifera, nitida e scorretta.
Film da vedere (senza particolare bramosia) per non misurarsi con il luogo comune, Veritiero e per nulla addolcito.
Voto: 6+/10.
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zoomecontrozoom
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mercoledì 5 aprile 2017
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c'e sempre un buio oltre la luce
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Quando si saltano i preamboli e si entra a piè pari nel contesto, se il contesto è forte, l’emozione deve essere all’altezza; se il contesto è forte, l’emozione deve colpire in modo crudo e nudo, si saltando i preamboli e si toglie ogni minimo fronzolo: è così che comincia questo film.
La macchina da presa, il nostro sguardo, noi, siamo lì, addosso al personaggio, non è solo una ripresa di quinta, gli stiamo addosso come il fiato e il sudore; con lui condividiamo la tensione dell’attesa, l’adrenalina della fuga, la guida disperata, la violenza dello schianto. Tutto questo, porta al carcere, ma di questa vita di Curo, poco si sa, solo qualche flash per quel filo che lo tiene in vita: Ana, la sua compagna.
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Quando si saltano i preamboli e si entra a piè pari nel contesto, se il contesto è forte, l’emozione deve essere all’altezza; se il contesto è forte, l’emozione deve colpire in modo crudo e nudo, si saltando i preamboli e si toglie ogni minimo fronzolo: è così che comincia questo film.
La macchina da presa, il nostro sguardo, noi, siamo lì, addosso al personaggio, non è solo una ripresa di quinta, gli stiamo addosso come il fiato e il sudore; con lui condividiamo la tensione dell’attesa, l’adrenalina della fuga, la guida disperata, la violenza dello schianto. Tutto questo, porta al carcere, ma di questa vita di Curo, poco si sa, solo qualche flash per quel filo che lo tiene in vita: Ana, la sua compagna. E’ così con una serie di impatti sonori violenti, di inquadrature strette, di eventi che si intercalano nel tempo, su sguardi senza speranza , è così che entriamo nella storia. C’è poco di ambiente, la coreografia è strettamente funzionale all’economia del racconto, non c’è nessun cedimento o compiacenza; in questo film, pian piano tutto s’incentra sui due personaggi che stanno in antitesi e nello svolgimento, carambolano, come l’auto incidentata e ognuno compare per quello che è veramente, ma… dentro: il buio oltre la luce. Se Curo è l’intransigente, Josè è il blando, ma se accade l’imprevedibile, quello che era protetto dal buio, bene o male che sia, schizza fuori inarrestabile. Così accade.
Josè ha subito una violenza che nessuno degli altri personaggi poteva conoscere e per quest'ignoranza, ne vengono travolti; anche Curro che nel momento stesso in cui si rende conto della potenza del male di un uomo tranquillo, è come sorpreso tanto da sembrare frastornato, sopraffatto, incapace di sottrarsi, lui ex-galeotto violento per antonomasia, alla violenza di un uomo pacifico per vocazione, non sa porre freno. I pochi dialoghi hanno un peso e uno spessore più ineluttabile di qualsiasi parola e i due uomini diventano come due automi nel procedere di ruoli invertiti nelle azioni che si consumano.
E’ un film che conferma null’altro che una frase famosa: “La cattiveria dei buoni è pericolosissima (Giulio Andreotti)”, perché nessuno può sapere qual è la vera potenza che c’è in chi viene deprivato di ciò che è per lui il respiro che lo tiene in vita.
Anche la musica “scalcia” e a mozzichi sottolinea il rimbombo dei sentimenti nelle brutali azioni. Ben interpretato dai due attori maschere immobili, ma dagli sguardi scrutatori che si prolungano inutilmente l’uno nell’altro, nella ineluttabilità della fredda determinazione del “new-cattivity”; è un film elementare nella sua linearità e precisione, come una lama.
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(di misesjunior)
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(di angeloumana)
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flyanto
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martedì 4 aprile 2017
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una vendetta ben perpetuata
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"La Vendetta di un Uomo Tranquillo" costituisce l'esordio registico dell'attore Raul Arévalo e, sul filone, per esempio, della precedente pellicola sempre di produzione spagnola "La Isla Minima" , si colloca nel genere del thriller realistico.
La vicenda inizia con una rapina andata a male presso una gioielleria ed in cui, viene arrestato colui che in macchina sta facendo da palo agli altri complici i quali nel frattempo stanno agendo all'interno del negozio e che, fortunatamente per loro, riescono invece a scappare.
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"La Vendetta di un Uomo Tranquillo" costituisce l'esordio registico dell'attore Raul Arévalo e, sul filone, per esempio, della precedente pellicola sempre di produzione spagnola "La Isla Minima" , si colloca nel genere del thriller realistico.
La vicenda inizia con una rapina andata a male presso una gioielleria ed in cui, viene arrestato colui che in macchina sta facendo da palo agli altri complici i quali nel frattempo stanno agendo all'interno del negozio e che, fortunatamente per loro, riescono invece a scappare. Rinchiuso in carcere, il suddetto uomo dopo 8 anni esce di prigione e raggiunge la propria moglie ed il figlioletto presso il bar dove la consorte lavora con il fratello. Qui egli fa conoscenza di alcuni frequentatori quotidiani avventori del bar tra cui vi è anche un uomo un poco misterioso. Con lui inizierà così un'avventura del tutto inaspettata....
In realtà, sin quasi dall'inizio viene svelata l'identità ed il passato, nonchè la motivazione delle azioni, dell'uomo misterioso con cui il suddetto ex-galeotto entra in contatto, ma la suspense ed il dispiegarsi via via dei vari avvenimenti aumentano di tensione nel corso dello svolgimento della vicenda, sino al colpo di scena finale. Raul Arévalo dirige in maniera fredda e lucida e quanto mai realistica il film in un crescendo, ripeto, di tensione e violenza assai significative ed obiettivamente in ciò, egli riesce perfettamente a centrare il proprio obiettivo di costruire un'opera appartenente al genere del thriller. Ma già in passato altre pellicole hanno presentato il tema della spietata vendetta da parte di qualche individuo e tutto l'iter necessario per metterla in atto e pertanto, per quanto il film sia oggettivamente di un certo pregio registicamente parlando, non riesce però completamente a stupire del tutto lo spettatore (a meno che questi non sia digiuno di pellicole del genere) come forse era sua intenzione. Acclamato moltissimo in Spagna, quest'opera cinematografica risulta sicuramente un poco sopravalutata, sebbene bisogna riconoscerle, appunto, le doti registiche e l'efficace e convincente recitazione da parte di tutti gli attori.
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(di angeloumana)
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ferraraarte
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domenica 2 aprile 2017
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film crudo ma con un fondo di verità.
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Film ben strutturato, bravi gli interpreti, forse troppo crudo in alcune scene. Tuttavia crea una certa suspense che accompagna lo spettatore per tutta la durata.
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lbavassano
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domenica 2 aprile 2017
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men che mediocre
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Trama lineare, completamente priva di scatti e sorprese, la cui asciuttezza sa più che altro di povertà di idee. Personaggi dall'encefalogramma piatto. Se questo è il miglior film spagnolo del 2016 figuriamoci il resto.
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domenica 2 aprile 2017
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tarde para la ira
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El film recibió el Premio Goya, como mejor film, como mejor guión, y como mejor actor no protagonista (Manolo Solo). El film, un thriller dramático, no desilusiona desde las expectativas del género que aborda. Tiene suspenso, tiene persecuciones, tiene sangre, tiene “vendetta”, y tiene momentos de suspenso. La dirección del debutante Raúl Arévalo es eficaz, y los actores Antonio de la Torre, Luis Callejo, Ruth Díaz, Alicia Rubio, Manolo Solo, Raúl Jiménez, logran hacernos creer las situaciones. Son muy buenos. Los diálogos también son interesantes. Pero hay un “pero” a los premios y al film. Hacer comparaciones es incorrecto y antipático, pero si la comparación la propone la producción y distribución del film, esto, que no seria ético, decae.
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El film recibió el Premio Goya, como mejor film, como mejor guión, y como mejor actor no protagonista (Manolo Solo). El film, un thriller dramático, no desilusiona desde las expectativas del género que aborda. Tiene suspenso, tiene persecuciones, tiene sangre, tiene “vendetta”, y tiene momentos de suspenso. La dirección del debutante Raúl Arévalo es eficaz, y los actores Antonio de la Torre, Luis Callejo, Ruth Díaz, Alicia Rubio, Manolo Solo, Raúl Jiménez, logran hacernos creer las situaciones. Son muy buenos. Los diálogos también son interesantes. Pero hay un “pero” a los premios y al film. Hacer comparaciones es incorrecto y antipático, pero si la comparación la propone la producción y distribución del film, esto, que no seria ético, decae. Y por qué? Porque la publicidad informativa, compara este film con “El secreto de sus ojos”, el magnífico film argentino de Juan José Campanela, que en el 2010 ganó el Oscar. Muy merecidamente. El film argentino, es de una gran importancia como film psicológico, político, filosófico, y es además un tensionante thriller que mantiene en vilo al espectador, con un final imprevisible, muy inteligente desde el punto de vista de la trama, donde el asesino ruega que “le dirijan la palabra”. Con lo cual nos remarca el valor comunicativo, y pedagógico de la palabra. (Si lo sabrá Freud que inventó el psicoanálisis que trata al paciente a partir de la palabra comunicativa). No olvidemos además, que el hilo conductor del Secreto de sus ojos, reconoce como permanente, diría ontológica del ser humano, esa condición que es pasión, que no abandonará jamás. No olvidemos tampoco el trasfondo político, de ese momento dramático de la Argentina, con sus infernales y paranoicos aparatos parapoliciales. No olvidemos además, lo importancia de sus diálogos y las brillantes actuaciones de su elenco. Impecables.
Además, desde el punto de vista técnico, la filmación y la fotografía, son excelentes; recordemos por ejemplo, una escena en plano secuencia que ha pasado a ser antológica en la historia del cine: me refiero a todo el largo momento de la búsqueda y persecución del asesino en medio de las gradas de las tribunas del abarrotado estadio de futbol. Excepcional! O sea, comparar un film de esta catadura, profundidad y calidad, donde aparece además, el problema de la violencia contra la mujer, (salvajemente violada y asesinada), compararlo decía, con un simple thriller solo vengativo (aunque pueda tener resultados convincente en su género cinematográfico, por cierto), no es aceptable, ni es ético por el uso engañoso de la publicidad. Es tan disgustoso como lo fue, también, cuando aquí en Italia se publicitó el film “Relatos Salvajes” de Damián Szifrón, como un film de Almodóvar, quien en realidad solo había financiado el proyecto, pero no había dirigido el film. Estilos y géneros absolutamente diferentes los de Szifrón y Almodóvar, con lo cual se engaña y defrauda al público, que llega a la sala para ver uno de los acostumbrados films transgresivos, escandalizadores, irónicos, o provocadores del prestigioso director español, y se encontraban con algo absolutamente diverso. Este modo especulativo de subestimar, confundir o engañar al espectador no es aceptable. No es subiéndonos al carro del triunfador que logramos tener nuestra identidad. Aunque adivino que no era lo que preocupaba a los señores del mentado Box Office.
michelangelotarditti@gmail.com
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alex2044
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sabato 1 aprile 2017
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se non ci si attende troppo è meglio
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Il film mi ha un po' deluso ,non che mi abbia annoiato ma l'ho trovato non particolarmente originale e neppure così ben interpretato . Forse, se non se ne fosse parlato tanto e così bene , sarebbe stato meglio . Perchè quando si alza troppo l'asticella delle attese poi se non vengono mantenute la delusione è dietro l'angolo . I riferimenti al Segreto dei suoi occhi ed a l'Isla Minima , due piccoli ma sorprendenti film ad un passo dal capolavoro , sono assolutamente fuorvianti e per niente congruenti . Insomma un film carino e vedibile , c'è di molto peggio ,ma nulla più .
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flaw54
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sabato 1 aprile 2017
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un clone di charles bronson
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Non condivido l'entusiasmo per questo film. È tutto già visto e rivisto, nessuna originalità e il tema della vendetta e del vendicatore solitario non è nuovo nè nel cinema americano nè in quello italiano. L' influenza di Charles Bronson e direi anche del Sordi di Un borghese piccolo piccolo appare evidente. Inoltre il film appare, nonostante tutto, lento , ripetitivo e profondamente statico.
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venerdì 17 marzo 2017
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ok
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Di solito mi fido del suo giudizio
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