gaiart
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lunedì 1 settembre 2014
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home sweet home.. claustrofobia!
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Villa Touma
Un film di un’estetica ed eleganza rare, Villa Touma della stessa sceneggiatrice e regista di Il giardino dei limoni e La sposa siriana, Suha Arraf, indaga la fondamentale concezione oggi di nazione, di appartenenza, d’identità.
Ragionando sempre per metafore e allusioni, il film è perfettamente riuscito sia nell’intelligenza e raffinatezza della proposizione, sia nel modo indiretto, subliminale di presentarla allo spettatore. Ad esempio, quando le donne cuciono e vengono rappresentati i colori della bandiera palestinese. Oppure quando si riprende il muro della villa senza mai valicarlo, metafora di un altro muro, quello che divide da Israele.
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Villa Touma
Un film di un’estetica ed eleganza rare, Villa Touma della stessa sceneggiatrice e regista di Il giardino dei limoni e La sposa siriana, Suha Arraf, indaga la fondamentale concezione oggi di nazione, di appartenenza, d’identità.
Ragionando sempre per metafore e allusioni, il film è perfettamente riuscito sia nell’intelligenza e raffinatezza della proposizione, sia nel modo indiretto, subliminale di presentarla allo spettatore. Ad esempio, quando le donne cuciono e vengono rappresentati i colori della bandiera palestinese. Oppure quando si riprende il muro della villa senza mai valicarlo, metafora di un altro muro, quello che divide da Israele.
4 personaggi femminili principali, tre sorelle appartenenti all’aristocrazia palestinese-cristiana di Ramallah e una nipote rimasta orfana che viene accolta, molto diverse tra loro, vivono rinchiuse appunto nell’endroit bourgeois, della villa decadente. Assieme alle donne, l’edificio viene trattato come un personaggio a sé.La vita scorre sempre uguale e noiosa, surgelata: bei vestiti, cene silenziose, la messa.
Spazi claustrofobici, riprese solo da vicino, mai con campiture lunghe o esterne sulla città di Ramallah, quasi ossessive e maniacali, fanno del film piccoli quadri in movimento. Nei dettagli interni poi, e nella loro preparazione su mobili, abiti, acconciature, lampade si vede una fotografia eccellente e raffinatissima di Yaron Scharf, che rende Villa Touma veramente un piccolo gioiello tutto al femminile.
Anche se in realtà le protagoniste vivono in attesa o nel ricordo ossessivo di un uomo o di un marito perso, mai avuto o morto, la forza delle attrici sole sul palco di Venezia nella settimana della critica, fa pensare esattamente all’anacronistica realtà che le donne vivono nel film.
Il film rientra perfettamente nella storia del cinema medio orientale, la regista è palestinese, anche se il film è finanziato dall’Israel Film Fund cercando cosi ancora per una volta quel dialogo che sembra da anni ormai introvabile.
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peer gynt
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lunedì 1 settembre 2014
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la grande villa fuori dal tempo
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A Ramallah, la più occidentale delle città della Cisgiordania, c'è una grande villa, di proprietà di una famiglia cristiana altolocata. Ci vivono, quasi rinchiuse, tre sorelle nubili, che non accettano i fatti recenti che hanno drammaticamente segnato quel territorio. Aggrappate alle rassicuranti convenzioni di una società che non c'è più, sono intransigenti con se stesse e con gli altri, al fine di preservare da qualsiasi attacco la dignità, il buon nome della famiglia e tutto ciò in cui hanno sempre creduto. L'arrivo, in questo luogo asettico e "puro", di una giovane nipote orfana che non conosce il francese, non sa suonare il pianoforte (confessa di saper suonare invece, con grande sconcerto delle zie, il tamburo) e non è priva di quella spontaneità giovanile che le tre sorelle hanno smarrito da tempo, porterà la vicenda ad uno sviluppo inevitabilmente tragico.
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A Ramallah, la più occidentale delle città della Cisgiordania, c'è una grande villa, di proprietà di una famiglia cristiana altolocata. Ci vivono, quasi rinchiuse, tre sorelle nubili, che non accettano i fatti recenti che hanno drammaticamente segnato quel territorio. Aggrappate alle rassicuranti convenzioni di una società che non c'è più, sono intransigenti con se stesse e con gli altri, al fine di preservare da qualsiasi attacco la dignità, il buon nome della famiglia e tutto ciò in cui hanno sempre creduto. L'arrivo, in questo luogo asettico e "puro", di una giovane nipote orfana che non conosce il francese, non sa suonare il pianoforte (confessa di saper suonare invece, con grande sconcerto delle zie, il tamburo) e non è priva di quella spontaneità giovanile che le tre sorelle hanno smarrito da tempo, porterà la vicenda ad uno sviluppo inevitabilmente tragico.
Potente e ben congegnato racconto, la cui componente metaforica allusiva alla situazione storico-politica di quelle zone è ovviamente più che evidente, e che ha il coraggio di mettere impietosamente alla berlina un conservatorismo cieco e orgoglioso, ormai del tutto fuori dal tempo.
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gianna50
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sabato 11 luglio 2015
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la palestina che verrà
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Villa Touma di Suha Arraf
L’ipocrisia e l’indifferenza di una aristocrazia che vive nel passato chiudono la porta in faccia alla realtà della Palestina attuale. Tre sorelle, Juliette, Violette e Antoinette, chiuse nella loro Villa a Ramallah rifiutano di vedere ciò che le circonda. Nella loro ostinata visione di un mondo fatto di regole e rituali ripetitivi finalizzati a conservare una visione della vita, avulsa dalla realtà, cercano di plagiare anche l'esistenza della giovane nipote che entra improvvidamente nella loro casa.
La giovane inesperta, cresciuta in un orfanatrofio, si lascia plasmare, seppure malvolentieri, ad una visione del proprio futuro che la vede addomesticata a dovere, pronta a diventare moglie di un buon partito.
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Villa Touma di Suha Arraf
L’ipocrisia e l’indifferenza di una aristocrazia che vive nel passato chiudono la porta in faccia alla realtà della Palestina attuale. Tre sorelle, Juliette, Violette e Antoinette, chiuse nella loro Villa a Ramallah rifiutano di vedere ciò che le circonda. Nella loro ostinata visione di un mondo fatto di regole e rituali ripetitivi finalizzati a conservare una visione della vita, avulsa dalla realtà, cercano di plagiare anche l'esistenza della giovane nipote che entra improvvidamente nella loro casa.
La giovane inesperta, cresciuta in un orfanatrofio, si lascia plasmare, seppure malvolentieri, ad una visione del proprio futuro che la vede addomesticata a dovere, pronta a diventare moglie di un buon partito.
E' nell'accettazione forzata di un ruolo tutt'altro che spontaneo unito alla mancanza di amore che percepisce nelle azioni delle zie volte a salvare la forma e prive di qualsiasi contenuto di affetto che la giovane si trasforma in vittima sacrificale; lei stessa dichiarerà di essere già morta quando è arrivata nella loro casa.
Ma il destino travolgerà i progetti delle tre sorelle e le porrà di fronte ad un evento inaspettato che non è possibile fingere di non vedere e che non è possibile chiudere del tutto fuori della porta.
A fare il lavoro "sporco" sarà chiamato il giardiniere -contadino che non a caso la nipote, a dispetto delle zie, continuerà sempre a chiamare "zio" .
Come non intravedere nelle figure grottesche delle tre sorelle, cattoliche un pò bigotte, dallo stile occidentalizzante anni cinquanta, la miope visione dell'Occidente sulla Palestina ? Vittima di complessi di colpa del passato, incapace di scindere la propria visione del mondo da quella di potenze superiori, succube di un nichilismo morale che gli impedisce di guardare oltre una visione precostituita della realtà.
Così la Palestina chiusa in una visione claustrofobica, vittima sacrificale della cecità del mondo sulla dura realtà dei campi profughi, dei martiri, delle guerre e del cinismo dell'occupazione militare israeliana, muore.
A sfuggire al ripetersi di una volontà perversa è la nascita di un nuovo essere umano, unica ,incontrovertibile speranza e unico incontrovertibile desiderio di libertà.
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