ashtray_bliss
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mercoledì 13 luglio 2016
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solido dramma-horror famigliare.
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Goodnight Mommy (adttamento del originale Ich Seh, Ich Seh) si presenta come un film minimalista ed essenziale ma esteticamente curatissimo, che rievoca le atmosfere hanekiane specialmente nei diversi frame dove l'azione si svolge in casa. La casa stessa, altro elemento protagonista della pellicola, si presenta subito come un ambiente freddo e distaccato, spaziosa ma impersonale ed inospitale dove regna ovunque un bianco sterile quasi ospedaliero. La casa diventa così sin dalle prime inquadrature l'elemento chiave che lascia presagire l'imminente distacco emotivo e psichico che avverrà nei due protagonisti principali, i gemelli Elias e Lukas.
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Goodnight Mommy (adttamento del originale Ich Seh, Ich Seh) si presenta come un film minimalista ed essenziale ma esteticamente curatissimo, che rievoca le atmosfere hanekiane specialmente nei diversi frame dove l'azione si svolge in casa. La casa stessa, altro elemento protagonista della pellicola, si presenta subito come un ambiente freddo e distaccato, spaziosa ma impersonale ed inospitale dove regna ovunque un bianco sterile quasi ospedaliero. La casa diventa così sin dalle prime inquadrature l'elemento chiave che lascia presagire l'imminente distacco emotivo e psichico che avverrà nei due protagonisti principali, i gemelli Elias e Lukas. Sin dalle scene iniziali dunque è percepibile un certo grado di irrequietudine e angoscia, l'atmosfera si fa poco a poco sempre più tesa e lo spettatore è ancor più stimolato ed incuriosito nel vedere i risvolti della situazione, mentre la macchina da presa segue maniacamente le vicende dei gemelli. I bambini infatti fanno tutto insieme, mangiano, giocano, dormono...apparendo subito un duo indissolubile e inseparabile, un entità unica divisa in due corpi, e si comprende che stiano aspettando il rientro della madre a casa. La mamma una volta tornata è una figura radicalmente diversa da come se la ricordano i gemelli: avendo subito un'intervento di chirurgia plastica la madre è obbligata a tenere il volto coperto dalle bende e questo singolo elemento (misterioso ed inquetante al contempo) instaura dei dubbi e preoccupazioni sempre maggiori nei due bambini. Da questo momento in poi predominante è il tema dell'identità attorno al quale si avvita la pellicola in questione insieme allo schema del dualismo, istaurando gli stessi dubbi e incertezze negli spettatori. Chi è veramente la madre dei gemelli, e chi la donna col volto coperto? Cos'è reale e cosa invece fa parte dell'immaginario al quale hanno dato vita i gemelli? Le sequenze reali e quelle surreali si intrecciano e si interscambiano mentre cresce la suspence e l'irrequietezza. Le relazioni tra i membri della famiglia raggiungono presto il punto di non ritorno e l'epilogo sarà all'insegna della tragedia più brutale e macabra.
Le due registe austriache continuano, in un certo senso, la tradizione cinematografica iniziata da Haneke confezionando un ottimo dramma-horror, teso e allucinogeno, che affronta diverse tematiche importanti ed attuali (l'importanza della bellezza estetica, i disturbi mentali, l'elaborazione del lutto etc.) ma di cui il centro gravitazionale resta l'identità degli individui. Più volte infatti le diverse identità e ruoli che ricoprono i protagonisti della pellicola vengono capovolti o completamente distorti: La madre da premurosa e amorevole con i propri figli si trasforma in una figura ostile, severa e distaccata. Questo primo cambiamento nel ruolo della donna farà affondare progressivamente i gemelli in una convinzione ossessiva che quella non è la loro vera madre e a favore di ciò raccolgono prove e segni per rafforzare la loro autoconvinzione distruttiva. Il secondo, e ben più grave, stravolgimento di identità sarà quello che subiscono i gemelli stessi i quali una volta spogliati della loro innocenza, legata naturalmente all'età, si tramutano in efferati assassini e torturatori pur di portare a termine il loro diabolico piano. L'altro tema riccorente nel film è lo schema del dualismo: realta vs immaginazione, verso vs falso, sogno vs incubo. Il distacco e disconoscimento al quale vanno progressivamente incontro i gemelli, e che provocherà il tragico epilogo della vicenda, è frutto del loro disorientamento subito dopo l'incidente stradale e dell'incapacità di accettare il nuovo status delle cose rifugiandosi in una realtà fittizia ed inventata che li distacca completamente dalla realtà.
Le registe mettono dunque abilmente in scena un solido horror famigliare dove l'ambientazione e l'atmosfera ricreata sono i due elementi fondamentali che attirano lo spettatore e lo trasportano all'interno di questo incubo che prende progressivamente forma. L'atmosfera di distacco ed isolamento, interiore ed esteriore, è perfettamente percepibile anche grazie alla location scelta e gli elementi disseminati nella pellicola: una villa grande ma inospitale, lontana dai centri abitati, il bosco, il campo di mais e il fiume. Elementi naturali che qui sono contestualizzati nel modo giusto per rendere ancora più vivido l'isolamento affettivo e psichico dei protagonisti. Sorretto da un cast di sole tre persone, le Frantz e Fiala riescono a confezionare un prodotto di stile, incisivo che tocca argomenti attuali. Non esente però dal commettere dei passi falsi, come l'eccessiva dose e rappresentazione visiva di violenza nelle scene conclusive del film, forse un tantino troppo autocompiaciute e senza dubbio gratuite. Ridotta all'osso è altresì la caraterizzazione psicologica dei personaggi, dei quali dobbiamo intuire il loro background e stato emotivo solo osservando le loro azioni e prestando attenzione ai dialoghi e altri dettagli sparsi nella pellicola. Impeccabile la forma e solido il contenuto che segue lo stile di narrazione lineare, costruendo lentamente tensione e confusione negli spettatori. Si inceppa sul finale, con l'ostentazione immotivata di tanta violenza.
In definitiva si tratta di un prodotto particolare e abbastanza inconsueto nel panorama del horror tradizionale di cui il film, eccetto l'ultima parte, non ne rispetta i canoni. Una buona rappresentazione dei risvolti drammatici che affronta una famiglia già provata dal dolore e dalla perdita. Personalmente mi rimase impresso e mi piacque, pur non essendo facile da seguire ma è certamente un film notevole. 4/5. Consigliato.
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marco padula (scrittore)
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venerdì 8 gennaio 2016
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follia infantile
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Un film stranissimo. Lento. Spiazzante. Onirico. Logorante. Chi è abituato ad osservare i dettagli delle narrazioni cinematografiche, non faticherà a capire che il fanciullo a cui la mamma ed altre persone si rivolgono è uno solo, non sono due come il regista vorrebbe farci intendere. Due gemelli visceralmente legati l'uno all'altro. Poco a poco si capirà, in maniera del tutto implicita, che un grave incidente automobilistico ha causato lo sfiguramento al volto della madre e la morte di uno dei due gemelli, Lukas. Elias,il gemello superstite, non riuscendo a metabolizzare il dolore per la perdita del fratellino, agisce, vive e si comporta come se Lukas fosse tranquillamente vivo e sempre accanto a lui.
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Un film stranissimo. Lento. Spiazzante. Onirico. Logorante. Chi è abituato ad osservare i dettagli delle narrazioni cinematografiche, non faticherà a capire che il fanciullo a cui la mamma ed altre persone si rivolgono è uno solo, non sono due come il regista vorrebbe farci intendere. Due gemelli visceralmente legati l'uno all'altro. Poco a poco si capirà, in maniera del tutto implicita, che un grave incidente automobilistico ha causato lo sfiguramento al volto della madre e la morte di uno dei due gemelli, Lukas. Elias,il gemello superstite, non riuscendo a metabolizzare il dolore per la perdita del fratellino, agisce, vive e si comporta come se Lukas fosse tranquillamente vivo e sempre accanto a lui. Giocano insieme, mangiano insieme, dormono insieme e fanno persino il bagnetto insieme. Alla fine prevarrà la follia assassina di Elias, il quale, non rendendosi conto della nuova realtà e creandone una parallela e alternativa, è ossessionato dall'idea che la donna che si ritrova in casa non sia sua madre e sia una specie di clone o un'amica della stessa alla quale somiglia. Il finale cruento, a questo punto, è inevitabile: nessuna prova convince Elias (e l'anima onnipresente del gemellino Lukas) che quella donna sia davvero la loro mamma. E' troppo diversa, nervosa, avvilita, distante, poco affettuosa. Irriconoscibile. Elias non capisce che anche sua madre ha dovuto fare i conti con la perdita di un figlio, con un delicato intervento di chirurgia plastica al viso e col divorzio dal marito. Per lui ormai la madre è una persona completamente estranea, una sorta di impostore che ha usurpato il posto della vera genitrice. Solo distruggendo tutto con una sorta di fuoco purificatore, in un rogo che tutto annienta, le cose torneranno come prima: i due bambini (si presume che anche Elias sia morto bruciato dalle fiamme) finalmente si ricongiungono con una mamma sorridente e canterina così come la conoscevano prima della tragedia che li aveva colpiti. Tutti e tre finalmente uniti in un oltretomba rurale, ai margini di un campo di granoturco. Abbracciati a cantare la loro canzone preferita come erano soliti fare in vita.
Un film disturbante, che vuol dimostrare come un dolore straziante, quando non viene accettato e "digerito" da chi lo prova, può essere fonte di dissociazione mentale totale, di malattia psichica, di follia omicida.
Un horror davvero strano e inconsueto, dove le scene "forti" nel senso di sanguinolente e violente, ci vengono riservate dal regita negli ultimi 20 minuti di pellicola. Storia interessante, ma che non lascia un segno profondo. Nessuna paura davvero degna di nota. Tutto si gioca sull'apparente incomprensibilità della situazione e sull'attesa dello spettatore il quale, per più di un'ora, si chiede cosa succederà e perchè. Ecco, la suspence e l'aspettativa sono gli unici ingredienti che funzionano davvero, insieme ad una fotografia dai colori e dalle forme impeccabili.
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peer gynt
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sabato 30 agosto 2014
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il doppio e la maschera
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Questo horror austriaco, dotato di alcune scene piuttosto forti (che hanno fatto uscire disgustati alcuni spettatori dalla Sala Darsena, nel corso della 71. Mostra del cinema di Venezia), si basa su due componenti narrative tipiche di questo genere: l'inquietudine generata dalla maschera sul volto (la madre, col viso fasciato a causa di un'operazione chirurgica) e l'ambiguità angosciosa che suscita il tema del doppio, incarnato da due gemelli perfettamente identici (i figli che attendono il ritorno della madre nella grande casa).
Con queste premesse, il racconto sembrava interessante e promettente. Ma, per quanto ben girato, non conferma le aspettative per una certa concentrazione di temi e luoghi del genere (si pensi, per fare solo due esempi, alla casa solitaria in mezzo alla campagna, o al campo di grano nel quale i due ragazzi si rincorrono, nascosti dall'erba più alta di loro), per un certo gusto forse troppo compiaciuto nell'esibire la tortura fisica, e infine per una sensazione di già visto che trova conferma in un preciso precedente filmico.
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Questo horror austriaco, dotato di alcune scene piuttosto forti (che hanno fatto uscire disgustati alcuni spettatori dalla Sala Darsena, nel corso della 71. Mostra del cinema di Venezia), si basa su due componenti narrative tipiche di questo genere: l'inquietudine generata dalla maschera sul volto (la madre, col viso fasciato a causa di un'operazione chirurgica) e l'ambiguità angosciosa che suscita il tema del doppio, incarnato da due gemelli perfettamente identici (i figli che attendono il ritorno della madre nella grande casa).
Con queste premesse, il racconto sembrava interessante e promettente. Ma, per quanto ben girato, non conferma le aspettative per una certa concentrazione di temi e luoghi del genere (si pensi, per fare solo due esempi, alla casa solitaria in mezzo alla campagna, o al campo di grano nel quale i due ragazzi si rincorrono, nascosti dall'erba più alta di loro), per un certo gusto forse troppo compiaciuto nell'esibire la tortura fisica, e infine per una sensazione di già visto che trova conferma in un preciso precedente filmico. Infatti, senza voler rivelare la soluzione finale dell'intrigo, sembra giusto ricordare allo spettatore che, se ha già visto il film del 2009 "The uninvited" di Charles e Thomas Guard, remake del sudcoreano "Two sisters" del 2003 di Ji-woon Kim, è meglio che tralasci di vedere questo film, che riprende (ricopia? forse) la stessa idea portante, anche se muta location e personaggi.
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gianleo67
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lunedì 25 gennaio 2016
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favola horror da...sindrome di capgrass
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Quando la madre torna a casa dopo un intervento di chirurgia plastica, i due gemelli Elias e Lukas iniziano a dubitare della sua identità, fino al punto da sviluppare una cieca ed irragionevole ostilità che li condurrà ad un gesto estremo quanto irrevocabile. Finale tragico.
Favola horror che segna il debutto alla regia della scrittrice Veronika Franz (insieme a Severin Fiala) già da anni alle prese con le sceneggiature dei film del marito Ulrich Seidl, qui in veste di produttore, si inserisce appieno nelle produzioni indipendenti di un cinema teutonico da anni impegnato nel conciliare tematiche sociali filtrate attraverso un contesto di straniamento visivo che punta tanto allo spettacolo quanto all'allegoria.
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Quando la madre torna a casa dopo un intervento di chirurgia plastica, i due gemelli Elias e Lukas iniziano a dubitare della sua identità, fino al punto da sviluppare una cieca ed irragionevole ostilità che li condurrà ad un gesto estremo quanto irrevocabile. Finale tragico.
Favola horror che segna il debutto alla regia della scrittrice Veronika Franz (insieme a Severin Fiala) già da anni alle prese con le sceneggiature dei film del marito Ulrich Seidl, qui in veste di produttore, si inserisce appieno nelle produzioni indipendenti di un cinema teutonico da anni impegnato nel conciliare tematiche sociali filtrate attraverso un contesto di straniamento visivo che punta tanto allo spettacolo quanto all'allegoria.
Se i rimandi alla tradizione letteraria nord europea sono lo spunto per un'ambientazione bucolica ed isolata che fornisce la cornice più adeguata entro cui iscrivere una storia di ancestrale e sconvolgente brutalità, questo lo accomuna ad una responsabilità etica verso il mondo dell'infanzia che rimanda ad opere recenti meno trasgressive ma altrettanto cariche di sottesi simbolismi come Milchwald e Falscher Bekenner (Christoph Hochhäusler), conducendo le diverse tematiche legate al culto dell'immagine (una presentatrice televisiva che si rifà il viso) ed ad una allarmante insipienza pedagogica (una madre che sottovaluta il punto di vista della prole) alle estreme conseguenze di un ribaltamento di ruoli e di identità che innescano la terribile nemesi di disconoscimento e di purificazione con cui si conclude il film. Pur afflitto dai clichè dell'assedio di un cinema freddo e distaccato che aveva da tempo mostrato la parte migliore (peggiore?) di sè nello sconvolgente meccanismo iconoclasta e antiborghese di Funny Games (Michael Haneke - 1997), il film della Franz attinge la sua forza espressiva dagli atavismi che emergono dai più profondi recessi della natura umana, laddove troppo spesso si sottovalutano le imprevedibili reazioni di due cuccioli di uomo la cui ovattata cattività viene sconvolta dalla messa in discussione di un imprinting su cui sembravano fondare non solo il riconoscimento dell'autorità del proprio genitore ma la loro stessa identità di figli (gemelli che indossano grottesche maschere rituali che li rendono indistinguibili ed inseparabili). Il nucleo paradigmatico di una assurda distopia familiare già preso a modello per le più recenti incursioni nell'allegoria sociale del cinema greco (Kynodontas - 2009 Yorgos Lanthimos; Miss Violence - 2013 Alexandros Avranas) si traduce qui nella messa in scena di una singolare declinazione della Sindrome di Capgrass in chiave antropologica, laddove il tema del doppio (due madri possibili, due figli identici) si insinua come un tarlo nelle fragili psicologie di personalità in formazione che vivono come una usurpazione il ruolo di potere attributo ad una estranea, ergendosi a giudici ed aguzzini nel tragico imperio da Signore delle Mosche che ne sani le colpe e ristabilisca l'equilibrio. Carico di sottesi simbolismi ancestrali (il bosco, il campo di mais, la magione isolata, il rapporto con la natura e con gli insetti) è un film che procede distaccato nel rendere l'allucinata deriva di una tragedia familiare da cui il mondo sembra escluso e che si conclude con il rogo purificatore che dalla notte dei tempi l'uomo riserva quale auto da fè per la perversione delle ancelle del demonio capaci di plasmare la natura delle cose e financo la loro stessa immagine. Titolo originale ("Ich seh, Ich seh") più evocativo e significativo di quello internazionale ('Goodnight Mommy') che invece rimanda alla nenia infantile che apre e chiude il film, quale crudele contrappasso di un legame filiale ormai spezzato per sempre. Girato in 35 mm è stato presentato a Venezia 2014 nella sezione Orizzonti ed ha riscosso consensi in molti festival in giro per il mondo (apprezzata la fotografia di Martin Gschlacht ) tra cui il Sitges - Catalonian International Film Festival 2014 dove ha ricevuto Il Gran Premio d'Argento per il Cinema Fantastico.
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