deborissimah
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venerdì 6 dicembre 2013
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quando la bonta' ripaga
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Un funerale a cui assiste una sola persona, un altro funerale a cui assiste una sola persona, un terzo funerale a cui assiste una sola persona, la persona di tutti e tre è la stessa, è John May, un funzionario comunale di South London che per lavoro cerca di rintracciare i parenti delle persone morte in solitudine. Ma John May prende molto sul serio il suo lavoro perché è profondamente convinto che ognuno abbia diritto a un ultimo saluto come si deve e che non è vero, come dice il suo capo, che i funerali sono solo per i vivi. Allora lo vediamo occuparsi con cura di perfetti sconosciuti, con delicatezza, con rispetto, con amore incondizionato, lo vediamo emozionarsi quando riesce dopo tanto cercare a rintracciare un parente in vita che forse avrà voglia di dare l'ultimo saluto a chi "non cucina più" e dispiacersi quando questo non accade, siamo con lui nell'attesa, nell'indagine meticolosa delle tracce di vita da cui ricostruisce personalissimi saluti, nella scelta dei luoghi migliori per poter spargere le ceneri, nella compilazione del suo personalissimo album dei ricordi, siamo con lui nelle giornate di solitudine e prima di lui ci accorgiamo di quanto la sua vita somigli a quella delle persone che se ne vanno nell'indifferenza generale.
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Un funerale a cui assiste una sola persona, un altro funerale a cui assiste una sola persona, un terzo funerale a cui assiste una sola persona, la persona di tutti e tre è la stessa, è John May, un funzionario comunale di South London che per lavoro cerca di rintracciare i parenti delle persone morte in solitudine. Ma John May prende molto sul serio il suo lavoro perché è profondamente convinto che ognuno abbia diritto a un ultimo saluto come si deve e che non è vero, come dice il suo capo, che i funerali sono solo per i vivi. Allora lo vediamo occuparsi con cura di perfetti sconosciuti, con delicatezza, con rispetto, con amore incondizionato, lo vediamo emozionarsi quando riesce dopo tanto cercare a rintracciare un parente in vita che forse avrà voglia di dare l'ultimo saluto a chi "non cucina più" e dispiacersi quando questo non accade, siamo con lui nell'attesa, nell'indagine meticolosa delle tracce di vita da cui ricostruisce personalissimi saluti, nella scelta dei luoghi migliori per poter spargere le ceneri, nella compilazione del suo personalissimo album dei ricordi, siamo con lui nelle giornate di solitudine e prima di lui ci accorgiamo di quanto la sua vita somigli a quella delle persone che se ne vanno nell'indifferenza generale. John May se ne renderà conto improvvisamente solo quando la morte si avvicinerà a casa sua, portandosi via l'uomo che abitava l'appartamento di fronte. Un po' la vicinanza fisica di questo evento e un po' il destino che vuole che questo sia il suo ultimo caso, faranno si che John May sia più coinvolto del solito nella sua missione, al viaggio spazio-temporale si aggiunge allora un viaggio psicologico che lo cambierà profondamente.
Premio Orizzonti per la migliore regia ad Uberto Pasolini, questo film ha commosso tutto il pubblico di Venezia 70 ed è stato una delle pellicole migliori presentate trasversalmente a tutte le sezioni, grazie anche all'interpretazione di Eddie Marsan, perfettamente in sintonia con il personaggio.
Still Life è una bellissima favola dei giorni nostri, come purtroppo non se ne vedono spesso al cinema, una favola di cui c'è estremamente bisogno per ricordarci che siamo effimeri e che nonostante questo possiamo fare cose grandi e importanti, che siamo soli, ma che non necessariamente dobbiamo rimanerlo in eterno e soprattutto che a volte basta veramente poco per migliorare il mondo in cui viviamo, basta il rispetto, basta l'attenzione, anche verso chi non conosciamo. John May è un uomo estremamente buono che, come troppo spesso succede, si trova ad essere estremamente solo. Uberto Pasolini ridà dignità alla bontà d'animo, dicendo a tutti noi che essere buoni ha un senso.
E' bellissimo crederlo.
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(di freedom)
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vanessa zarastro
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domenica 22 dicembre 2013
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i colori pastello delle "nature morte"
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John May si occupa delle “vite degli altri”, o meglio delle morti degli altri, delle persone sole e senza famiglia. Il suo è un lavoro indiziario che porta avanti con il massimo rigore, diligenza ed estrema professionalità. Spera sempre di trovare, di volta in volta, qualcuno che conoscesse la salma per far celebrare il funerale con un minimo di condivisione, ma si ritrova sempre solo a scrivere i necrologi-ricordo che saranno letti dall’officiante di turno. Man mano le solitudini degli altri colmano la sua; John si affeziona ai suoi morti, ne ritaglia le foto, si preoccupa anche di trovare delle sistemazioni agli eventuali cani o gatti rimasti senza padrone. Tutte le immagini sono quadri di “nature morte”, il pasto che lui consuma, la tavola apparecchiata, gli album di foto trovati nell’appartamento dell’ultima persona morta e così via.
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John May si occupa delle “vite degli altri”, o meglio delle morti degli altri, delle persone sole e senza famiglia. Il suo è un lavoro indiziario che porta avanti con il massimo rigore, diligenza ed estrema professionalità. Spera sempre di trovare, di volta in volta, qualcuno che conoscesse la salma per far celebrare il funerale con un minimo di condivisione, ma si ritrova sempre solo a scrivere i necrologi-ricordo che saranno letti dall’officiante di turno. Man mano le solitudini degli altri colmano la sua; John si affeziona ai suoi morti, ne ritaglia le foto, si preoccupa anche di trovare delle sistemazioni agli eventuali cani o gatti rimasti senza padrone. Tutte le immagini sono quadri di “nature morte”, il pasto che lui consuma, la tavola apparecchiata, gli album di foto trovati nell’appartamento dell’ultima persona morta e così via. Perfino le stazioni dei treni sembrano ritrarre un’Inghilterra lontana forse più nel tempo che nello spazio. Siamo sempre ai bordi, ai margini perfino negli uffici del comune. Gli scorci urbani sono sempre rappresentati deserti, le case a ballatoio sono semivuote e i ritmi tutti rallentati. È per questa sua precisione e rigore che, in tempo di crisi, il comune decide di tagliare proprio questo “servizio utenti”, troppo costosi gli inutili e vuoti funerali e troppo costose le bare che John sceglie con cura dopo aver in qualche modo identificato la personalità del morto. John sceglie accuratamente per il funerale anche le musiche e si porta perfina i CDs da casa sua. Un film garbato, fatto di sentimenti sottovoce, si direbbe understanding, dove il protagonista man mano si scioglie e, ripercorrendo una vita di un uomo trasgressivo, si lascia andare anche a delle dolci emozioni. È un film sull’assenza ma nonostante abbia tutti gli ingredienti per essere un film triste, trovo che sia anche un film di speranza e di continuità. Un film raro, poetico e direi perfino educativo che consiglierei caldamente.
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pressa catozzo
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venerdì 13 dicembre 2013
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come al cinema - the end
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Cosa può determinare la bellezza di un film? Cosa riconoscere a questa opera di una delicatezza che avresti desiderato che il personaggio restasse con noi. Viviamo come un telecomando? Non più esequie ma click e tutto finisce. Bel cinema solo 5 sale uno sparuto pubblico fortunatamente silenzioso. Non raggiungerà gli incassi del cinema demenziale ma mi auguro che rientri delle spese per poterci dare altri film di questo genere. Cinema di pensiero e di anima. Ottima fotografia, raramente colorata dal sole per il resto cupa. Bei personaggi , veri . Montaggio fluido musiche che ti accarezzano l'udito. mai fuori dalle righe. Anche sbucciando la mela usa la stessa delicatezza che attua nei confronti dei defunti.
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Cosa può determinare la bellezza di un film? Cosa riconoscere a questa opera di una delicatezza che avresti desiderato che il personaggio restasse con noi. Viviamo come un telecomando? Non più esequie ma click e tutto finisce. Bel cinema solo 5 sale uno sparuto pubblico fortunatamente silenzioso. Non raggiungerà gli incassi del cinema demenziale ma mi auguro che rientri delle spese per poterci dare altri film di questo genere. Cinema di pensiero e di anima. Ottima fotografia, raramente colorata dal sole per il resto cupa. Bei personaggi , veri . Montaggio fluido musiche che ti accarezzano l'udito. mai fuori dalle righe. Anche sbucciando la mela usa la stessa delicatezza che attua nei confronti dei defunti. Un inno alla solitudine, peccato potevamo vivere meglio. Più che un premio direi di consolazione meritava di più. Sarà per la prossima volta. Grazie al regista per questa opera che mentre visionavo nel cielo di Roma si sentiva l'elicottero della Polizia che controllava le anime ribelli.
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[+] un finale da non perdere
(di effepi)
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flyanto
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lunedì 16 dicembre 2013
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quanto la solitudine ci appartenga
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Film in cui si racconta di un meticoloso e mediocre impiegato del comune il quale deve adoperarsi a cercare i parenti più prossimi, se ve ne sono, delle persone che sono morte in solitudine. Egli svolge con molta attenzione e scrupolosità il proprio incarico sebbene non riesca sempre ad adempierlo con successo. Quando gli viene annunciato dal proprio superiore che per questioni di ridimensionamento del personale la sua collaborazione non è più necessaria, il protagonista vuole darsi da fare per risolvere con successo almeno quello che sarà per lui l'ultimo caso. E così parte alla ricerca, riuscendo alla fine a trovarli, dei parenti di un ex-para deceduto, nonchè ex-detenuto, dedito al bere e pure suo, però mai visto, vicino di casa, e riuscendo ad intravvedere per se stesso un notevole cambiamento di vita.
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Film in cui si racconta di un meticoloso e mediocre impiegato del comune il quale deve adoperarsi a cercare i parenti più prossimi, se ve ne sono, delle persone che sono morte in solitudine. Egli svolge con molta attenzione e scrupolosità il proprio incarico sebbene non riesca sempre ad adempierlo con successo. Quando gli viene annunciato dal proprio superiore che per questioni di ridimensionamento del personale la sua collaborazione non è più necessaria, il protagonista vuole darsi da fare per risolvere con successo almeno quello che sarà per lui l'ultimo caso. E così parte alla ricerca, riuscendo alla fine a trovarli, dei parenti di un ex-para deceduto, nonchè ex-detenuto, dedito al bere e pure suo, però mai visto, vicino di casa, e riuscendo ad intravvedere per se stesso un notevole cambiamento di vita. Questa pellicola ha giustamente fatto ricevere al regista Uberto Pasolini al Festival di Venezia il premio per la migliore regia nella sezione "Orizzonti" e non si può che non esserne d'accordo in quanto la cura e l'equilibro con cui la vicenda è narrata risultano talmente evidenti da renderla un vero gioiello di opera. Il film in sè è molto amaro, per non dire triste, e sicuramente induce lo spettatore a porsi numerosi quesiti sulla propria vita terrena e sul trapasso nell' al di là. Un senso di smarrimento e solitudine lo pervade tutto ma è proprio quest'atmosfera quasi evanescente ed impalpabile che rende la pellicola diversa e sotto certi aspetti superiore a tante altre produzioni cinematografiche. Da menzionare e fattore contribuente al valore del film, inoltre, è la recitazione lineare, volutamente monocorde dell'attore Eddie Marsan che interpreta magnificamente il proprio personaggio di persona grigia, metodica, puntigliosa, sensibile, dall'espressione del volto sempre uguale e dal vestito sempre identico per tipologia e colore: insomma, una persona che si è con gli anni appiattita e conformatasi all'ambiente in cui svolge la propria professione e trascorre pure la maggior parte della propria monotona esistenza. Da non perdere assolutamente.
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[+] non si può che non esserne d'accordo ... ???
(di angelo umana)
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tavololaici
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sabato 4 gennaio 2014
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tra beckett , pessoa e orwell : still life
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Tra Beckett, Pessoa e Orwell : un film d’arte al cinema: ”Still Life”.
Elegante e delicatissimo, un film d’arte è miracolosamente apparso in queste settimane nelle sale: ”Still Life”.
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Tra Beckett, Pessoa e Orwell : un film d’arte al cinema: ”Still Life”.
Elegante e delicatissimo, un film d’arte è miracolosamente apparso in queste settimane nelle sale: ”Still Life”.
Composto ed essenziale, misurato e profondissimo, strutturato ed intenso, “Still Life”si eleva culturalmente dal ciarpame trionfante, e oltrepassa con indifferenza i gusti grossolani dei superficiali.
Ogni inquadratura tradisce ricerca, approfondimento, gusto iconografico. Sembra di percorrere i sentieri della pittura fiamminga ma allo stesso tempo le altrettanto essenziali solitudini americane di Hopper.
Dietro la porta appena socchiusa si scorgono, per nulla esibiti, i volti di Bechett e di Orwell, e poi Pessoa, passando attraverso il Bartleby di Melville e i funzionari del Castello di Kafka, e tanto altro ancora.
Pienamente confitto nella nostra contemporaneità (tra i “tagli di rami secchi” di una amministrazione comunale e volgarità di ogni tipo della stessa), guarda dentro le cose, assumendo le movenze, solo apparenti, di chi volge altrove lo sguardo o sembra volgerlo alle cose minori.
Un attore semplicemente meraviglioso fornisce immagine allo scopo di questo film , che ha rispetto della solitudine (oddio ! oddio!) senza cedere alle scemenze e alle demonizzazioni di tanta parte della cultura psicologica imperante.
La ricerca iconografica e la struttura culturale legata ad ogni immagine(lo stesso gusto del colore),come si diceva, è accuratissima.
Si tratta infatti di un film coltissimo, che mostra un rispetto profondo e non esibito per la vita degli altri, con un protagonista che fa ricerca, che tace, che dimostra di credere, silente, senza proclami, che ognuno meriti un po’ di rispetto almeno quando se ne va .
Siamo davanti ad un film civilissimo infatti, e pieno di rigore, un piccolo muro contro la inciviltà dei sistemi,del funzionariato (le vere “nature morte” del film),delle istituzioni.
La sua essenzialità è composta e nemmeno questa esibita come un traguardo. Nulla è “buttato li”; i due mendicanti sembrano tratti fuori da qualche passaggio shakespeariano (“in fondo non è quello che desideriamo tutti una donna con cui stare in silenzio?”) ripreso dalla penna di Beckett.
Il finale (le Moire che interrompono subito esigendo anche dal protagonista il loro tributo) strizza un po’ l’occhio ad un pubblico piu’ ampio,ma va bene anche cosi’.
Un film contro la volgarità delle interpretazioni di massa.
Gianni Buganza , Padova 3 gennaio 2014
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fafia61
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martedì 28 gennaio 2014
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una favola sulla solitudine
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Sala di periferia, anonima e sgualcita.
Siamo in 16 e ci guardiamo di sottecchi, come marziani del cinema, come alieni del grande schermo.
Forse pensavamo di essere soli, sì, solo noi a vedere quel film che centri commerciali, multisala e grandi cinema hanno sistematicamente evitato.
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Sala di periferia, anonima e sgualcita.
Siamo in 16 e ci guardiamo di sottecchi, come marziani del cinema, come alieni del grande schermo.
Forse pensavamo di essere soli, sì, solo noi a vedere quel film che centri commerciali, multisala e grandi cinema hanno sistematicamente evitato.
E invece i 16 mohicani hanno visto giusto, siamo noi i fortunati, noi che abbiamo evitato i colossal e i cinepanettoni per gustarci questo piccolo gioiellino.
Già, perchè 'Still life' è proprio un piccolo capolavoro, azzeccato in ogni piccolo particolare, indovinato e calcolato in ogni piccolo dettaglio, un film che è una poesia, una favola sulla solitudine, anzi un vero e proprio inno alla solitudine.
Un film bellissimo, quindi.
A cominciare dalla regia, abile, capace ,precisa, rigorosa, diretta, non a caso premiata alla Mostra internazionale di Venezia.
D'altra parte, delle ottime qualità di Uberto Pasolini (voto 8) avevamo già sentito parlare, anche se forse più come produttore e sceneggiatore che come regista.
Poi la fotografia, cruda, cupa, spenta, poco colorata dal sole; poi le musiche, leggere, soavi, delicate.
Strepitosa la trama, talmente grottesca e inusuale da risultare geniale.
John May (Eddie Marsan,voto 9) è un semplice funzionario comunale di South London che dedica il suo lavoro alla ricerca dei parenti di persone morte in totale solitudine.
Sembra un uomo scialbo, insignificante, privo di affetti e di amicizie.
Invece è una persona precisa, lodevole, diligente, piena di amore, di sensibilità, di attenzione, non verso il mondo dei vivi, dal quale viene sistematicamente ignorato, ma verso i morti, ai quali si dedica con impegno e volontà cercando di dare loro degne sepolture, discorsi celebrativi profondi, musiche adatte, funerali appropriati,ecc.
John May è buono e solo, si emoziona quando riesce a trovare qualche parente o amico del deceduto, e si emoziona pure quando trova fotografie dei defunti, che poi incolla e cataloga in modo maniacale e preciso in un voluminoso album.
La sua vita, ordinata e rispettosa, cambia improvvisamente quando,a causa dei tagli al personale comunale, viene bruscamente licenziato("I funerali sono solo per i vivi!!" gli rinfaccia il suo capo).
La sua ultima, frettolosa ricerca (John deve trovare i conoscenti del defunto Billy Stoke) lo porta in contatto con cose che, nella strenua assiduità del suo lavoro, aveva regolarmente evitato: una cioccolata calda, una bottiglia di whisky, il volto di una donna, lo sguardo di una donna, il sorriso di una donna.
E, proprio mentre John May sembra affacciarsi, per la prima volta nella sua esistenza, alla realtà 'esterna', alla vita dei vivi, ecco che...
Non si può rivelare altro, per non rovinare la visione del film e l'essenza stessa del film.
Un film d'anima, di pensiero, di immagine e di senso, un film che regala e trasmette cinema dalla prima all'ultima, meravigliosa, scena.
Ma voi, amanti dell'azione e del sangue, del mostro e della parolaccia, dell'astronave e delle sparatorie, lasciate pure perdere 'Still life'; lo trovereste lento, tetro, scialbo, magari noioso, e pure quei veloci 87' potrebbero risultarvi tremendamente indigesti.
Voialtri, invece, che amate la metafora ingegnosa, le storie intense e appassionanti, il cinema dei dettagli e dei silenzi , dei colori pallidi e appannati, delle luci morbide, dei contenuti forti, dei racconti toccanti e commoventi, voi sì che amerete 'Still life', e vi immedesimerete nel tenero protagonista e nella sua sconfinata umanità, nella sua vicenda strana ma bella, insolita ma coinvolgente.
E voi sarete quelli ai quali, nello splendido finale, verranno i brividi e, ai più sensibili, anche qualche lacrimuccia.
Sala di periferia, anonima e sgualcita.
Siamo in 16 e ci guardiamo di sottecchi, come marziani del cinema, come alieni del grande schermo.
Forse pensavamo di essere soli, sì, solo noi a vedere quel film che centri commerciali, multisala e grandi cinema hanno sistematicamente evitato.
E invece i 16 mohicani hanno visto giusto, siamo noi i fortunati, noi che abbiamo evitato i colossal e i cinepanettoni per gustarci questo piccolo gioiellino.
Già, perchè 'Still life' è proprio un piccolo capolavoro, azzeccato in ogni piccolo particolare, indovinato e calcolato in ogni piccolo dettaglio, un film che è una poesia, una favola sulla solitudine, anzi un vero e proprio inno alla solitudine.
Un film bellissimo, quindi.
A cominciare dalla regia, abile, capace ,precisa, rigorosa, diretta, non a caso premiata alla Mostra internazionale di Venezia.
D'altra parte, delle ottime qualità di Uberto Pasolini (voto 8) avevamo già sentito parlare, anche se forse più come produttore e sceneggiatore che come regista.
Poi la fotografia, cruda, cupa, spenta, poco colorata dal sole; poi le musiche, leggere, soavi, delicate.
Strepitosa la trama, talmente grottesca e inusuale da risultare geniale.
John May (Eddie Marsan,voto 9) è un semplice funzionario comunale di South London che dedica il suo lavoro alla ricerca dei parenti di persone morte in totale solitudine.
Sembra un uomo scialbo, insignificante, privo di affetti e di amicizie.
Invece è una persona precisa, lodevole, diligente, piena di amore, di sensibilità, di attenzione, non verso il mondo dei vivi, dal quale viene sistematicamente ignorato, ma verso i morti, ai quali si dedica con impegno e volontà cercando di dare loro degne sepolture, discorsi celebrativi profondi, musiche adatte, funerali appropriati,ecc.
John May è buono e solo, si emoziona quando riesce a trovare qualche parente o amico del deceduto, e si emoziona pure quando trova fotografie dei defunti, che poi incolla e cataloga in modo maniacale e preciso in un voluminoso album.
La sua vita, ordinata e rispettosa, cambia improvvisamente quando,a causa dei tagli al personale comunale, viene bruscamente licenziato("I funerali sono solo per i vivi!!" gli rinfaccia il suo capo).
La sua ultima, frettolosa ricerca (John deve trovare i conoscenti del defunto Billy Stoke) lo porta in contatto con cose che, nella strenua assiduità del suo lavoro, aveva regolarmente evitato: una cioccolata calda, una bottiglia di whisky, il volto di una donna, lo sguardo di una donna, il sorriso di una donna.
E, proprio mentre John May sembra affacciarsi, per la prima volta nella sua esistenza, alla realtà 'esterna', alla vita dei vivi, ecco che...
Non si può rivelare altro, per non rovinare la visione del film e l'essenza stessa del film.
Un film d'anima, di pensiero, di immagine e di senso, un film che regala e trasmette cinema dalla prima all'ultima, meravigliosa, scena.
Ma voi, amanti dell'azione e del sangue, del mostro e della parolaccia, dell'astronave e delle sparatorie, lasciate pure perdere 'Still life'; lo trovereste lento, tetro, scialbo, magari noioso, e pure quei veloci 87' potrebbero risultarvi tremendamente indigesti.
Voialtri, invece, che amate la metafora ingegnosa, le storie intense e appassionanti, il cinema dei dettagli e dei silenzi , dei colori pallidi e appannati, delle luci morbide, dei contenuti forti, dei racconti toccanti e commoventi, voi sì che amerete 'Still life', e vi immedesimerete nel tenero protagonista e nella sua sconfinata umanità, nella sua vicenda strana ma bella, insolita ma coinvolgente.
E voi sarete quelli ai quali, nello splendido finale, verranno i brividi e, ai più sensibili, anche qualche lacrimuccia.
Sala di periferia, anonima e sgualcita.
Siamo in 16 e ci guardiamo di sottecchi, come marziani del cinema, come alieni del grande schermo.
Forse pensavamo di essere soli, sì, solo noi a vedere quel film che centri commerciali, multisala e grandi cinema hanno sistematicamente evitato.
E invece i 16 mohicani hanno visto giusto, siamo noi i fortunati, noi che abbiamo evitato i colossal e i cinepanettoni per gustarci questo piccolo gioiellino.
Già, perchè 'Still life' è proprio un piccolo capolavoro, azzeccato in ogni piccolo particolare, indovinato e calcolato in ogni piccolo dettaglio, un film che è una poesia, una favola sulla solitudine, anzi un vero e proprio inno alla solitudine.
Un film bellissimo, quindi.
A cominciare dalla regia, abile, capace ,precisa, rigorosa, diretta, non a caso premiata alla Mostra internazionale di Venezia.
D'altra parte, delle ottime qualità di Uberto Pasolini (voto 8) avevamo già sentito parlare, anche se forse più come produttore e sceneggiatore che come regista.
Poi la fotografia, cruda, cupa, spenta, poco colorata dal sole; poi le musiche, leggere, soavi, delicate.
Strepitosa la trama, talmente grottesca e inusuale da risultare geniale.
John May (Eddie Marsan,voto 9) è un semplice funzionario comunale di South London che dedica il suo lavoro alla ricerca dei parenti di persone morte in totale solitudine.
Sembra un uomo scialbo, insignificante, privo di affetti e di amicizie.
Invece è una persona precisa, lodevole, diligente, piena di amore, di sensibilità, di attenzione, non verso il mondo dei vivi, dal quale viene sistematicamente ignorato, ma verso i morti, ai quali si dedica con impegno e volontà cercando di dare loro degne sepolture, discorsi celebrativi profondi, musiche adatte, funerali appropriati,ecc.
John May è buono e solo, si emoziona quando riesce a trovare qualche parente o amico del deceduto, e si emoziona pure quando trova fotografie dei defunti, che poi incolla e cataloga in modo maniacale e preciso in un voluminoso album.
La sua vita, ordinata e rispettosa, cambia improvvisamente quando,a causa dei tagli al personale comunale, viene bruscamente licenziato("I funerali sono solo per i vivi!!" gli rinfaccia il suo capo).
La sua ultima, frettolosa ricerca (John deve trovare i conoscenti del defunto Billy Stoke) lo porta in contatto con cose che, nella strenua assiduità del suo lavoro, aveva regolarmente evitato: una cioccolata calda, una bottiglia di whisky, il volto di una donna, lo sguardo di una donna, il sorriso di una donna.
E, proprio mentre John May sembra affacciarsi, per la prima volta nella sua esistenza, alla realtà 'esterna', alla vita dei vivi, ecco che...
Non si può rivelare altro, per non rovinare la visione del film e l'essenza stessa del film.
Un film d'anima, di pensiero, di immagine e di senso, un film che regala e trasmette cinema dalla prima all'ultima, meravigliosa, scena.
Ma voi, amanti dell'azione e del sangue, del mostro e della parolaccia, dell'astronave e delle sparatorie, lasciate pure perdere 'Still life'; lo trovereste lento, tetro, scialbo, magari noioso, e pure quei veloci 87' potrebbero risultarvi tremendamente indigesti.
Voialtri, invece, che amate la metafora ingegnosa, le storie intense e appassionanti, il cinema dei dettagli e dei silenzi , dei colori pallidi e appannati, delle luci morbide, dei contenuti forti, dei racconti toccanti e commoventi, voi sì che amerete 'Still life', e vi immedesimerete nel tenero protagonista e nella sua sconfinata umanità, nella sua vicenda strana ma bella, insolita ma coinvolgente.
E voi sarete quelli ai quali, nello splendido finale, verranno i brividi e, ai più sensibili, anche qualche lacrimuccia.
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filippo catani
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giovedì 17 aprile 2014
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essere john may
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John May è un funzionario del municipio di Londra che da oltre 20 anni si preoccupa di dare una sistemazione a coloro che muoiono in solitudine. Il suo compito consiste nel trovare eventuali parenti o amici del defunto e occuparsi del funerale e della tumulazione. Un giorno John riceve il licenziamento e decide così di portare a termine l'ultimo caso su cui stava lavorando.
Senza ombra di dubbio Still Life è la sorpresa cinematografica italiana dell'anno e grazie al passaparola il film è anche riuscito a raccogliere un ottimo successo di pubblico. Niente di più meritato per un film che se dovessimo descrivere in due parole potremmo definire intimo e commovente.
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John May è un funzionario del municipio di Londra che da oltre 20 anni si preoccupa di dare una sistemazione a coloro che muoiono in solitudine. Il suo compito consiste nel trovare eventuali parenti o amici del defunto e occuparsi del funerale e della tumulazione. Un giorno John riceve il licenziamento e decide così di portare a termine l'ultimo caso su cui stava lavorando.
Senza ombra di dubbio Still Life è la sorpresa cinematografica italiana dell'anno e grazie al passaparola il film è anche riuscito a raccogliere un ottimo successo di pubblico. Niente di più meritato per un film che se dovessimo descrivere in due parole potremmo definire intimo e commovente. Impossibile non empatizzare con John May (un superbo Marsan) che ha tutta l'aria e l'aspetto del classico burocrate perbene: solita routine, stesso completo, ufficio grigio e vita solitaria e senza particolari scossoni. Quello che lo fa evadere da questo grigiore è proprio il lavoro che fa: cercare di dare degna sepoltura a chi, per un motivo o l'altro, è morto in solitudine. Ecco allora che Pasolini ci offre uno spaccato terribile della solitudine che si può riassumere in due potentissime immagini del film: la donna che fingeva di ricevere lettere scritte dal suo gatto la sua unica compagnia e John May seduto in un pub con due bicchieri già vbevuti e un terzo pronto che osserva le persone conversare mentre lui è seduto da solo. L'ultima persona di cui si occuperà avrà una valrnza speciale per lui perchè dovrà fare i conti con un uomo la cui vita è stata esattamente agli antipodi della sua ma proprio questo è ciò che lo affascina insieme alla figlia di lui carina e sensibile. Una ragazza che finalmente sembra portare un po' di luce nel grigio della Londra della pellicola. Insomma un film superbo premiato a Venezia nei Nuovi Orizzonti e che ci sbatte in faccia senza filtri il dramma della solitudine che è sempre sotto i nostri occhi ma che noi non vogliamo o fingiamo di non voler vedere. Bellissimo.
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pascalo77
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domenica 19 gennaio 2014
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la vita nella morte...
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Un capolavoro, stupendo. Un film introspettivo sul cinismo della vita moderna dove il carattere empatico delle persone viene sostituito da meri calcoli utilitaristici, stigmatizzando un ciclo di decadimento del "capitale umano" sino alla sfera familiare/affettiva, dove i figli ripudiano i padri e i padri trascurano i figli. Ma non si puó non percepire ( in una eccezionale interpretazione) la potenzialitá caritatevole e compassionale del genere umano celata sotto le vesti di un insignificante (secondo i canoni convenzionali) buocrate di un insignificante ufficio comunale di periferia.
Il protagonista, nel suo immenso dolore ed introiezione del rimorso e delle colpe altrui, sviluppa una asocialitá di tratto ossessivo/compulsivo che viene peró sconvolta prima dall'amore e poi dal destino.
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Un capolavoro, stupendo. Un film introspettivo sul cinismo della vita moderna dove il carattere empatico delle persone viene sostituito da meri calcoli utilitaristici, stigmatizzando un ciclo di decadimento del "capitale umano" sino alla sfera familiare/affettiva, dove i figli ripudiano i padri e i padri trascurano i figli. Ma non si puó non percepire ( in una eccezionale interpretazione) la potenzialitá caritatevole e compassionale del genere umano celata sotto le vesti di un insignificante (secondo i canoni convenzionali) buocrate di un insignificante ufficio comunale di periferia.
Il protagonista, nel suo immenso dolore ed introiezione del rimorso e delle colpe altrui, sviluppa una asocialitá di tratto ossessivo/compulsivo che viene peró sconvolta prima dall'amore e poi dal destino. Ed infine il finale. Emozionante e carico di riflessioni sul senso della vita e sulla conseguenza delle nostre azioni.
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[+] recensione breve ma ben fatta
(di fafia61)
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enrico omodeo sale
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domenica 29 dicembre 2013
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film perfetto basato sulla sottrazione
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"Still life" di Pasolini (Uberto) è un film perfetto. Fare un film in grande stile perfetto è quasi impossibile, come dimostrano opere che mirano molto in alto tipo "La grande bellezza". Fare un film essenziale perfetto è possibile, e "Still life" incarna perfettamente questa dimensione rigorosa, precisa come un cubo di Rubik, apperentemente semplice ma strutturalmente complessa.
La storia di John May, personaggio silenzioso, meccanico, malinconico, triste, ma incredibilmente umano, è la descrizione di un uomo medio ma non mediocre, che grazie alla sua passione per il lavoro e alla metodica energia che imprime nella ricerca di parenti e amici di cadaveri solitari, riuscendo a diventare personaggio e protagonista di un film.
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"Still life" di Pasolini (Uberto) è un film perfetto. Fare un film in grande stile perfetto è quasi impossibile, come dimostrano opere che mirano molto in alto tipo "La grande bellezza". Fare un film essenziale perfetto è possibile, e "Still life" incarna perfettamente questa dimensione rigorosa, precisa come un cubo di Rubik, apperentemente semplice ma strutturalmente complessa.
La storia di John May, personaggio silenzioso, meccanico, malinconico, triste, ma incredibilmente umano, è la descrizione di un uomo medio ma non mediocre, che grazie alla sua passione per il lavoro e alla metodica energia che imprime nella ricerca di parenti e amici di cadaveri solitari, riuscendo a diventare personaggio e protagonista di un film.
Still life è basato sulla sottrazione e sul movimento. Piccoli gesti, ritualità quotidiane come i pasti frugali che john consuma nella propria anonima abitazione, esercizi scrupolosi come il rito dell'appendere la giacca sempre nello stesso posto e nello stesso modo, si alternano ai continui movimenti di John, in particolare nella seconda parte del film, quella in cui cerca di portare a termine il suo "ultimo caso", l'organizzazione di un funerale dignitoso e partecipato a un ex militare alcolizzato. Ritualità e movimento, quello dei treni, delle porte che si aprono e si chiudono per aprire delle fugaci scene di dialogo e di ricerca, simbolo delle relazioni mancate del protagonista, uomo solo, che vive ma per poco le "vite degli altri".
Il funzionario comunale John May è più caloroso e umano dei parenti di un morto, stranezza che però contagia (a scoppio ritardato) queste persone, affascinate dal silenzioso e apparentemente inespressivo entusiasmo del protagonista, che raggiunge il suo apice nella pisciata contro la macchina del boss e, soprattutto, nello splendido primo piano del viso che mette in evidenza i suoi occhi blu prima dell'appuntamento con la figlia del morto, e che nella perfetta struttura a orologeria del film, anticipa il colpo di scena finale.
Il titolo, giustamente non tradotto nella versione italiana, significa "natura morta", ma letteralmente potrebbe voler dire "ancora vita", lascia spazio a molteplici interpretazioni. Quello che però si può affermare con certezza, è che nel caos cinematografico di questo periodo, c'è ancora spazio per film indipendenti in 2d dove la commozione viene prima dell'azione pura e semplice. E questo fa ben sperare per gli anni a venire.
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fabiofeli
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domenica 22 dicembre 2013
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pietà l'è morta
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L’espressione inglese “still life”, tradotta letteralmente in italiano corrisponde a natura morta, ma significa natura immobile, silenziosa. E John May ( Eddie Marsan) è un impiegato municipale londinese di poche parole che fa trapelare le sue emozioni da un volto apparentemente immobile, ma ciononostante espressivo nel sollevarsi di ciglia sugli occhi chiari o in un sorriso accennato. La sua vita solitaria gira attorno ad un lavoro reso inutile da un mondo nel quale “pietà l’è morta”: John deve reperire parenti e amici di persone decedute in solitudine e miseria per prepararne le onoranze funebri a carico della spesa pubblica. Con meticolosità cerca indizi nelle stanze dei decessi in zone periferiche di Londra, frugando tra foto o lettere.
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L’espressione inglese “still life”, tradotta letteralmente in italiano corrisponde a natura morta, ma significa natura immobile, silenziosa. E John May ( Eddie Marsan) è un impiegato municipale londinese di poche parole che fa trapelare le sue emozioni da un volto apparentemente immobile, ma ciononostante espressivo nel sollevarsi di ciglia sugli occhi chiari o in un sorriso accennato. La sua vita solitaria gira attorno ad un lavoro reso inutile da un mondo nel quale “pietà l’è morta”: John deve reperire parenti e amici di persone decedute in solitudine e miseria per prepararne le onoranze funebri a carico della spesa pubblica. Con meticolosità cerca indizi nelle stanze dei decessi in zone periferiche di Londra, frugando tra foto o lettere. Spesso trova poco di notevole, oltre la foto del morto, per preparare il discorso di chi officerà il servizio funebre: una collezione di dischi gli suggerirà la scelta della musica per accompagnare la cerimonia. E solo lui presenzierà all’inumazione. John si sta occupando di un certo William Stoke, quando il dirigente del suo ufficio, Mr. Pratchett (Andrew Buchan), gli comunica bruscamente con efficienza thatcheriana il suo futuro: il lavoro dell’impiegato passa ad un altro ufficio perché è “un ramo secco”, e i costi per ottenere un risultato che non interessa più a nessuno sono troppo alti. John – afferma cinicamente Pratchett - avrà “una buona occasione per cambiare lavoro” dopo 22 anni. Raggelato, John May strappa il permesso di completare l’ultimo caso del quale si sta occupando. William Stoke viveva proprio davanti alla casa di John, addirittura in una finestra di fronte alla sua; John riesce a trovare Jumbo (Ciaran McIntyre), un commilitone della guerra delle Malvine al quale William ha salvato la vita, una certa Mary (Karen Drury) con la quale il defunto ha convissuto per un po’, e la figlia di Stoke, Kelly (Joanne Froggatt), che figura ancora bambina in un vecchio album di fotografie trovato in casa del morto. Con Kelly il grigio impiegato comunale stabilisce un sottile filo di comunicazione; nasce una tenue simpatia reciproca: un premio alla scrupolosa costanza di John. Negli spostamenti su autobus e metropolitane per svolgere il suo lavoro, l’impiegato finalmente trova posto nel senso di marcia delle vetture: è un segno che qualcosa nella sua vita solitaria è cambiato. Ma …
Uberto Pasolini, a suo tempo impegnato nella produzione del gustoso “Full Monty” di Peter Cattaneo, ha diretto il divertente Machan; stavolta produce, sceneggia e dirige un’opera delicata e poetica. Ha buon gioco con il bravo Eddie Marsan, apparso in ruoli secondari in altri film. Pasolini, nel raccontare la storia, inanella belle immagini fotografiche di perfetta composizione, confezionando un buon film nonostante il tema dolente trattato. Da vedere.
Valutazione *** ½
FabioFeli
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(di fafia61)
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