Lo que puede el sentimiento
No lo ha podido el saber
Ni el más claro proceder
Ni el más ancho pensamiento
Todo lo cambia el momento
Cual mago condescendiente
Nos aleja dulcemente
De rencores y violencias
Solo el amor con su ciencia
Nos vuelve tan inocentes
("volver a los diecisiete", Violeta Parra)
Non è mai facile accostarsi in un film a una personalità arrtistica come quella di Violeta Parra. Si rischia l’agiografia, la santificazione, si può alimentare una leggenda che celebra il mito e mistifica la persona.
Violeta era un’artista straordinariamente dotata e versatile: non solo grande cantautrice, ma anche scrittrice, poetessa, pittrice e scultrice, attenta al recupero delle tradizioni popolari (la cui ricchezza in America Latina ha una forza pari soltanto alla ferocia della colonizzazione), innovatrice e fondatrice della “Nueva canciòn chilena”. Donna appassionata, generosa, impegnata nelle lotte di emancipazione del proprio popolo, visionaria e con una sensibilità poetica eccezionale. Allo stesso tempo, fragile, possessiva, incapace di mediazioni, almeno per ciò che riteneva veramente importante, desiderosa di amore assoluto, orgogliosa e testarda. Caratteristiche di una personalità debordante, che traeva energia e ispirazione dai sentimenti, ma che i sentimenti , se venivano negati, contribuivano a ferire, a lacerare.
Il film di Andres Wood, regista cileno, evita questi pericoli proponendoci una ritratto dell’artista latinoamericana attento alla complessità del persona, alle contraddizioni di una donna che è maturata creativamente negli anni ’50 in un contesto maschilista e periferico rispetto alle direttrici culturali egemoni. Lo fa con un’opera attenta ai chiaroscuri, lontana dall’epopea e dalla celebrazione, che inizia in uno sperduto paesino dove Violeta e il suo gruppo si esibiscono davanti a uno scarso pubblico. “Violeta se fué a los cielos” ricostruisce il percorso dell’artista con salti temporali che restituiscono, come in un puzzle, un’immagine composita della protagonista. Il viaggio a Varsavia nel ’54, il padre alcolista, il rapporto con i 4 figli nati nei suoi due matrimoni, la permanenza in Francia dove espose i suoi quadri al Louvre, la relazione con il musicologo Gilbert Favrè, più giovane di lei di 20 anni, suo amore appassionato e tormentato, i tentativi di edificare la Universidad del folklore, le sensazioni di abbandono dopo la fine del suo rapporto, una depressione strisciante che si è insinuata dentro di lei fino all’esito fatale, tutti questi elementi sono presentati senza enfasi, con un approccio onesto e rispettoso, ma non compiacente.
L’attrice che interpreta Violeta –Francisca Gavilan- è eccellente e si è calata nel ruolo con un’aderenza stupefacente al personaggio. La Gavilan si dimostra anche buona cantante, con un’ottima performance delle canzoni dell’autrice.
Il film di Wood mi è parso efficace easciutto, non cede alla commozione e alla retorica – che pure sono insite nella materia trattata-, non celebra un’icona della cultura latinoamericana, è percorso da un sottile filo di tristezza, come se gli sterminati panorami andini, la vastità del continente, gli ideali culturali e politici di chi vuole edificare una società migliore si scontrassero con un destino di solitudine e di isolamento iscritto nei volti, nelle pietre, nella geografia di un territorio splendido e dimenticato.
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