Sembra di primo acchito il solito horror adolescenziale, diretto dal regista di Gremlins di venticinque anni prima, Joe Dante, ma il plot, che vede protagonisti due diciottenni e un bambino, sebbene sia congegnato come un fantasy disneyano ha un evidente significato psicanalitico che pur trasparendo in modo piuttosto elementare tuttavia lo rende un prodotto non del tutto convenzionale e ad uso esclusivo di un pubblico di teenagers. Il buco al centro della trama, che compare persino nel titolo annunciando una proiezione tridimensionale del film, racchiude nelle sue tenebre le ansie e le paure inconsce che si materializzano di volta in volta in figure ectoplasmatiche, come la bambina zombie che invero compare troppe volte per poter sortire un vero effetto orrorifico, in piccoli pupazzetti clowneschi, topoi abusati nel cinema di genere, o in un mostro gigantesco, una creatura mitologica afflitta dalla sindrome di Crono, che simboleggia il super io opprimente, una tipica proiezione del padre nel complesso edipico aggravata, nella fattispecie, dalla propensione criminale del soggetto colpevole di violenze materiali sulla moglie e sui figli e per questo rinchiuso in carcere.
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Sembra di primo acchito il solito horror adolescenziale, diretto dal regista di Gremlins di venticinque anni prima, Joe Dante, ma il plot, che vede protagonisti due diciottenni e un bambino, sebbene sia congegnato come un fantasy disneyano ha un evidente significato psicanalitico che pur trasparendo in modo piuttosto elementare tuttavia lo rende un prodotto non del tutto convenzionale e ad uso esclusivo di un pubblico di teenagers. Il buco al centro della trama, che compare persino nel titolo annunciando una proiezione tridimensionale del film, racchiude nelle sue tenebre le ansie e le paure inconsce che si materializzano di volta in volta in figure ectoplasmatiche, come la bambina zombie che invero compare troppe volte per poter sortire un vero effetto orrorifico, in piccoli pupazzetti clowneschi, topoi abusati nel cinema di genere, o in un mostro gigantesco, una creatura mitologica afflitta dalla sindrome di Crono, che simboleggia il super io opprimente, una tipica proiezione del padre nel complesso edipico aggravata, nella fattispecie, dalla propensione criminale del soggetto colpevole di violenze materiali sulla moglie e sui figli e per questo rinchiuso in carcere. L?uccisione metaforica del padre, in una delle ultime sequenze, ambientata in uno spazio senza dimensioni realistiche con una scenografia caratterizzata da immagini surreali che non appartengono a questo mondo ma a quello del proprio io recondito, segna quindi freudianamente la maturazione del ragazzo che entra finalmente a far parte del mondo degli adulti, rappresentato dalla madre e dal suo nuovo compagno, con conseguente chiusura, almeno momentanea, della botola, ovvero la maschera che si indossa quotidianamente nelle relazioni sociali e dietro la quale si nascondono i terribili fantasmi del nostro passato.
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