melania
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domenica 12 settembre 2010
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film bello
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Mi è molto piaciuto,i temi trattati sono interessanti,non stanca sino alla fine.commovente,consigliabile!
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stephanief
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domenica 12 settembre 2010
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il primo passo per combattere il razzismo....
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E' proprio vero che il primo passo per combattere il razzismo è ammettere la diffidenza iniziale che nutriamo nei confronti di chi è "diverso"... la pena più grande in questo film è vedere un genitore che oltre a dover sopportare l'angoscia del perdere un figlio deve sopportare la "colpa" di essere musulmano... per fortuna, come capita in qualsiasi contesto, la conoscenza e frequentazione dell'altro e la condivisione di un dolore fa capire che i due genitori in questione non sono poi così diversi anzi...sono molte le cose che li accomunano! Un ottimo film... che fa riflettere e che fa capire quanto la vera felicità nella via sia amare!
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davidestanzione
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sabato 11 settembre 2010
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culture in rotta di condivisione
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A far da cornice, nel secondo, più intimamente imploso film del franco-algerino Rachid Bouchareb, é il perennemente plumbeo cielo londinese, abituale ed asettico involucro di scoscrianti lacrimosità, supervisore silenzioso e mestamente contemplativo, in cui il sole, per citare Paolo Giordano, è solo “un disco più grigio della nebbia che avvolge il tutto”.
Parecchi metri al di sotto di quel nebuloso, evascente, impalbabile “coperchio sovrastrutturale” altresì detto skyline, è il dannato 7 Luglio 2005 quand’ecco che il convulso brulicare anglofono è scosso da un sobbalzante squarcio d’esplosivo che fa sussultare l’affollatissima “The Tube” di strazia(n)ti echi metropolitanamente funerei: l’abituale uggiosità (si) evolve in famelico dramma totalizzante che monopolizza vorace i Tg nazionali, attirando su di sé la terrorizzata, sgranata attenzione della vedova Mrs.
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A far da cornice, nel secondo, più intimamente imploso film del franco-algerino Rachid Bouchareb, é il perennemente plumbeo cielo londinese, abituale ed asettico involucro di scoscrianti lacrimosità, supervisore silenzioso e mestamente contemplativo, in cui il sole, per citare Paolo Giordano, è solo “un disco più grigio della nebbia che avvolge il tutto”.
Parecchi metri al di sotto di quel nebuloso, evascente, impalbabile “coperchio sovrastrutturale” altresì detto skyline, è il dannato 7 Luglio 2005 quand’ecco che il convulso brulicare anglofono è scosso da un sobbalzante squarcio d’esplosivo che fa sussultare l’affollatissima “The Tube” di strazia(n)ti echi metropolitanamente funerei: l’abituale uggiosità (si) evolve in famelico dramma totalizzante che monopolizza vorace i Tg nazionali, attirando su di sé la terrorizzata, sgranata attenzione della vedova Mrs. Sommers che dà così il via, dopo svariate telefonate prive di esito, alla spasmodica, disperatamente speranzosa ricerca della figlia Jane, che nell’attentato potrebbe aver perso la vita. Tra flebili sguardi rassegnatamente contriti e intime commozioni che ne prostrano ancor di più la rugosa, corpulenta fragilità, durante il suo percorso alla cieca risolutamente barcollante la signora Sommers, agricoltrice (Brenda Blethyn ne aveva già intepretata un'altra di tutt’altra natura nell’ excentric liberal “L’erba di Grace” del 2001), bianca, britannicamente tout-court, protestante e autarchicamente schizzinosa, si imbatterà in Ousmane (Sotigui Kouyatè, Orso d’argento a Berlino come miglior attore), nero, musulmano, treccioluto e dinoccolato africano naturalizzato francese, il quale, proprio come lei, si aggira ondivago per le strade londinesi in cerca il figlio che non vede da quando lo abbandonò in Africa all’età di sei anni per raggiungere la Francia. L’ostentato, altezzoso, a tratti quasi lievemente sprezzante rifiuto per una cultura a lei ignota in un primo momento assolutizza il sentire della signora Sommers e sembra avere la meglio, anche dopo che il signor Ousmane le (di)mostra che i loro rispettivi figli si conoscevano (eccome) attraverso una foto in suo possesso che li ritrae l’uno accanto all’altra. Il doloroso sentire comune finisce però pian piano con l’avvicinarli quasi sotterraneamente: i due scoprono che i loro rispettivi figli si amavano a loro (totale) insaputa, raccolgono indizi e smozzicate testimonianze qua e là, fino a lasciarsi cullare dalla più dolce delle melliflue speranze (mal)riposte. L’iniziale “non stretta di mano” e il cortese “salam” adocchiato come una parola di assai dubbia, sinistra provenienza (di sicuro di un saluto non può trattarsi) vengono spazzati via dalla condivisione del dramma comune, del riposo notturno in letti ravvicinati e di effimere, grasse risate, caldeggianti l’illusione di spazzar via la rimestante insonnia arroventata delle avviluppanti nottate post-7Luglio.
London River, intermezzo europeizzante nella neonata ma già corposa filmografia di Bouchareb (tra l’opera prima Days of Glory e il suo discusso ‘sequel’ Hors-a-loi), porta a compimento la più densamente ardua delle traversie drammaturgiche, ovvero quella di colmare (e non infarcire) di mesta disperazione dei personaggi tattilmente reali e riconoscibili; non degli svuotati involucri da manipolare con onniscienza autoriale schiaffeggiandoli alla meno peggio ma bensì dei caratteri universali, culturalmente esemplificativi dei due emisferi del globo ed (oltretutto) emblemi delle due differenti modalità di reazione di fronte al dolore da parte di due culture antitetiche come quella occidentale e quella musulmana: lo strazio logorante ed urlato dell’una, l’interiorizzata rassegnazione al cospetto di un volere superiore dell’altra.
La regia di Bouchareb, che riversa (è proprio il caso di dirlo) il suo ‘occhio’ su esterni reali (alla maniére dei maestri francesi), è (onni)comprensiva, cadenzata e volutamente dimessa, a dimostrazione di come si possa maneggiare un taglio narrativo-estetico (decisamente) autoriale (che strizza l’occhio al Loach più suburbano e a “L’ospite inatteso”) pur senza ricorrere a sensazionalistici, fronzuluti, virtuosismi, . Ed è infine ammirevolmente ricercato e sottilmente allegorico il passaggio/riduzione degli ambienti ripresi in campo largo a meri squarci paesaggistici: dalle panoramiche iniziali su mari sconfinatamente accresciuti e idillicamente collocati (vagamente alla Truffaut, per richiamare in causa la Nouvelle Vague) si passa infatti al diroccato, desolante ciarpame di uno sfatto fiumiciattolo londinese. Psicologizzazioni d’alto livello e d’altro tempo per un rarefatto dramma fatto di gente perbene (e comune), che finisce con l'unire proprio ciò che la cecità terroristica vorrebbe scindere per sempre.
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laulilla
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domenica 5 settembre 2010
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amore, amicizia e diversità
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La bionda Jane e il nero Alì sono due giovani che si amano: studiano a Londra, dove vivono nel modesto alloggio di in un quartiere multietnico e frequentano anche un corso di arabo. In seguito agli attentati del 7 luglio 2005, i rispettivi genitori, che non hanno da tempo loro notizie, partono per Londra e si mettono alla loro ricerca. La madre di Jane, Mrs. Sommers, è una vedova che vive, col fratello, in una villetta a Guernsey, isola della Manica. Il padre di Alì, Ousmane, è una guardia forestale che lavora in Francia. Egli è un africano, emigrato per garantire a sé e alla sua famiglia un futuro; non ha avuto né tempo, né modo di seguire il figlio a Londra: ha promesso alla moglie di riportarlo da lei, ma è preoccupato che il giovane si sia fatto trascinare in qualche sciagurato progetto terroristico.
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La bionda Jane e il nero Alì sono due giovani che si amano: studiano a Londra, dove vivono nel modesto alloggio di in un quartiere multietnico e frequentano anche un corso di arabo. In seguito agli attentati del 7 luglio 2005, i rispettivi genitori, che non hanno da tempo loro notizie, partono per Londra e si mettono alla loro ricerca. La madre di Jane, Mrs. Sommers, è una vedova che vive, col fratello, in una villetta a Guernsey, isola della Manica. Il padre di Alì, Ousmane, è una guardia forestale che lavora in Francia. Egli è un africano, emigrato per garantire a sé e alla sua famiglia un futuro; non ha avuto né tempo, né modo di seguire il figlio a Londra: ha promesso alla moglie di riportarlo da lei, ma è preoccupato che il giovane si sia fatto trascinare in qualche sciagurato progetto terroristico. I due si incontreranno proprio durante i numerosi tentativi di ritrovare i ragazzi. Per entrambi si tratterà di conoscere davvero i propri figli: neppure Mrs. Sommers, infatti sa chi è Jane, l’ha vista, in realtà, durante l’ultimo Natale, ma mai avrebbe immaginato che la figlia studiasse l’arabo o che vivesse con un nero, islamico, in un quartiere talmente pieno di musulmani, che persino il padrone di casa della figlia, macellaio nel quartiere, lo è. La donna è sgomenta e impaurita: le notizie di Jane sono incerte e il timore che la figlia sia vittima degli attentati si fa sempre più forte, ma ciò che sembra maggiormente preoccuparla è che la giovane si sia messa in qualche guaio, perché, l’equivalenza pregiudiziale tra musulmano e attentatore le sembra ovvia; né la donna riesce a capire a che cosa possa servire a Jane la conoscenza dell’arabo. Molto lentamente Mrs. Sommers riuscirà a vedere il nerissimo e africanissimo Ousmane con amicizia, avvicinandosi a poco a poco a lui e al suo mondo, avendo finalmente compreso che nelle cose fondamentali della vita, quali l’amore e le preoccupazioni per i figli, o il dolore, gli uomini, qualunque sia il colore della loro pelle, sono davvero uguali, e che solo la pietà e la solidarietà reciproca ci aiutano a sopportare le angosce, pur nella diversità con cui ciascuno si esprime: si può essere rassegnati di fronte a ciò che è ineluttabile, come Ousmane o non riuscire a nascondere la rabbia, come Mrs. Sommers. Il film, di alto valore morale e civile, è condotto con grande cura. Il regista segue attentamente il mutamento che si produce nell’animo di Mrs. Sommers, e crea nello spettatore una forte tensione, perché riesce a dar vita ai due giovani svelandone a poco a poco gusti, aspirazioni, stili di vita, tanto che si attende con trepidazione di conoscere la loro sorte, sebbene vengano visivamente rappresentati solo attraverso qualche sbiadita fotocopia appiccicata sui muri di Londra. Ottimi gli attori: a Sotigui Kouyaté, umanissimo Ousmane, è andato il riconoscimento prestigioso del premio quale miglior attore al festival di Berlino 2009, poco prima della sua morte avvenuta nell’aprile di quest’anno a Parigi
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angelo umana
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lunedì 30 agosto 2010
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la vera felicità è amare la vita
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La 55enne Elizabeth Sommers parte per Londra dall’isola di Guernsey, dove vive di agricoltura, sola accanto al fratello Edward (il marito è morto 20 anni prima nella guerra delle Falkland). Per tre volte ha chiamato la figlia Jane, che da due anni vive a Londra, senza averne risposta: sono i giorni successivi al 7/7/2005, quando quattro bombe terroristiche uccisero 35 persone nei mezzi di trasporto di Londra. Resta sgomenta scoprendo la città dove la figlia vive, che brulica di musulmani; Jane è inquilina di un musulmano che ha una macelleria dal nome arabo. E’ ancora più sgomenta quando scopre che la figlia convive con l’africano Alì e - sommo orrore - studia l’arabo. Jane però, ed anche Alì, sono “missing” dal giorno delle bombe.
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La 55enne Elizabeth Sommers parte per Londra dall’isola di Guernsey, dove vive di agricoltura, sola accanto al fratello Edward (il marito è morto 20 anni prima nella guerra delle Falkland). Per tre volte ha chiamato la figlia Jane, che da due anni vive a Londra, senza averne risposta: sono i giorni successivi al 7/7/2005, quando quattro bombe terroristiche uccisero 35 persone nei mezzi di trasporto di Londra. Resta sgomenta scoprendo la città dove la figlia vive, che brulica di musulmani; Jane è inquilina di un musulmano che ha una macelleria dal nome arabo. E’ ancora più sgomenta quando scopre che la figlia convive con l’africano Alì e - sommo orrore - studia l’arabo. Jane però, ed anche Alì, sono “missing” dal giorno delle bombe. Nella ricerca della figlia è fatale che incontri anche Ousmane, 60 anni, padre di Alì, che lui non vede da 15 anni, da quando il bambino ne aveva 6: la 55enne inglese della middle-class rifiuta l’idea di dover avere a che fare con quell’uomo, lungo scheletrico e con le trecce, e per giunta negro.
Alla sig.ra Sommers, in questo tratto di film, verrebbe da dire: “Guarda che gli stranieri non ti divorano, non averne paura!”. Affronta il dolore ma pensa che il suo sia unico, più grave di quello altrui, distinto e separato. Queste considerazioni fa sorgere il regista, che ci conduce per gradi dentro il dramma dei due genitori e dentro il “conflitto” con gli immigrati (con lo stereotipo del caso, il sospetto che Jane sia stata circuita da Alì e che costui possa aver partecipato agli attentati) : in ciò consiste la sua bravura, ti fa prendere le parti dei personaggi ma senza speculazioni melodrammatiche, senza stimolare lacrime. “Voglio solo sapere se stai bene” ha detto Elizabeth nel messaggio alla segreteria telefonica della figlia, e ci si rende conto di come una madre si può sentire quando le sorge il dubbio che la figlia possa essere rimasta sotto le bombe. Al telefono da Londra dice a suo fratello “Ho tanta paura!” e sembra che sia soprattutto la paura dello straniero, più che quella di non ritrovare la figlia, eventualità a cui ancora non crede, pronta ad illudersi che invece sua figlia sia partita per un viaggio in Francia insieme ad Alì.
E’ davvero uno dei più bei film tra quelli recenti, Orso d’Argento a Berlino 2010 per l’attore protagonista (da poco scomparso, o “non più con noi” come egli stesso dice alla moglie in Africa parlando del figlio Alì). Per i temi che propone richiama alla mente altri due ottimi films come “Welcome” e “L’ospite inatteso”.
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everyone
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sabato 28 agosto 2010
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londra che unisce e divide per sempre
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Un racconto credibile di incontro-scontro nella nostra era globale dove sono paradossalmente i conflitti ad avvicinarci e a farci conoscere superando le barriere preesistenti come succede ai personaggi di questo film ovvero i genitori di due giovani scomparsi nel tragico attentato avvenuto a Londra nella mattina del 7 lugio 2005 contro un bus e una linea della metro.I due uniti in questa disperata e vana ricerca dei loro cari si parlano dopo le iniziali resistenze specie da parte della mamma bianca nei confronti del papà di colore come due esseri umani che si riconoscono una nell'altro trovando persino delle affinità nei loro percorsi come l'amore alla terra che li unisce.Un film di introspezione psicologica drammatico ma mai sopra le righe.
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moroma
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lunedì 19 luglio 2010
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molto buono
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CREDO CHE QUESTO MISTO DI DRAMMATICO E AZZIONE FUNZIONI
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