The Burning Plain - Il confine della solitudine |
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Un film di Guillermo Arriaga.
Con Charlize Theron, Kim Basinger, Jennifer Lawrence, José María Yazpik, Joaquim de Almeida.
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Titolo originale The Burning Plain.
Drammatico,
durata 110 min.
- USA, Argentina 2008.
- Medusa
uscita venerdì 7 novembre 2008.
MYMONETRO
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la vita com’è, senza darle un ordine
di ciccio capozziFeedback: 0 |
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mercoledì 19 novembre 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“THE BURNING PLAIN. IL CONFINE DELLA SOLITUDINE” di GUILLERMO ARRIAGA; USA, 08. Benché sfalsata su più piani temporali, è la vicenda di Sylvia, gestrice di un Restaurant alla moda nella fredda Portland. Di quali atti, sofferenze e precedenti esperienze incrociatesi attorno a lei, si è nutrito il suo disprezzo di sé. Esordio alla regia di un grande sceneggiatore, in zona Oscar per “Babél”, di cui conserva la stessa struttura narrativa. La sequenza iniziale è importantissima, dal punto di vista narrativo: è di fatto il vero raccordo che tiene insieme l’articolato del film; ma “avviene” nel tempo ben prima dell’inizio reale della storia, che sembra essere dei nostri giorni. In realtà sono ben quattro gli episodi del film. Abbiamo quella della relazione adulterina, ma così ricca di tenerezza, sentimento, umanità e passione, della madre, interpretata da una splendida, commovente e splendente Kim Bansinger, e delle reazioni che questa suscita nella figlia adolescente; quella dell’incontro tra quest’ultima e il figlio dell’amante all’indomani della disgrazia che ha fatto scoprire la tresca; la vicenda di Maria, una bimba in cerca di madre; e poi quella di Sylvia, su cui si saldano e si concludono tutte. Il regista ha dichiarato che immagina così la sue sceneggiature perché egli “Racconta la vita com’è, senza darle un ordine, che nella realtà non esiste mai”; però questa modalità, oltre ad essere un marchio di stile, è uno strumento che gli permette di variare i piani psicologici d’attenzione. In quanto i suoi personaggi, anche se biograficamente sono gli stessi, vivendo una fase di sviluppo diversa, gli si permette d’impegnarli in dialettiche differenti da una fase all’altra. Dando spazio a quelle che sembrano a noi altre motivazioni, con intelligente astuzia, espande e varia il motivo psicologico centrale. Perché poi l’insieme, disegna un’organicità complessiva, nel mentre mette in ombra alcune fragilità motivazionali, che pure affiorano quà e là: come ad esempio, la fase finale del rapporto con la bambina. Beninteso: qui siamo in presenza di un bel film; e queste mende non ne attenuano la qualità complessiva. Perché è costruita una rigorosa, intensa, coerente atmosfera psicologica interparentale: la radice del malessere viene attribuita senza forzature alla necessità di fare i conti col passato. Esso diventa memoria esistenziale attiva, su cui tutto sembra ruotare. La necessità di porvi ordine, nel mentre vi si dà vita, può aprire alla speranza, all’accettazione di sé, al cambiamento. Questo sforzo è fatto da Sylvia (Charlize Théron): anzi tutti i raccordi partono da lei, da impercettibili sfumature, da “increspature” della realtà presente, l’uggiosa, grigia Portland.
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