anonimo
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lunedì 1 dicembre 2008
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l'ultimo aborto di wim wenders
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Questo film punta alto, affronta la Vita la Morte l'Amore l'Arte, e riduce tutto in merda, con banalizzante riduttività. Wenders lorda i grandi temi che tocca, troppo grandi per lui, e finisce con il culo per terra.
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gianluigi
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lunedì 1 dicembre 2008
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sei tu? wenders?
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Poco convincente il film di Wenders, una sorta di thriller psicologico il cui vero elemento drammaturgico risulta alla fine solo la fotografia, come sempre molto curata nella produzione artistica del regista tedesco.
Il film sembra incentrato sulla paura della morte, ma risulta più evidente semmai la paura di vivere che attanaglia i due protagonisti: un tenebroso e fobico fotografo, Campino, e una restauratrice, Giovanna Mezzogiorno, accomunati dalla perdita della madre e dell'amore. La narrazione risulta spesso discontinua e manca di fluidità. Il gioco continuo fra realtà e sogno, vero e immaginario,scivola nel banale e lo stile diventa schizofrenico passando dall'introspezione psicologica alla Bergman e Antonioni, apertamente citati nel film, ad atmosfere gotiche e claustrofobiche più simili a Lynch e a Polansky.
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Poco convincente il film di Wenders, una sorta di thriller psicologico il cui vero elemento drammaturgico risulta alla fine solo la fotografia, come sempre molto curata nella produzione artistica del regista tedesco.
Il film sembra incentrato sulla paura della morte, ma risulta più evidente semmai la paura di vivere che attanaglia i due protagonisti: un tenebroso e fobico fotografo, Campino, e una restauratrice, Giovanna Mezzogiorno, accomunati dalla perdita della madre e dell'amore. La narrazione risulta spesso discontinua e manca di fluidità. Il gioco continuo fra realtà e sogno, vero e immaginario,scivola nel banale e lo stile diventa schizofrenico passando dall'introspezione psicologica alla Bergman e Antonioni, apertamente citati nel film, ad atmosfere gotiche e claustrofobiche più simili a Lynch e a Polansky. Wenders sembra compiacersi troppo nell'evidenziare la sua abilità di raccontare la città di Palermo in modo inusuale dal punto visivo ma di cui ne riconosciamo fin troppo bene l'essenza. Quello che doveva essera un finale a sopresa l'incontro fra il protagonista e la morte, si risolve in un dialogo che è quasi una disputa un pò retorica sulla fotografia e sull'evoluzione della tecnica fotografica che passando dall'uso della pellicola al digitale ne ha snaturato l'essenza: cogliere l'attimo senza nessuna possibilità di trasformarlo come al contrario il protagonista fa continuamente con le sue fotografie computerizzate. Questa elemento diventa quasi una metafora della vita del protagonista sempre inappagato dal risultato delle sue elaborazioni fotografiche come dal suo stesso stile di vita. Nella quiete irreale di un paesino della Sicilia, Gangi,Campino scoprirà invece nella ritrovata semplicità del vivere un senso finalmente appagante che gli restituirà la capacità di "amare".
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francesca
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domenica 30 novembre 2008
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concetto del concettuale
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Specialmente in questo periodo in cui il cinema si riempe di molte inutilità,un ottimo e piacevole film,buone sia le inquadrature che gli ambienti e le location.
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anita bilello
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domenica 30 novembre 2008
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le fratture del visibile
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In un dormiveglia continuo Wenders obbliga l' invisibile a un caotico ma efficace entracte, dove gli incubi si dissolvono in una realtà che lascia sempre aperta una finestra sull' immaginario.
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(di martina arcobasso)
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paolo landi
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domenica 30 novembre 2008
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wenders e la chiacchiera oscena (vers. definitiva)
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Sicuramente vi sono critici e intellettuali, cultori e spettatori di vario genere che hanno compreso il film. Al di là della superficie mondana dell'accoglienza pubblica, il film rivela una profondità, una tensione espressionistica, una sapienza psicanalitica ed un gusto per l'ironia - che si articola con una sofferta poetica dell'angoscia - le cui miscele rinnovano l'immagine di Wenders in una forma che in seguito potrà essere maggiormente riconosciuta. D'altra parte, le idee messe in gioco, e la loro connessione con immagini attraversate da una grande fantasia insieme espressionistica e avveniristica, delineano una composizione provvista di un pathos autentico, e insieme di una forma di disincanto, la quale non è disgiunta da un costante effetto di meraviglia.
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Sicuramente vi sono critici e intellettuali, cultori e spettatori di vario genere che hanno compreso il film. Al di là della superficie mondana dell'accoglienza pubblica, il film rivela una profondità, una tensione espressionistica, una sapienza psicanalitica ed un gusto per l'ironia - che si articola con una sofferta poetica dell'angoscia - le cui miscele rinnovano l'immagine di Wenders in una forma che in seguito potrà essere maggiormente riconosciuta. D'altra parte, le idee messe in gioco, e la loro connessione con immagini attraversate da una grande fantasia insieme espressionistica e avveniristica, delineano una composizione provvista di un pathos autentico, e insieme di una forma di disincanto, la quale non è disgiunta da un costante effetto di meraviglia. La complessità letteraria del testo, d'altra parte, avvolge con un gergo disinvolto concetti speculativi che in Wenders hanno delle radici lontane, e culminano in una allusione al nesso tra la morte e l'immagine - e alla cattura della prima da parte di quest'ultima -, che invece di inserire un registro meramente didascalico, stabilisce un formidabile gioco con l'estro del contenuto visivo, imprimendo ad esso un fascino rinnovato. E ancora, si dovrebbe considerare che gli aspetti esplicativi, sia nel cinema che nelle altre arti, fruiscono di esempi sovrani, e si dovrebbe tenere presente che la componente speculativa, di per sé, non è maggiormente didascalica del linguaggio psicologico medio, al quale siamo abituati nelle sceneggiature di un più facile accesso. Se poi le questioni speculative vengono giocate con il registro dell'ironia, è soltanto una mancanza di quest'ultima che può avere indotto a riconoscere nelle battute del dialogo le sembianze di un racconto d'appendice. Inoltre, si dovrebbe tenere conto del fatto che il film, risalendo alla problematica della morte - coniugata con quella di un rinnovamento radicale della propria esistenza, e con quella del nesso tra l'immaginario e la tensione progettuale -, nel generare una transizione graduale ed altamente originale fra la dimensione del sogno, la componente della veglia, l'irruzione del delirio e l'emergere della meditazione esistenziale e del gioco con il proprio immaginario e con la propria forza creativa, oltrepassa largamente ogni dettato banale delle correnti pratiche terapeutiche e variamente psicologiche. Ma su tutto, dovrebbe essere chiaro come il tema fondamentale sia quello del nesso tra la morte e l'immagine; infatti, da un lato la morte si annuncia in un modo frammentato e sempre più consistente, passando dalla fase brivida e aforistica di una prima serie di esplosioni sconvolte, a quella di una storia che si delinea in un modo compiuto, sino all'implacabile dibattito del finale, e dall'altro Wenders salda ancora una volta il difficile conto della sua poetica di fondo, avvolgendo l'immagine entro una storia che cresce, e la cui coerenza finale si impone sull'orrore del fantasmi interiori, imprimendo ad essi il sigillo di un senso conclusivo. Ed un aspetto di questo messaggio è dato dal fatto per il quale le immagini, nella forma del loro delirio pubblico, e nella oscenità della loro deriva mediatica, non possono permettersi di sommergere quel significato della morte, che solo può renderci autentici, alla fine della nostra storia (e al di fuori di ogni chiacchiera oscena, che è essa stessa immagine dissociata, e funge da schermo che chiude una difficile comprensione). ****/*****
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paolo landi
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domenica 30 novembre 2008
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wim, l'idea della morte e la chiacchiera oscena
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Sicuramente vi saranno critici e intellettuali che hanno compreso il film. Al di là della superficie mondana dell'accoglienza pubblica, il film rivela una profondità, una tensione espressionistica, una sapienza psicanalitica ed un gusto per l'ironia - che si articola con una sofferta poetica dell'angoscia - le cui miscele rinnovano l'immagine di Wenders in una forma che in seguito potrà essere maggiormente riconosciuta. D'altra parte, le idee messe in gioco, e la loro connessione con immagini attraversate da una grande fantasia insieme espressionistica e avveniristica,delineano una composizione provvista di un pathos autentico,e insieme di una forma di disincanto la quale non è disgiunta da un costante effetto di meraviglia.
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Sicuramente vi saranno critici e intellettuali che hanno compreso il film. Al di là della superficie mondana dell'accoglienza pubblica, il film rivela una profondità, una tensione espressionistica, una sapienza psicanalitica ed un gusto per l'ironia - che si articola con una sofferta poetica dell'angoscia - le cui miscele rinnovano l'immagine di Wenders in una forma che in seguito potrà essere maggiormente riconosciuta. D'altra parte, le idee messe in gioco, e la loro connessione con immagini attraversate da una grande fantasia insieme espressionistica e avveniristica,delineano una composizione provvista di un pathos autentico,e insieme di una forma di disincanto la quale non è disgiunta da un costante effetto di meraviglia. La complessità letteraria del testo, d'altra parte, avvolge con un gergo disinvolto concetti speculativi che in Wenders hanno delle radici lontane, e culminano in una allusione al nesso tra la morte e l'immagine, e la cattura della prima da parte di quest'ultima,che invece di inserire un registro meramente didascalico,stabilisce un formidabile gioco con l'estro del contenuto visivo, imprimendo ad esso un fascino rinnovato.E ancora, si dovrebbe considerare che gli aspetti esplicativi, sia nel cinema che nelle altre arti, fruiscono di esempi sovrani - si ricordi a tale proposito soltanto I. Bergman -, e si dovrebbe tenere presente che la componente speculativa, di per sé, non è maggiormente didascalica del linguaggio psicologico medio, al quale siamo abituati nelle sceneggiature di un più facile accesso. Se poi le questioni speculative vengono giocate con il registro dell'ironia, è soltanto una mancanza di quest'ultima che può avere indotto a riconoscere nelle battute del dialogo le sembianze di un racconto d'appendice. Inoltre, si dovrebbe tenere conto del fatto che il film, risalendo alla problematica della morte - coniugata con quella di un rinnovamento radicale della propria esistenza, e con quella del nesso tra l'immaginario e la tensione progettuale -, nel generare una transizione graduale ed altamente originale fra la dimensione del sogno, la componente della veglia, l'irruzione del delirio e l'emergere della meditazione esistenziale e del gioco con il proprio immaginario e con la propria forza crativa, oltrepassa largamente ogni dettato banale delle correnti pratiche terapeutiche e variamente psicologiche. Ma su tutto, dovrebbe essere chiaro come il tema fondamentale sia quello del rapporto tra la morte e l'immagine; infatti, da un lato la morte si annuncia in un modo frammentato e sempre più consistente, passando dalla fase di brivida e aforistica di una prima serie di esplosioni sconvolte, a quella di una storia che si delinea in un modo compiuto, sino all'implacabile dibattito del finale, e dall'altro Wenders salda ancora una volta il difficile conto della sua poetica di fondo, avvolgendo l'immagine entro una storia che cresce, e la cui coerenza finale si impone sull'orrore del fantasmi interiori, imprimendo ad essi il sigillo di un senso conclusivo. Ed un aspetto di questo messaggio è dato dal fatto per il quale le immagini, nella forma del loro delirio pubblico, e nella oscenità della loro deriva mediatica,non possono permettersi di sommergere quel significato della morte, che solo può renderci autentici, alla fine della nostra storia (e al di fuori di ogni chiacchiera oscena, che è essa stessa immagine dissociata e schermo che chiude una difficile comprensione). Precisazione: ****/*****
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giovanna
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domenica 30 novembre 2008
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ben costruito, ma troppi dialoghi
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il dialogo finale, nella grande sala d'archivio poteva essere ridotto a 1 minuto. e il film ne avrebbe acquistato
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atena
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sabato 29 novembre 2008
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capolavoro per occhi d'artista
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Elegante surrealismo che dissotterra, finalmente, aspetti di Palermo diversi dai luoghi comuni, dove tutto è codificato, tutto è sfumato da una percezione diversa del tempo, con l' impressione di piombare in un quadro di Magritte da un momento all' altro.
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gianni sarro
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venerdì 28 novembre 2008
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wenders ha smarrito il tocco magico
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Eros e thanatos, morte e vita, immagine e fantasia, tutto ruota intorno alla duplicità nell’ultimo film di Wim Wenders. A partire dal titolo, il termine shooting indica sia sparare che scattare (una fotografia). La duplicità prosegue con le città dove la pellicola è ambientata (Dusseldorf e Palermo, scelta che produce subito un altro dualismo: quello architettonico tra la post moderna città tedesca e il barocco carico di storia di Palermo). Si giunge quindi alla duplicità centrale che caratterizza l’opera, quella tra la morte (apparente, percepita, incontrata) e l’amore (perso e ritrovato). Wenders non tradisce la sua visione della vita caratterizzata da un pessimismo di fondo, e nella quale giocano un ruolo principe l’apparenza e una distorta percezione del reale.
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Eros e thanatos, morte e vita, immagine e fantasia, tutto ruota intorno alla duplicità nell’ultimo film di Wim Wenders. A partire dal titolo, il termine shooting indica sia sparare che scattare (una fotografia). La duplicità prosegue con le città dove la pellicola è ambientata (Dusseldorf e Palermo, scelta che produce subito un altro dualismo: quello architettonico tra la post moderna città tedesca e il barocco carico di storia di Palermo). Si giunge quindi alla duplicità centrale che caratterizza l’opera, quella tra la morte (apparente, percepita, incontrata) e l’amore (perso e ritrovato). Wenders non tradisce la sua visione della vita caratterizzata da un pessimismo di fondo, e nella quale giocano un ruolo principe l’apparenza e una distorta percezione del reale. L’influenza di Bergman e Antonioni (che si trasforma in omaggio sui titoli di coda, dove viene ricordata la morte di entrambi i registi avvenuta nello stesso giorno dell’estate del 2007) è palese e raggiunge l’apice quando il protagonista ha una lunga conversazione con la Morte, come già il Cavaliere bergmaniano de Il settimo sigillo. Una sequenza che lascia perplessi, per la sua durata e per il suo scarso appeal. È il passaggo fondamentale del film, dove Wenders spiega il senso del film, ma risulta disordinato; certo si evince che l’uomo ha sempre una seconda ( il “2” ritorna inesorabile) possibilità nella sua vita, però manca quella magia a cui il cineasta tedesco ci ha abituato nei suoi capolavori (da Alice nella città, a Nick’s Movie, a Il cielo sopra Berlino). Palermo Shooting è anche un film sulla fotografia, arte che appassiona da sempre Wenders e nella quale eccelle. Il protagonista, Finn, è appunto un fotografo (il sorprendente Campino, musicista tedesco con l’hobby della recitazione) sensuale e anfetaminico, attento a cogliere e a seguire i segni che il destino gli mette lungo la strada. Delude invece Giovanna Mezzogiorno, costretta ad una recitazione monocorde, senza sfumature, ingessata com’è da un personaggio che si limita a fare da sparring partner al protagonista. Nell’insieme il film di Wenders non convince del tutto. Tanti e buoni gli ingredienti usati, ma non la mescola. Un’opera di Wenders fornisce sempre materia di riflessione, ma questa volta la bacchetta magica capace di far scoccare la scintilla è rimasta nel cassetto. Né serve a risollevare le sorti del film l’eccellente scelta di fotografare Palermo rinunciando all’effetto cartolina, per proporla, viceversa, in chiaroscuro; mai con luce piena, con il cielo spesso venato di nubi bianche, che nascondono parzialmente il sole, con le strade umide. Una scelta indovinata perché il celare sotto un sottile velo la bellezza della città, ne accresce il fascino e la seduttività restituendone alla fine, amplificata, la sensualità, gli umori e i suoni, emergenti dalle sequenze girate nei mercati popolari o nella centrale piazza dei Quattro Canti (epigona della romana piazza delle Quattro Fontane), con le sue statue somiglianti ad angeli custodi.
Gianni Sarro
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william
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venerdì 28 novembre 2008
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valorizziamo il sud, per rendere migliore l'italia
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La solita Milano che neanche si vede: ma finitela!!!!!!!!!! Bisogna valorizzare il Sud e non pensare solo al Nord. Milano sarà pure grande, ma non avrà la grandezza di Palermo(o del Sud) per accoglienza, calorosità e folclore. E, inoltre, Palermo ha anche il mare che fa da sfondo ad un film che raccoglie in sè tutta la bellezza dell'arte della fotografia.
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