frusta
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venerdì 20 marzo 2009
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ne testa ne coda
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Scrivo una piccola recenzione in quanto non merita neanche essere commentato!!!!!!!!!!!!!!!!!!il film non presenta un filo logico è basato su stupidità immense!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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(di taddarita)
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bande à part
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sabato 7 febbraio 2009
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la luce ritrovata nel buio sole di palermo
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Wim Wenders torna sugli schermi con una rinnovata vitalità espressiva che, ancora una volta, si srotola nella forma narrativa del viaggio. È stato un piacere, quindi, ritrovarla in Palermo Shooting sotto le vesti, soprattutto, di solitario viaggio interiore così presente in molti film dell’autore, da Alice nelle città (Alice in den Städten, 1973) fino a Falso movimento (Falsche Bewegung, 1975), Paris Texas (Id., 1984) e al più recente Lisbon Story (Id., 1995). Un viaggio che, insieme, è anche una ricerca ossessiva sull’immagine e sul cinema, sul valore e sulla valenza delle immagini cinematografiche nella società contemporanea. Stavolta sembra che il viaggio, fin dal suo incipit, sia segnato in maniera profonda dalla figura della morte.
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Wim Wenders torna sugli schermi con una rinnovata vitalità espressiva che, ancora una volta, si srotola nella forma narrativa del viaggio. È stato un piacere, quindi, ritrovarla in Palermo Shooting sotto le vesti, soprattutto, di solitario viaggio interiore così presente in molti film dell’autore, da Alice nelle città (Alice in den Städten, 1973) fino a Falso movimento (Falsche Bewegung, 1975), Paris Texas (Id., 1984) e al più recente Lisbon Story (Id., 1995). Un viaggio che, insieme, è anche una ricerca ossessiva sull’immagine e sul cinema, sul valore e sulla valenza delle immagini cinematografiche nella società contemporanea. Stavolta sembra che il viaggio, fin dal suo incipit, sia segnato in maniera profonda dalla figura della morte. Già nel ‘paratesto’ del film, prima che cominci la storia vera e propria, incontriamo alcune immagini che hanno la valenza di vere e proprie epigrafi: la carrellata iniziale sulle mummie anticipa il successivo incontro con la Morte e, inoltre, sembra una citazione quasi letterale delle sequenze iniziali di Nosferatu, principe della notte (Nosferatu, Phantom der Nacht, 1979) di Werner Herzog. Se in questo film le carrellate iniziali instauravano un senso di orrore nello spettatore e, in qualche modo, lo preparavano all’incontro ‘perturbante’ col vampiro, nell’ultima opera di Wenders esse prefigurano l’incontro con un altro essere ‘vampiresco’, una Morte che ha le sembianze di Dennis Hopper truccato in modo tale quasi da assomigliare al tenebroso Klaus Kinski di Nosferatu.
Il protagonista, il famoso fotografo Campino, inizia quasi per caso il suo viaggio da una cupa Germania fino agli abbaglianti (ma anche sinuosamente oscuri) colori siciliani per avviare una ricerca – come di consueto in Wenders – sull’immagine e sul cinema, dove si scontrerà addirittura con la Morte. Uno scontro che sembra una rivisitazione postmoderna della partita a scacchi de Il settimo sigillo (Det Sjunde inseglet, 1956) di Ingmar Bergman. Non si dimentichi, del resto, che anche quest’ultimo aveva fatto agire e parlare la morte entro la ‘danza macabra’ di sapore medievale che è il suo film, e l’aveva rivestita scenicamente di una tuta nera.
Nel buio sole di Palermo, nel peregrinare attraverso i suoi vicoli (cadenzato, fra le altre, anche da una canzone di Fabrizio De André, Quello che non ho, ‘citato’ – con un gusto alla Truffaut – anche nella presenza dei suoi dischi che il protagonista trova a casa della restauratrice), la ricerca sull’immagine e sul cinema può quindi continuare: la Morte lascerà libero il fotografo di proseguire la sua ricerca. Forse, alla fine, la vera immagine che si doveva ritrovare era quella delle proprie origini, la casa del passato, il luogo dell’infanzia: quella della madre della restauratrice le cui stanze, dopo tanto tempo, non possono essere attraversate se non in preda al pianto. E recuperare - quasi immedesimandosi nel passato della ragazza attraverso una “corrispondenza d’amorosi sensi” - quelle immagini, quella perduta capacità di guardare alla bellezza del paesaggio. Ecco che il postmoderno Antonius Blok, scampato alla Morte, ritrova la speranza e la bellezza nella luce magica e indefinita di un paesaggio siciliano; una luce piena di buio in cui un altro sguardo, finalmente, lo sceglie e lo porta in salvo.
Bande à part
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dylandave
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giovedì 15 gennaio 2009
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wenders onirico e metafisico
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Stupendo film di Wim Wenders. Visionario,Onirico,metafisico e filosofico. Un film che non resta fermo alla superficie registica (Perfetta!!) ma ci mette sul piatto sceneggiativo molti argomenti come lo sguardo sul cinema, la morte e l'inquietudine degli esseri umani. Ogni attore sembra essere al posto giusto compresa una quasi eterea giovanna ezzogiorno che sembra uscita da un dipinto e finisce a fondersi con un negativo fotografico. Splendido Dennis Hopper cavaliere misterioso e morte allo stesso tempo. Bravura degli attori che si fonde perfettamente con una fantastica Palermo ripresa da Wenders nella sua migliore forma..
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luigi
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giovedì 18 dicembre 2008
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lasciate perdere i critici...questo film colpisce
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E' uno di quei film che una volta usciti dalla sala ti fa sentire strano, come se le immagini fossero entrate in profondità a modificare lo stato della nostra coscienza. E in effetti probabilmente è l'intento del regista quello di professare il proprio credo filosofico...a morte la tecnica fredda e disumana, a morte i professionismi e le mode estemporanee e viva la vita delle immagini vivide, viva i contrasti, viva la decadenza palermitana che dagli idealismi della tecnica (e della modernità) si è sempre saggiamente sottratta. Questo Goethe post-moderno in realtà vuole fornirci una bella lezione di esistenza cercando di insegnarci la sacralità della lentezza, delle pause, del rapporto tragico con la vita e con la morte.
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E' uno di quei film che una volta usciti dalla sala ti fa sentire strano, come se le immagini fossero entrate in profondità a modificare lo stato della nostra coscienza. E in effetti probabilmente è l'intento del regista quello di professare il proprio credo filosofico...a morte la tecnica fredda e disumana, a morte i professionismi e le mode estemporanee e viva la vita delle immagini vivide, viva i contrasti, viva la decadenza palermitana che dagli idealismi della tecnica (e della modernità) si è sempre saggiamente sottratta. Questo Goethe post-moderno in realtà vuole fornirci una bella lezione di esistenza cercando di insegnarci la sacralità della lentezza, delle pause, del rapporto tragico con la vita e con la morte.
Purtroppo sono concetti che la mediocre mediocrità della critica sottovaluta, impegnata com'è a difendere i loro "mortiferi" tecnicismi verbali...e anche perchè diciamolo...si stanno facendo vecchi
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alessandra
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venerdì 12 dicembre 2008
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shooting wim wenders
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Con tutto il rispetto per i numerosi supporters di Wenders, questa è la tentazione di chi ha speso sette euro per la visione.
Film mal sceneggiato, dialogato e recitato. Wenders ha fatto di meglio.
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tommaso
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venerdì 12 dicembre 2008
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il cielo sopra palermo...
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L'unica buona notizia viene dalla scelta del luogo in cui il film è stato girato: Palermo-Italia.
In fondo Wenders è un regista di fama internazionale, e questa è buona pubblicità per il nostro paese ;-)
Ma quanto al film ... beh, c'è poco da dire, è a dir poco fallimentare.
La noia regna sovrana su una storia raccontata più a parole (banali, numerose e mal recitate) che a immagini.
Forse Wenders ha perso il tocco, forse non l'ha mai avuto, ma di certo Palermo Shooting è un'opera molto minore.
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zen
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sabato 6 dicembre 2008
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noioso, didascalico, mal recitato
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Forse è il peggior film di Wenders: una trama fastidiosamente didascalica sulla paura della morte, qualche citazione "colta", molta melassa.
Alcune sequenze simil visionarie nella città di Palermo non bastano. Anche perchè attori e dialoghi sono assai modesti (e non date la colpa ai doppiatori...)
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stefano
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mercoledì 3 dicembre 2008
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la scena dell'orologio merita la visione dell'int
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Merita l'intera visione dell'opera, davvero un bel film.. peccato che si perda un po' verso la fine come in the million dollar hotel.. ma davvero certe sequenza fanno paura. è stato girato da dio, la scena dell'orologio è follia pura, grandioso! fotografia eccellente. Wenders, lui.
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maria monaco
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mercoledì 3 dicembre 2008
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un commento solo emotivo
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A me sembra un apologo pensoso, volutamente antimoderno, forse solo un po' didascalico, sulla società dell'immagine (rappresentata dal mestiere di Finn) e sui temi ultimi che l'uomo di oggi non vuole più affrontare. Un antidoto al ridanciano dilagante ottimismo a tutti i costi. Appare quasi miracoloso che ancora qualcuno voglia sporcarsi le mani con materiali rimossi dalla collettività e racconti di una ricerca che vada oltre il perfezionismo di superficie ("tutto è superficie") e dopo aver attraversato tutte le fasi dell'ossessione si tuffi nell'umano che è imperfezione, caos, morte.Deve aver esercitato sul regista un fascino sinistro e al contempo vitale questa Palermo decadente e mortifera ma densa di umori, al confronto dell'algida metropoli che si staglia dietro le finestre del protagonista.
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A me sembra un apologo pensoso, volutamente antimoderno, forse solo un po' didascalico, sulla società dell'immagine (rappresentata dal mestiere di Finn) e sui temi ultimi che l'uomo di oggi non vuole più affrontare. Un antidoto al ridanciano dilagante ottimismo a tutti i costi. Appare quasi miracoloso che ancora qualcuno voglia sporcarsi le mani con materiali rimossi dalla collettività e racconti di una ricerca che vada oltre il perfezionismo di superficie ("tutto è superficie") e dopo aver attraversato tutte le fasi dell'ossessione si tuffi nell'umano che è imperfezione, caos, morte.Deve aver esercitato sul regista un fascino sinistro e al contempo vitale questa Palermo decadente e mortifera ma densa di umori, al confronto dell'algida metropoli che si staglia dietro le finestre del protagonista.
La vicenda di Finn può essere letta non come manifestazione di impotente pessimismo ma come testimonianza del bisogno di vivere "dentro" e non "fuori" con tutte le conseguenze che questo comporta,di raggiungere la consapevolezza dell'essere, di fare se necessario amicizia con la morte. Sarà poco appropriato,ma la contemplazione dell'affresco di palazzo Abatellis da parte dei protagonisti mi ricorda quella del principe di Salina che la morte oltre che guardarla la "corteggiava " addirittura.La frase "credo soltanto a ciò che non vedo" non è indice di fideismo ottuso ma voglia di vedere attraverso e al di là.E l'incontro finale,ribadendo il concetto nient'affatto scontato che ogni cosa si definisce meglio per mezzo del suo contrario, mi sembra che più che inquietare rassereni.
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enrico
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lunedì 1 dicembre 2008
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caro wim, hai toppato !
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Caro Wim,
Ti ho conosciuto a Palermo, durante la presentazione di "S. Palermo", e ti ho apprezzato per le doti di simpatia, che si sono aggiunte a quelle di regista, a me già note, ma, francamente, sarebbe stato meglio che Tu non avessi accettato di fare un "film/ spot pubblicitario" come questo. E credimi, io sono palermitano, e avrei ragione di difendere il Tuo prodotto ...
Inoltre, per il futuro, se devi chiamare Campino, fallo per telefono e ... basta ! Come attore è espressivo come uno ... schnauzer (senza offesa per il cane !. Si è simpatico, piacerà pure al pubblico femminile, ma si limiti al cantare (o a latrare ?).
Cari saluti.
(Enrico)
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