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lucaguar
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martedì 25 giugno 2024
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sofferenza,desiderio,dolore,espiazione,rinascita
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" del compianto Kim Ki-Duk, è un film che gioca anzitutto sulla ciclicità della stagioni e sul parallelismo tra il ciclo della natura e il ciclo della vita umana. Il protagonista viene cresciuto da un monaco buddhista: insieme vivono in un tempio in mezzo ad un lago sperduto in una valle incontaminata della Corea. Il film è appunto diviso in cinque capitoli, come appunto indicano le stagioni del titolo. All'inizio il piccolo monaco (estate) gioca in modo insolente con un pesce, una rana e un serpente, divertendosi a legarli ad una pietra. Il maestro, accorgendosi del gesto cattivo del bambino, non dice nulla, ma nella notte lega un masso alla sua schiena e il mattino seguente gli ordina di andare a liberare i poveri animali, che avevano subito ciò che lui provava in quel momento; lo ammonisce poi del fatto che se ne fosse morto anche solo uno, il peso sul cuore gli sarebbe rimasto per tutta la vita.
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" del compianto Kim Ki-Duk, è un film che gioca anzitutto sulla ciclicità della stagioni e sul parallelismo tra il ciclo della natura e il ciclo della vita umana. Il protagonista viene cresciuto da un monaco buddhista: insieme vivono in un tempio in mezzo ad un lago sperduto in una valle incontaminata della Corea. Il film è appunto diviso in cinque capitoli, come appunto indicano le stagioni del titolo. All'inizio il piccolo monaco (estate) gioca in modo insolente con un pesce, una rana e un serpente, divertendosi a legarli ad una pietra. Il maestro, accorgendosi del gesto cattivo del bambino, non dice nulla, ma nella notte lega un masso alla sua schiena e il mattino seguente gli ordina di andare a liberare i poveri animali, che avevano subito ciò che lui provava in quel momento; lo ammonisce poi del fatto che se ne fosse morto anche solo uno, il peso sul cuore gli sarebbe rimasto per tutta la vita. E' a mio parere questa sequenza iniziale che, nella sua straordinaria potenza, dà senso a tutto il film: secondo il buddhismo la vita è contrassegnata dalla sofferenza e dal dolore: qui si parte dalla prima delle celebri "quattro nobili verità". La seconda stagione (estate) rappresenta la vitalità e la focosità della tarda adolescenza, in cui il protagonista viene a contatto con l'esperienza dell'amore, e del desiderio sessuale. Incontra infatti una ragazza che era giunta al monastero per essere curata da un misterioso male e che poco alla volta si avvicina, pur con qualche titubanza, al giovane monaco arrivando ad avere rapporti carnali con lui. Nella terza stagione (autunno) il monaco abbandona il monastero e il vecchio maestro, proprio per seguire la ragazza, ma anni dopo torna in preda alla disperazione e alla rabbia, reo di aver commesso l'omicidio della moglie, la quale l'avrebbe tradito. Incapace di sopportare il dolore, viene sottoposto a dure pratiche di espiazione e di pentimento, oltre che di meticolosa pazienza, come l'incisione con un coltello di moltissime scritte che il maestro ha dipinto sul pavimento in legno dell'eremo. Giunti due poliziotti al monastero, dopo avere atteso la fine dell'opera, lo arrestano. Nella stagione dell'inverno il monaco, ormai maturo, torna all'eremo attraversando il lago ghiacciato, e si esercita nelle arti marziali. Un giorno, una misteriosa donna gli consegna il suo piccolo figlio; allontanandosi, rimane intrappolata sotto ai ghiacci e muore. Il ciclo della vita riprende: come era probabilmente avvenuto a lui, questo bambino verrà accudito presso l'eremo dal maestro, che nel frattempo è diventato lui stesso.
Questo film di Kim Ki Duk è di una ricchezza contenutistica e di una bellezza espressiva straordinarie; per essere degnamente compreso sarebbe davvero da studiare a fondo, in quanto i richiami alla dottrina buddhista e alla cultura orientale sarebbero necessari per commentarlo degnamente. Io qui posso solo tentare di sottolineare i temi cardine: la sofferenza, come ho già detto, dottrina fondamentale del buddhismo, è appunto trattata con un taglio differente da quello cristiano: non c'è peccato ma colpa, non c'è redenzione e perdono ma espiazione. Inoltre, secondo i buddhisti, strettamente connesso alla sofferenza c'è il desiderio: in una scena il vecchio monaco infatti afferma che è il desiderio che crea dipendenza e la dipendenza sofferenza, proprio come sembra mostrare la vita del giovane monaco. Un altro tema cruciale è quello della ciclicità: contrariamente dalla cultura cristiano-occidentale la vita e il tempo sono un ciclo più che una linea divisa in segmenti o in livelli: non c'è una vita oltre la vita ma un ciclo di gioie, dolori, desideri e sofferenze che continuamente tornano (anche se non è espressamente trattato il tema della reincarnazione).
Quest'opera è intrisa di delicatezza e di durezza assieme, è estremamente armoniosa ma al contempo connotata dalla rigida disciplina che la vita religiosa buddhista impone, e da un pessimismo di fondo, che di fatto caratterizza questa dottrina (per certi versi, nella sua enorme mole di sfaccettature differenti). La vita è caratterizzata sin dall'inizio da una ferita (per noi "peccato"), ma si possono superare la sofferenza e il dolore tramite l'abbandono del desiderio e dela vita "del mondo" (Ottuplice sentiero).
La grandezza di quest'opera è davvero mirabile, sia per la meravigliosa fotografia che per l'incisività con la quale sono trattati temi così colossali e per di più attraverso una quantità di parole che è inversamente proporzionale alla ricchezza contenutistica del film: questa è forse la qualità espressiva che mi ha impressionato maggiormente: è stupefacente come con così tanti silenzi si possano esprimere delle verità così profonde in modo così pregnante. Il film riesce nell'impresa di non risultare mai pedante e tantomeno retorico, lontanissimo sia da ogni vaga illusione sentimentalistica che da ogni crudezza gratuita e inopportuna (come a mio parere avviene in Park Chan Wook). Il tutto è di certo complicato ulteriormente dalla nostra distanza culturale dall'oriente e dall'ignoranza che personalmente sento di nutrire verso un mondo culturale così vasto e complesso. Tuttavia, nonostante ciò, mi sento di dire che questo film è davvero un'opera d'arte, una gemma del cinema degli ultimi decenni: apre un orizzonte vastissimo di domande e di riflessioni e non smette di interrogarci sulla sostanza del nostro essere al mondo e questo è merce estremamente rara oggi. Chapeau.
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cinephilo
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lunedì 24 giugno 2024
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film dalla visione politico/sociale sconcertante
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Il film, tra i più acclamati del grande Kim Ki Duk, per me risulta una delle sue opere peggiori. Incomprensibile quantomeno la sceneggiatura. Un femminicida trentenne finisce in carcere per uscirne ancora giovanissimo (nemmeno 10 anni dopo) per poi riprendere la vita da monaco e crescere un bambino? Il tutto nell'impunità assoluta, mi dispiace ma pur essendo un film tecnicamente ineccepibile nella forma (tutti sappiamo quanto bravo sia Kim ki Duk come regista) l'ho trovato assurdamente vuoto nella sostanza.
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luca scialo
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martedì 22 dicembre 2020
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il ciclo della vita avvolto di misticismo
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L'alternanza delle stagioni della natura quale metafora dell'alternanza delle stagioni della vita. Il tutto avvolto nel misticismo di un tempo buddista, circondato da una avvolgente natura. Ma non si tratta solo di linearità e religione. Qui la quietudine profusa dal silenzio della natura e dalla fede negli dei, viene interrotta dalla violenza e dall'errare umano. Dunque, sorprende e non viaggia nella scontatezza che le ambientazioni e la trama potrebbero indurre ad immaginare. Una operazione già vista negli anni '90 con Sette anni in Tibet, per esempio. Kim Ki-Duk ci consegna un altro film che induce a riflettere sul senso della vita, dunque, e lo fa a modo suo scavalcando ogni canovaccio collaudato.
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L'alternanza delle stagioni della natura quale metafora dell'alternanza delle stagioni della vita. Il tutto avvolto nel misticismo di un tempo buddista, circondato da una avvolgente natura. Ma non si tratta solo di linearità e religione. Qui la quietudine profusa dal silenzio della natura e dalla fede negli dei, viene interrotta dalla violenza e dall'errare umano. Dunque, sorprende e non viaggia nella scontatezza che le ambientazioni e la trama potrebbero indurre ad immaginare. Una operazione già vista negli anni '90 con Sette anni in Tibet, per esempio. Kim Ki-Duk ci consegna un altro film che induce a riflettere sul senso della vita, dunque, e lo fa a modo suo scavalcando ogni canovaccio collaudato. Il giovane protagonista, malgrado i saggi insegnamenti del monaco Buddha, finirà per commettere errori pesanti. Dai quali però saprà ugualmente imparare, tornando in quei luoghi da cui si era allontanato in malo modo.
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candido89
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giovedì 9 aprile 2020
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il cammino interminabile
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Il ciclo della vita come ciclo delle stagioni.
E' già dal titolo molto chiaro il quadro che il buon Kim ha in mente.
Quello che vale la pena rimarcare in questo film, oltre la struggente bellezza dei paesaggi, è il necessario
cammino che ogni essere umano deve compiere per potersi definire 'uomo'. Il male, le passioni, il mondo esterno... sono
tutti elementi che quasi in maniera necessaria irrompono nel piccolo tempio. Ma sono momenti negativi che devono essere vissuti, devono
essere 'presi su di sé' nella loro pesantezza, affinché poi possa seguire un homo novus.
Da vedere.
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mauriziobiondo
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sabato 21 aprile 2018
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scialbo e didascalico
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Forse Kim ki duk, è nato tardi,e conseguentemente tardi ha fatto i suoi film,tra cui questo.
Questo film era da farsi 25 anni prima.
Il risultato è che è un film che cerca d'esser poetico ma della poesia ha solo lo stile,non la poeticità.
Da buttare nel laghetto.
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stefano capasso
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lunedì 19 gennaio 2015
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il ciclo delle stagioni come ciclo evolutivo
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In un piccolo monastero su un lago un monaco addestra alla vita un bambino nell’alternanza regolare delle stagioni. Quando, ormai giovane ragazzo, arriva dalla città una ragazza per curare la sua infelicità, si innamora di le e capisce che è tempo di vivere le passioni della vita mondana. Tornerà diversi anni dopo, dopo aver attraversato tante esperienze, pronto a prendere il posto del vecchio maestro
Film, questo di Kim Ki Duk, ricco di poesia. Le immagini e i suoni prendono tutta la scena intervallate da rari dialoghi. La casa sul lago è il centro della storia e da questa casa che rappresenta l’istanza dell’anima si avvicendano le esperienze della vita. L’acqua è presente sempre, l’acqua che è simbolo delle emozioni con cui l’uomo si trova sempre a fare i conti.
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In un piccolo monastero su un lago un monaco addestra alla vita un bambino nell’alternanza regolare delle stagioni. Quando, ormai giovane ragazzo, arriva dalla città una ragazza per curare la sua infelicità, si innamora di le e capisce che è tempo di vivere le passioni della vita mondana. Tornerà diversi anni dopo, dopo aver attraversato tante esperienze, pronto a prendere il posto del vecchio maestro
Film, questo di Kim Ki Duk, ricco di poesia. Le immagini e i suoni prendono tutta la scena intervallate da rari dialoghi. La casa sul lago è il centro della storia e da questa casa che rappresenta l’istanza dell’anima si avvicendano le esperienze della vita. L’acqua è presente sempre, l’acqua che è simbolo delle emozioni con cui l’uomo si trova sempre a fare i conti. C’è bisogno di passare attraverso l’esperienza della vita mondana, quindi vivere pienamente tutte le passioni per poter accedere ad una fase avanzata dello sviluppo evolutivo dove le emozioni possono essere gestite sul piano psichico. E poter concludere la propria esperienza ad un più alto livello spirituale. I 4 elementi terra acqua aria fuoco sono presenti nel film a simboleggiare le 4 istanze dell’uomo, il corpo fisico, le emozioni, il piano psichico e la spiritualità. Perché il mare di emozioni in cui siamo immersi posso trasformarsi nel modo in cui vengono vissute
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elettra84
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martedì 2 ottobre 2012
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ricco e profondo
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Il tempo del film è effettivamente lento ma si riempe di tutte le riflessioni interiori.
Ho dato moltissime interpretazioni.
Ho notato che ogni stagione è caratterizzata da un animale diverso:
- la primavera, il cane
- l'estate il gallo
- autunno il gatto
- l'inverno il serpente
- e la nuova primavera la tartaruga.
Il cane: il bambino è fedele al maestro, esplora ma ammette di aver fatto un errore e si corregge.
il gallo, il ragazzo va alla conquista
il gatto, l'uomo torna quando ha bisogno. E' nei guai e torna dal maestro
Il serpente, è la lotta.
la tartaruga, uhm.
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Il tempo del film è effettivamente lento ma si riempe di tutte le riflessioni interiori.
Ho dato moltissime interpretazioni.
Ho notato che ogni stagione è caratterizzata da un animale diverso:
- la primavera, il cane
- l'estate il gallo
- autunno il gatto
- l'inverno il serpente
- e la nuova primavera la tartaruga.
Il cane: il bambino è fedele al maestro, esplora ma ammette di aver fatto un errore e si corregge.
il gallo, il ragazzo va alla conquista
il gatto, l'uomo torna quando ha bisogno. E' nei guai e torna dal maestro
Il serpente, è la lotta.
la tartaruga, uhm... è un animale lento, saggio, credo che possa racchiudere la figura del maestro.
La primavera è la crudeltà innociente del bambino, è la sperimentazione. Inoltre lì scopre la compassione. C'è anche la morte. Quindi è nascita e morte.
L'estate è l'esplosione della natura e dell'uomo, non occorrono commenti.
L'autunno è complesso, è il deserto dell'anima, certo lui nel film ha ucciso, ma potrebbe essere la metafora di un delitto molto più banale, di quelli che si commettono ogni giorno e che ti lasciano il vuoto.
La voglia di fuggire dell'uomo, attraverso il suicidio, è bloccata dal maestro che lo esorta ad affrontare il suo destino. E lo affronta purificato. Il maestro non è crudele in questa fase, è disperato. Il figliol prodigo è tornato, è tornato sporco e vuole morire sporco. Quindi quello del maestro è un tentativo di salvare perlomeno la sua anima.
L'inverno è la rinascita. Fuori c'è il gelo, ma l'uomo ha cominciato già il suo disgelo interiore e soprattutto la Sua lotta. Non è più il suo maestro a lottare per lui.
E ancora primavera... il ciclo ricomincia. Oppure COMINCIA, perchè potrebbe essere un flash back di tutta la storia del maestro e del primo bambino.
Il ciclo dell'uomo sarà sempre il medesimo, e seppure ci siano degli uomini che sono maestri e che sanno già la verità, l'uomo deve esplorare e provare e passare dalla gioia, al dolore, al deserto, alla purificazione, alla salvezza, alla rinascita.
Le porte sono un altro elemento meraviglioso. Sono il rispetto. Non ci sono muri, inizialmente mi ha fatto sorridere, poi ho compreso quanto invece fosse un segno di grande rispetto entrare dalla porta, nonostante si potessi passare dal "non muro". Si deve passare sempre dalla porta d'ingresso, e non dai laterali...
La fotografia è eccezionale. Il posto incantevole.
Credo anche però che dalla "città" e le sue trappole l'uomo debba passare per forza o non ha modo di lottare.
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paride86
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lunedì 24 settembre 2012
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bellissimo
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" è sicuramente uno dei migliori film di Kim Ki-Duk.
Esteticamente splendido, compatto, mai banale o scontato, ha un messaggio chiaro e limpido sulle età della vita, sul male di vivere e sulla pace interiore.
Molto emozionante.
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" è sicuramente uno dei migliori film di Kim Ki-Duk.
Esteticamente splendido, compatto, mai banale o scontato, ha un messaggio chiaro e limpido sulle età della vita, sul male di vivere e sulla pace interiore.
Molto emozionante.
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dario
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lunedì 27 febbraio 2012
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gioiello
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Un film poetico, e la poesia vi è vissuta sino in fondo. Semplicità e passione sincera per la vita in tutte le sue manifestazioni. Fotografia magica e regia senza la minima sbavatura. Una narrazione piana, nel rispetto dei tempi e dei modi naturali. Una sentimentalità elegante, sentita, onorata, sofferta per i suoi limiti espressivi. Nessuna pretesa, ma una volontà indomita nel guardare responsabilmente la realtà e cercare di conviverci serenamente. Un autentico, raro gioiello. Attori veri, bravissimi.
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valeriana
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martedì 23 agosto 2011
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natura incontaminata, spiritualità e violenza
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Meraviglioso il susseguirsi delle stagioni in una natura particolarmente ricca di vegetali e di animali. Intensa è la vista dall'alto di quel piccolo specchio al cui centro si erge stabile la casa-pagoda.
un insieme di simboli: quelli della scrittura sul legno hanno forse il maggiore rilievo, ma altrettanto interessante è la presenza di due animali domestici, la gallina e il gatto bianco.
La vicenda ha alcuni aspetti ambigui e misteriosi, che riguardano soprattutto le donne. Si volge in un mondo separato in cui si comunica raramente a parole. tutto appare quasi primordiale, a parte i simboli.
E' istintiva la violenza del bambino monaco ed esemplare la punizione.
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Meraviglioso il susseguirsi delle stagioni in una natura particolarmente ricca di vegetali e di animali. Intensa è la vista dall'alto di quel piccolo specchio al cui centro si erge stabile la casa-pagoda.
un insieme di simboli: quelli della scrittura sul legno hanno forse il maggiore rilievo, ma altrettanto interessante è la presenza di due animali domestici, la gallina e il gatto bianco.
La vicenda ha alcuni aspetti ambigui e misteriosi, che riguardano soprattutto le donne. Si volge in un mondo separato in cui si comunica raramente a parole. tutto appare quasi primordiale, a parte i simboli.
E' istintiva la violenza del bambino monaco ed esemplare la punizione. Lì si educa con i fatti non a parole.
Un film a tempi dilatati, ma niente affatto sonnolento. Da vedere e apprezzare fino in fondo.
Valeriana
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