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edmund
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sabato 28 dicembre 2024
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fight club adolescenza e maturit
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Di tanto in tanto mi ricapita di rivedere certi film. Un pò come si fa per certi libri. Ed essere qui ancora a discutere di questo film a distanza di tanti anni vorrà pur dire qualcosa. "Rileggendo" fight club mi ha preso una sgradevolissima sensazione di banalità, di ingenuità. Oggi col senno di poi ammetto che rimane ancora attuale la critica a certo perbenismo trumpiano e alla società dei consumi. Una critica però che emerge non in tutta la sua complessità. Insomma, un film per adolescenti. A quell'età si vorrebbe spaccare il mondo, si ha un bisogno viscerale di riconoscimento che tante volte rimarrà frustrato per il resto della vita per qualcuno o per molti.
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Di tanto in tanto mi ricapita di rivedere certi film. Un pò come si fa per certi libri. Ed essere qui ancora a discutere di questo film a distanza di tanti anni vorrà pur dire qualcosa. "Rileggendo" fight club mi ha preso una sgradevolissima sensazione di banalità, di ingenuità. Oggi col senno di poi ammetto che rimane ancora attuale la critica a certo perbenismo trumpiano e alla società dei consumi. Una critica però che emerge non in tutta la sua complessità. Insomma, un film per adolescenti. A quell'età si vorrebbe spaccare il mondo, si ha un bisogno viscerale di riconoscimento che tante volte rimarrà frustrato per il resto della vita per qualcuno o per molti. Posso confessare che ho tolto il manifesto del film dalla parete della mia camera compiuti i 20 anni. Lo avevo attaccato a 17 years old. Ci ho messo poco a maturare l'idea che la faccenda è un pò più complicata di come il romanziere e Fincher la pongono.
Rimane del film per me oggi un certo alone di romanticismo. Sì proprio così. Oggi lo considero un film molto romantico paradossalmente. Un film sugli ideali perduti di una giovinezza che è ormai trascorsa. E forse è un bene che sia così. Voglio dire che sia trascorsa quella giovinezza che qualcuno la passò a mettere bombe. Più che far brillare che cariche di dinamite, oggi proverei maggiormente a far brillare i cuori dell'utopia. Con questa storia del realismo o della real politik stanno provando a fregarci per l'ennesima volta.
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jeff lebowsky
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mercoledì 18 giugno 2014
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l'ultimo round del capitalismo
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The fight club è un film che entra di diritto nella categoria CAPOLAVORI. David Fincher affina la prorpia tecnica e perfeziona il tema della violenza (già affrontato in modo impeccabile nel film seven) mettendo in scena un'opera epocale e meravigliosa, grazie ai suoi concetti molto semplici che sicuramente non tutti possono accettare e la perfezione assoluta della trama fa sorgere nello spettatore una profonda riflessione prima di tutto sull'alienzazione mentale e fisica dell'individuo, che lo porta a dividersi in due persone diverse fino a non riuscire più a riconoscersi e una riflessione ancora più radicale sul male che il capitalismo ha provocato e provoca tutt'ora nella nostra società auspicando o forse prevedendo la sua colossale caduta.
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The fight club è un film che entra di diritto nella categoria CAPOLAVORI. David Fincher affina la prorpia tecnica e perfeziona il tema della violenza (già affrontato in modo impeccabile nel film seven) mettendo in scena un'opera epocale e meravigliosa, grazie ai suoi concetti molto semplici che sicuramente non tutti possono accettare e la perfezione assoluta della trama fa sorgere nello spettatore una profonda riflessione prima di tutto sull'alienzazione mentale e fisica dell'individuo, che lo porta a dividersi in due persone diverse fino a non riuscire più a riconoscersi e una riflessione ancora più radicale sul male che il capitalismo ha provocato e provoca tutt'ora nella nostra società auspicando o forse prevedendo la sua colossale caduta.
Tutto questo mischiato a una performance straordinaria degli attori (in particolare un FANTASTICO Edward Norton ed un sadico e sanguinario Brad Pitt); insomma un film da vedere, rivedere e ammirare in tutta la sua irriverente bellezza.
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mr.pink321
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martedì 5 maggio 2015
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mai parlare del fight club
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ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER
chiarisco subito che il mio commento e rivolto a chi ha già visto il film.
detto questo non resta che infrangere la prima regola e iniziare
provocatorio, incisivo, esagerato. un film che svela la nevrosi di un uomo comune con energia, forza espressiva e umorismo. Preciso subito che, pur avendo letto il geniale romanzo di Chuck Palanniuk cui il film si ispira mi asterrò dal fare un confronto, perchè molte scelte del regista (non ultimo il fatto che ha praticamente cambiato il finale) mi spingono ad un approccio diverso, ossia a considerare la versione cinematografica come un'opera a se stante. Il protagonista, di cui viene celato il nome, forse proprio per farlo rappresentante del disagio esistenziale di molte pedine dello spietato e assurdo gioco del capitalismo della società contemporanea, ci racconta a tratti con ironia a tratti con cinicmo, la sua storia, mentre Fincher la mette in scena dando sfoggio di notevoli abilità registiche.
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ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER
chiarisco subito che il mio commento e rivolto a chi ha già visto il film.
detto questo non resta che infrangere la prima regola e iniziare
provocatorio, incisivo, esagerato. un film che svela la nevrosi di un uomo comune con energia, forza espressiva e umorismo. Preciso subito che, pur avendo letto il geniale romanzo di Chuck Palanniuk cui il film si ispira mi asterrò dal fare un confronto, perchè molte scelte del regista (non ultimo il fatto che ha praticamente cambiato il finale) mi spingono ad un approccio diverso, ossia a considerare la versione cinematografica come un'opera a se stante. Il protagonista, di cui viene celato il nome, forse proprio per farlo rappresentante del disagio esistenziale di molte pedine dello spietato e assurdo gioco del capitalismo della società contemporanea, ci racconta a tratti con ironia a tratti con cinicmo, la sua storia, mentre Fincher la mette in scena dando sfoggio di notevoli abilità registiche. molti i particolari curiosi, le cose da notare, i dettagli che concorrono a comporre un affresco in cui è proprio il dettaglio ad assumere importanza, i piccoli avvenimenti che si sommano a descrivere una storia sicuramente non lineare, ma resa fluida dall'elemento unificatore dell'essere presentata come parabola psicologica del protagonista. Intrattenimento? sicuramente, ne è a prova il largo e tutto sommato apprezzabile utilizzo degli effetti speciali e degli acrobatici volteggi dell'inquadratura (ricordiamoci, siamo nel 1999, dove si stanno sperimentando i "prodigi" che si possono ottenere al cinema, si pensi a The Matrix, che esce nello stesso anno). Spunti di riflessione? molti, ma a mio avviso devono essere filtrati dall'assunzione che si tratta di una critica volutamente esasperata e provocatoria. Capolavoro? Beh, questo non è facile a dirsi. è un dato di fatto che il film, in ciò che vuole ottenere, riesce. sceneggiatura, regia, fotografia e musiche si incastrano perfettamente e lo spettatore si trova immerso nel mondo alienato e stravolto del narratore. non manca nemmeno il coraggio di andare oltre, rompendo la finzione scenica, rivolgendosi direttamente allo spettatore in un discorso che fa vibrare l'inquadratura, svelandone la natura fittizzia, quasi il personaggio si sentisse stretto nel film e volesse abbattersi prorompente sullla sala. Ma forse manca lo spessore morale, la risolutezza e la chiarezza negli intenti per farne un capolavoro. Forse si intravede uno zoppichìo dal punto di vista ideologico nel finale che, riducendo tutto alla pazzia, rischia di smorzare i toni impietosi della prima parte. Ma in fondo cos'è un capolavoro? Anzi chissene frega se è un capolavoro, Tyler Durden non se ne curerebbe. Tyler Durden, interpretato da un fantastico Brad Pitt, che con un ultimo, geniale, ammiccamento ci lascia a fissare i titoli di coda con la sensazione che ci abbia fregato.
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filosofabio
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domenica 22 novembre 2020
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critica estremamente lucida della società moderna
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Un film spettacolare. Critica estremamente lucida della società moderna. "Le cose che possiedi alla fine ti possiedono" e "io non sono il mio lavoro". Concetti banali che però quasi nessuno ha più chiaro nella propria mente. Fincher usa la scusa del Fight Club per descrivere il risveglio di coscienza che attraversa il protagonista liberandolo della schiavitù del consumismo a tutti i costi. C'è psicologia, filosofia, ottimi dialoghi mai fini a sé stessi. Un film dall'ottimo ritmo, ottima colonna sonora e ottimi attori. C'è una sorpresa suggerita sapientemente durante la trama e la scena finale è una catarsi spettacolare.
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Un film spettacolare. Critica estremamente lucida della società moderna. "Le cose che possiedi alla fine ti possiedono" e "io non sono il mio lavoro". Concetti banali che però quasi nessuno ha più chiaro nella propria mente. Fincher usa la scusa del Fight Club per descrivere il risveglio di coscienza che attraversa il protagonista liberandolo della schiavitù del consumismo a tutti i costi. C'è psicologia, filosofia, ottimi dialoghi mai fini a sé stessi. Un film dall'ottimo ritmo, ottima colonna sonora e ottimi attori. C'è una sorpresa suggerita sapientemente durante la trama e la scena finale è una catarsi spettacolare. A distanza di 21 anni rimane a mio parere un film fondamentale da vedere con grande attenzione.
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michael
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mercoledì 14 febbraio 2024
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follia, appertenenza, fede
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IL film cerca sin dall'inizio di farti "impazzire" ma in senso buono...
attraverso l'eccellente recitazione e le riprese meccaniche si può immediatamente cominciare a percepire la follia, le varie apparizioni del mitico Brad Pitt ci portano ad aprire la mente.
La trama in sé è ben solida e il significato è ancora più forte: la lotta, il sangue, il degrado e il sapone mutano forma permeano di significato.
Dinamico con ampie inquadrature che però si alternano poeticamente a precisi primi piani, col tentativo del regista di farci vivere ancor più intense emozioni.
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IL film cerca sin dall'inizio di farti "impazzire" ma in senso buono...
attraverso l'eccellente recitazione e le riprese meccaniche si può immediatamente cominciare a percepire la follia, le varie apparizioni del mitico Brad Pitt ci portano ad aprire la mente.
La trama in sé è ben solida e il significato è ancora più forte: la lotta, il sangue, il degrado e il sapone mutano forma permeano di significato.
Dinamico con ampie inquadrature che però si alternano poeticamente a precisi primi piani, col tentativo del regista di farci vivere ancor più intense emozioni.
Un'altra emozione difficilmente trascurabile e particolarmente pronunciata nella pellicola è la fede: la fede verso la mitica figura di Tyler Durden e il clan da esso creato. Se da un lato possiamo giustificarla con la grandiosità e col "patto scenico" dall'latro c'è una ricerca di appartenenza a un qualcosa, che siano gl'incontri di conforto o le serata di botte. L'individuo di qualsiasi estrazione sociale, di qualsiasi cultura essendo animale come qui ben sottolineato, ha bisogno di appartenere a un gruppo di suoi simili.
In questo film l'alienazione dalla società "civile "avviene tramite il dolore e gli istinti più animaleschi, che servono come catarsi per raggiungere quel contatto con il sé animale e con gli altri come te per tornare veri.
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marky88tiz
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lunedì 20 aprile 2009
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fight , nella lotta si diventa liberi!
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Un Ed Norton schiavo dei mobili Ikea, il classico borghese ufficioso che combatte con i suoi problemi di insonnia, fin qui niente di così innovativo, ma già appena sperimenta il primo metodo di cura per dormire sonni tranquilli, già sappiamo che la trama sarà geniale.
il film è un susseguirsi di emozioni colpi scena, lampi di messaggi subliminali, denuncia al mondo consumista commerciale che lascia incollato allo schermo quasi da volerci entrare, con quel Pitt così diavolo e così anticonformista, e così collaudato nel ruolo dell'uomo che non deve chiedere mai, si sovrappone si amalgama con un grande Edward Norton.
Luci, scenografia appropriata originale, con un background non trascurabile; alla fine del film come la stessa colonna sonora, ci sovviene da dire "where is my mind??"
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kant
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lunedì 9 gennaio 2006
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il mondo sta finendo!
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Bello, cinico, ironico, violento. Bravissimi gli attori, E: Norton e B. Pitt, ad interpretare le due diversissime facce della stessa medaglia.
Fight Club è un film apocalittico, oscuro, che trascina lo spettatore ai confini della realta', in un viaggio allucinato tra cio' che è reale e cio' che non lo è affatto.
Sulla pellicola incombe l'oscuro decadentismo del cinema anni novanta, e un'atmosfera di febbrile attesa per l'imminente fine del mondo.
Cos''altro? Grande colonna sonora, bella fotografia, ironia nera.
Un film da vedere e da ascoltare.
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great steven
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mercoledì 17 dicembre 2014
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i dogmi della psicanalisi spiegati con orginalità.
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FIGHT CLUB (USA, 1999) diretto da DAVID FINCHER. Interpretato da EDWARD NORTON, BRAD PITT, HELENA BONHAM CARTER, MEAT LOAF ADAY, JARED LETO, EZRA BUZZINGTON, ZACH GRENIER, RICHMON ARQUETTE, DAVID ANDREWS, GEORGE MAGUIRE, CHRISTINA CABOT
Tormentato dall’insonnia, alla ricerca disperata di un’identità in un mondo che si avvia ad entrare nella globalizzazione più spersonalizzante e disorientante, il giovane americano in carriera Jack (Norton), impiegato vessato dal datore di lavoro, frequenta gruppi di terapia nel tentativo inutile di condividere il dolore altrui, compreso quello dell’incostante femme fatale Marla (Bonham Carter), affetta da disturbo ossessivo-compulsivo.
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FIGHT CLUB (USA, 1999) diretto da DAVID FINCHER. Interpretato da EDWARD NORTON, BRAD PITT, HELENA BONHAM CARTER, MEAT LOAF ADAY, JARED LETO, EZRA BUZZINGTON, ZACH GRENIER, RICHMON ARQUETTE, DAVID ANDREWS, GEORGE MAGUIRE, CHRISTINA CABOT
Tormentato dall’insonnia, alla ricerca disperata di un’identità in un mondo che si avvia ad entrare nella globalizzazione più spersonalizzante e disorientante, il giovane americano in carriera Jack (Norton), impiegato vessato dal datore di lavoro, frequenta gruppi di terapia nel tentativo inutile di condividere il dolore altrui, compreso quello dell’incostante femme fatale Marla (Bonham Carter), affetta da disturbo ossessivo-compulsivo. Crede di trovare la soluzione ai suoi problemi quando, in aereo, incontra il coetaneo Tyler, venditore di sapone, che lo introduce nel mondo dei Fight Clubs, luoghi clandestini il cui scopo di esistenza è massacrarsi a mani nude, in modo da sfogare gli istinti umani primordiali e dare una risposta decisa e convinta alle limitazioni infinitamente opprimenti di una società sempre più tecnologica, restringente e soprattutto consumistica. Ma poi, per abbattere il sistema usandone l’ideologia e portandola alle sue estreme conseguenze, i semplici duelli si trasformano in qualcosa di più drastico e violento: il progetto Mayhem, atto a sradicare i simboli del materialismo imperante e a distruggere tutti gli ostacoli sociali che impediscono all’individuo una piena crescita spirituale e mentale. Jack scoprirà poi che Tyler altri non è la sua personalità nascosta, il soggetto che egli vorrebbe essere, libero da ogni nevrosi e capace di mettere in atto le proprie decisioni, non solo di pensarle. Il film è tratto dal romanzo di Chuck Palahniuk, ed è sceneggiato da Jim Uhls. Quarta opera del californiano Fincher (1963), si rivela molto vicina alle tematiche freudiane dello sviluppo psico-sessuale, dell’autorealizzazione in una società in cui le pulsioni primitive vengono costantemente esorcizzate e allontanate, la contrapposizione fra uomini e donne riguardo la paura dei contatti fisici, ma anche quella fra genitori e figli in cui i secondi temono i primi e si sentono schiacciati dalla loro decisiva superiorità, il che li porta a diventare nevrotici e a mancare i loro obiettivi soltanto pensati. Questi temi così alti (fra cui ci sono anche la presenza infida e melliflua del Male, il nichilismo metropolitano, l’edonismo odierno, la religione totalitaria, il “doppio” derivato da Dostoevskij) sono trattati con occhio attento e arguto, e c’è da ammettere che il regista non si lascia sfuggire di mano la materia narrativa e riesce a coordinare una storia tanto complessa in cui forse c’è troppa carne al fuoco, benché la vicenda risulti comunque fluida e scorrevole come un fiume primaverile che raccoglie i segni della bella stagione. E la raccolta di questo film non troppo conosciuto ma pur sempre valido comprende idee azzeccate (il sapone come “misura della società”), trovate ingegnose (il seno enorme della figura materna di Jack, un omaccione tonto e abulico), discorsi accattivanti e cinici (la marchiatura della mano di Jack, dietro obbligo esplicito dello spietato Tyler, “padre ideale” per il pavido protagonista) e una tetraggine pervadente che conferma una duttilità quasi diabolica e una potenzialità esperta nello spaventare lo spettatore ricorrendo a un pathos fortemente antiepatico che radicalizza tutte le paure dell’uomo moderno e diffonde un terrore invasivo che pone interrogativi inquietanti a proposito del senso dell’esistenza in un pianeta in cui tutto diventa relativo e le certezze assolute sono ormai il ricordo di un lontanissimo passato. La perizia narrativa è indiscutibile, specialmente nella prima parte, malgrado qualche forzatura nella dialettica psicanalitica e un eccesso di autocompiacimento nelle scene violente ed erotiche. Norton e Pitt formano una coppia efficace, l’uno il risvolto della medaglia dell’altro, e insieme si completano come i due volti di uno specchio, facendo ampio uso di una recitazione paradossale e anticonvenzionale (specie per quanto concerne il carattere di Brad: dissacrante, sardonico, originale), mentre H. Bonham Carter affina anche grazie a questa pellicola il suo talento di attrice fuori dall’ordinario, capace di stupire con il suo umorismo stralunato, i suoi personaggi spesso oscuri e misteriosi e i suoi sguardi assenti e colpiti. E non è un caso, infine, che il film sia uscito sul finire del XX secolo: l’inizio del Nuovo Millennio è alle porte, come si avverte con evidenza non troppo recondita nella sequenza finale, in cui esplodono tutti i grattacieli della città per via degli ordini esplosivi piazzati dai terroristi nelle profondità dei garage metropolitani. Consigliabile agli studenti che sono in procinto di apprendere i meccanismi della psicoanalisi e le derivanti angosce che questa disciplina attribuisce agli uomini costretti a vivere in una realtà grandemente destabilizzante.
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piernelweb
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venerdì 23 febbraio 2007
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fight club nel club dei film mancati
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Nonostante la buona sceneggiatura di Jim Uhls (adattata da un romanzo di Chuck Palahniuk) e un'interessante avvio questo quarto e più conosciuto film (insieme a Seven) di Fincher, nel complesso, si rivela una cocente delusione. La Feroce critica al capitalismo e al consumismo moderno coniugata alla denuncia sui malesseri metropolitani dell'uomo di fine XX secolo vengono dispersi in una narrazione superficiale e da una regia capace solo di mostrare ma non di far riflettere. Le lacune di Fincher sono doppiamente gravi perchè la pellicola si avvale di due interpreti di valore e della buona fotografia di Jeff Cronenweth. La totale assenza di sequenze da ricordare, la mancanza di fascino nei personaggi e l'ottimistico e grossolanamente ingenuo finale completano il mezzo disastro.
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Nonostante la buona sceneggiatura di Jim Uhls (adattata da un romanzo di Chuck Palahniuk) e un'interessante avvio questo quarto e più conosciuto film (insieme a Seven) di Fincher, nel complesso, si rivela una cocente delusione. La Feroce critica al capitalismo e al consumismo moderno coniugata alla denuncia sui malesseri metropolitani dell'uomo di fine XX secolo vengono dispersi in una narrazione superficiale e da una regia capace solo di mostrare ma non di far riflettere. Le lacune di Fincher sono doppiamente gravi perchè la pellicola si avvale di due interpreti di valore e della buona fotografia di Jeff Cronenweth. La totale assenza di sequenze da ricordare, la mancanza di fascino nei personaggi e l'ottimistico e grossolanamente ingenuo finale completano il mezzo disastro. Il film grazie ad un ritmo sostenuto e alla presenza di numerose e violente scene d'azione si è comunque ritagliato una grossa fetta di consensi perlopù nel pubblico dei più giovani. Molto sopravalutato.
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fra007
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domenica 25 settembre 2011
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una setta di malati mentali
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avventure di un pazzo. fonda il fight club, una specie di setta dove ogniuno si pesta a sangue e dopo ride beato o meglio "purificato". Bred Pitt come anticonformista non convince, Edward Norton ottimo come sempre. qualche interessante riflessione sull'essere o non essere.. tutto il resto è una cavolata micidiale.
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