onufrio
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martedì 9 giugno 2020
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alla ricerca di dio
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Analisi psicologica di quattro personaggi tormentati in cui spicca la malattia di Karen, schizofrenica da poco uscita da una clinica e costantemente inghiottita dal mostro interiore. Insieme a lei, il marito premuroso ma al tempo stesso rassegnato, il giovane fratello ed il padre. Ambientato nell'isola di Faro, in Svezia, è il primo film della trilogia di Bergman sul Silenzio di Dio. Oscar come miglior film straniero.
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il befe
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domenica 22 febbraio 2015
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capolavoro
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uno dei migliori di bergman
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luigi chierico
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mercoledì 18 giugno 2014
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per riflettere
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In ogni Arte ci sono artisti che hanno lasciato capolavori,in eredità all’umanità, rimanendo vivi nella Storia. A volo di rondine: Michelangelo della Pietà, Leonardo da Vinci della Gioconda,Omero dell’Odissea,Verdi dell’Aida,Dante della Divina Commedia, Shakespeare dell’Amleto.Il Cinema è stato definito la “Settima Musa” e in questa Arte eccelle,tra pochi altri,Ingmar Bergman. I suoi film devono intendersi vere e proprie opere d’arte, da “Il posto delle fragole” al “Settimo sigillo”, senza voler far torto a nessuno dei tanti altri film, oltre 40. Come ogni opera d’arte non conosce tempo, epoca e spazio,è destinata all’umanità per sempre. Sono queste considerazioni a farmi dire due parole su questo capolavoro.
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In ogni Arte ci sono artisti che hanno lasciato capolavori,in eredità all’umanità, rimanendo vivi nella Storia. A volo di rondine: Michelangelo della Pietà, Leonardo da Vinci della Gioconda,Omero dell’Odissea,Verdi dell’Aida,Dante della Divina Commedia, Shakespeare dell’Amleto.Il Cinema è stato definito la “Settima Musa” e in questa Arte eccelle,tra pochi altri,Ingmar Bergman. I suoi film devono intendersi vere e proprie opere d’arte, da “Il posto delle fragole” al “Settimo sigillo”, senza voler far torto a nessuno dei tanti altri film, oltre 40. Come ogni opera d’arte non conosce tempo, epoca e spazio,è destinata all’umanità per sempre. Sono queste considerazioni a farmi dire due parole su questo capolavoro.
Per realizzarli Ingmar Bergman si è avvalso sempre di bravissimi artisti, oltre agli interpreti di questo film; Harriet Andersson, Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, per citarne qualche altro: iBibi Andersson, Max von Sydow, Ingrid Thulin,Victor Sjöström, Gunna Max von Sydow, Gunnar Björnstrand, Gunnel Lindblom, Bengt Ekerot, Bibi Andersson,Liv Ullmann.
Il tema dominante della sua vasta opera è la presenza ed esistenza di Dio, un dilemma che lo ha logorato per concludere sempre positivamente. Certo se avessimo le prove inconfutabili non se ne parlerebbe più, chi oggi discute più se è possibile affidare le parole ad un cellulare perché siano ascoltate all’altro capo del mondo?
Dio ci chiede di avere Fede non di pretendere prove, sebbene le si possono trovare in tutto il creato. Creato da chi e come?
Altro tema è la Famiglia, i rapporti con i figli, con i genitori, tra coniugi, tra fratelli, che tocca il suo apice nel film a colori “Fanny e Alexander”, tra gli ultimi che ha diretto prima di morire ad 89 anni, con la partecipazione di Harriet Andersson , qui nella parte di Karin, come in “L’ìmmagine allo specchio” è presente Gunnar Björnstrand,qui nella parte di David,
Per commentare“Come in uno specchio”,tra l’altro premiato con l’oscar come migliore film straniero,occorre tanto spazio che non si ha in questa sede.
Peraltro è compito dei critici e non di uno spettatore amante del Cinema.
Inutile raccontare la storia che affligge i quattro personaggi:la schizofrenica Karin moglie del dott. Martin (Max von Sydow), figlia dello scrittore David e sorella di Minus. La malata è Karin, ma a ben vedere lo sono tutti, chiusi e circondati da un egoismo e da una cecità,“Costretti dalla vita a vivere nella realtà”.Il giovane Minus sfogandosi con la sorella Karin, sulla incomunicabilità, dirà: “Se solo una volta potessi parlare con papà, ma lui è così chiuso nel suo mondo, anche lui!” Guardarsi dentro come in uno specchio! Ma non si vede una realtà distorta? Non si legge a rovescio? Non si vede a destra quel che è a sinistra? Ed è così nelle acque del lago dove suocero e genero, specchiandosi,vanno a pescare e a confidarsi. Ed ecco che l’incomprensione tra i quattro personaggi non solo non si appiana ma porta all’esasperazione, quindi al ritorno alla casa di cura di dove Karin è partita. Proprio Karin che sogna di incontrare “Dio che scende dalla montagna attraverso il bosco tenebroso”, le tenebre che avvolgono la nostra vita fatta di incertezze che non ci fanno vedere la Verità.“Siamo così indifesi a volte. Come bambini che si sono perduti in luoghi deserti”.
Se vuoi andare al cinema non per divertirsi ma per ascoltare, pensare e riflettere, vedere i chiari e grigi del bianco e nero, questo è il tuo film,sempre attuale.chibar22@libero.it
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luca scial�
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mercoledì 4 settembre 2013
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una vacanza che tocca tutti i nervi scoperti
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Un padre vedovo con i suoi due figli e il genero passano un weekend nella loro casa su un'isola. Una vacanza che presto porta alla luce tutti i loro problemi. Un capofamiglia freddo e distaccato sempre fuori per lavoro; una figlia malata terminale che ha delle allucinazioni; il figlio omosessuale che non riesce ad avere un dialogo col padre. Quell'isoletta inizialmente paradisiaca si trasforma in un inferno.
Bergman propone tanti temi cari a lui: il rapporto difficile con Dio, le inquietudini del vivere, il pensiero della morte, ambientazioni cupe o raggianti a seconda dell'umore dei suoi protagonisti. Vinse l'Oscar come film straniero nel 1962.
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salvo
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sabato 3 marzo 2012
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un tranquillo week-end di ...angoscia.
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Un tranquillo week-end di umana paura, potremmo definirlo.
Poco più di ventiquattro ore di una breve ...vacanza da incubo dei quattro membri di una benestante famiglia svedese, su un'isoletta ventosa del Mar Baltico.
Potrebbe essere Faro.
Ritmato dalla Suite n. 2 in re minore per violoncello (E.B. Bengtsson) di J.S. Bach, è un quartetto di figure che inaugura “il cinema da camera” di I. Bergman.
In pratica ricollegando questo singolare esempio, insieme gli altri due successivi, del cinema di Bergman al movimento della cd. Kammerspielfilm, sorto nel 1921 come reazione al primo espressionismo per iniziativa del scenarista Karl Mayer e del regista Lupu-Pick.
Ed apre anche la cd. “trilogia di Dio” o dell'”assenza di Dio” o “religiosa”.
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Un tranquillo week-end di umana paura, potremmo definirlo.
Poco più di ventiquattro ore di una breve ...vacanza da incubo dei quattro membri di una benestante famiglia svedese, su un'isoletta ventosa del Mar Baltico.
Potrebbe essere Faro.
Ritmato dalla Suite n. 2 in re minore per violoncello (E.B. Bengtsson) di J.S. Bach, è un quartetto di figure che inaugura “il cinema da camera” di I. Bergman.
In pratica ricollegando questo singolare esempio, insieme gli altri due successivi, del cinema di Bergman al movimento della cd. Kammerspielfilm, sorto nel 1921 come reazione al primo espressionismo per iniziativa del scenarista Karl Mayer e del regista Lupu-Pick.
Ed apre anche la cd. “trilogia di Dio” o dell'”assenza di Dio” o “religiosa”.
Proseguita, appunto, con “Luci d'inverno” e “Il silenzio”.
I perni del film, anzi, le pietre angolari sono sostanzialmente e formalmente due.
1) Da una parte c'è Karin, unico personaggio femminile (sappiamo come nei confronti dei suoi personaggi femminili Bergman appare sempre quanto meno comprensivo, se non addirittura indulgente), ma anche personaggio monolitico, enigmatico, difficile da comprendere appieno, profondo e fragile, armato solo del suo corpo e della sua lucida pazzia; alla spasmodica ricerca della guarigione e di Dio (che crede di vedere addirittura in un ragno nero che cerca di possederla);
alla ricerca di un vero rapporto col padre scrittore, freddo e austero, che la fa caso letterario, sfruttando la sua malattia e facendola oggetto dei suoi lavori;
alla ricerca di un rapporto solido e, finalmente, credibile col marito medico, pure dolce ed affettuoso;
alla ricerca di un vero rapporto tra sorella e fratello con Minus, che non sia solo famigliare e familiare, o solo sentimentale, ma sia addirittura fisico, quindi ai limiti dell'incestuoso.
Dall'altra parte i tre personaggi maschili: come al solito poco trasparenti, poco chiari (o lo sono fin troppo?), poco leali, in una parola poco positivi.Ovviamente, ognuno visto attraverso i suoi problematici rapporti con Karin. Rispettivamente: moglie, figlia, sorella.
A testimonianza ulteriore di una presunta misantropia di Bergman, molte volte invocata da alcuni critici.
"È un inventario prima della svendita.
... la mia intenzione era di descrivere un caso di isterismo religioso” (Ingmar Bergman nel suo libro-diario Immagini
Uno dei film più angosciosi e sconvolgenti sulla follia.
Ancora una volta co-artefice del capolavoro bergmaniano Sven Nyquist e la sua meravigliosa fotografia in bianco&nero, ma a ...colori.
Oscar 1962 per il miglior film straniero.
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blackredblues
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venerdì 16 settembre 2011
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c'erano il bianco e il nero. e poi venne il grigio
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Troviamo (in nuce) molti temi cari a Bergman. Donna/bambina, affetta da schizofrenia, dissolve i suoi contorni in un incubo che si fà realtà ed una realtà che si fà incubo. Partecipi del suo delirio, anche se meno consapevoli di ciò (so che potrebbe sembrare paradossale ma credo sia così): il fratello, il marito ed il padre. L'ambientazione è quella di un'isola, la spiaggia, il mare, finestre e tende che celano l'inesprimibile (così ben espresso!) prorpio come in un altro grande film del regista quale è Persona (quest'ultimo però è più sintetico ed audace nello sperimentare, scevro di manierismo).
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Troviamo (in nuce) molti temi cari a Bergman. Donna/bambina, affetta da schizofrenia, dissolve i suoi contorni in un incubo che si fà realtà ed una realtà che si fà incubo. Partecipi del suo delirio, anche se meno consapevoli di ciò (so che potrebbe sembrare paradossale ma credo sia così): il fratello, il marito ed il padre. L'ambientazione è quella di un'isola, la spiaggia, il mare, finestre e tende che celano l'inesprimibile (così ben espresso!) prorpio come in un altro grande film del regista quale è Persona (quest'ultimo però è più sintetico ed audace nello sperimentare, scevro di manierismo).
La rassegnazione di un padre con gli occhi freddi come quelli di una ragno troppo impegnato a cercare un'egoistica e onanistica realizzazione letteraria, un marito medico ormai relegato al ruolo di spiacevole intralcio che le impedisce di vivere il delirio in modo 'sano' e totalizzante. Infine un fratello molto giovane, carico di incertezze e spinto da una forte curiosità per un sesso non ancora agito con una controparte. Per ovviare a questa e probabilmente ad altre voglie familiari si presterà la schizofrenica Karin adossandosi lucidamente il peso del gesto. Una volta andata via dall'isola non rimarà che una 'nuova scomoda realtà' in cui padre e figlio saranno lasciati soli con se stessi.
La fotografia ed il bianco e nero (e grigio) sono artisticamente esaltanti ma sempre finalizzati al racconto di una dimensione emotiva.
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eugenio
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domenica 27 giugno 2010
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inferni
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Primo film della trilogia sulla ricerca di Dio, cui seguiranno "Luci d'inverno" e "Il Silenzio", "Come in uno specchio" costituisce la summa del pensiero di Bergman sui grandi nodi della vita: la malattia, l'unità familiare, il fine dell'arte, il raggiungimento dell'infinito e della trascendenza, il senso del dolore.
Non solo tematiche archetipe; il film, rivela una forte matrice autobiografica che emerge sin dal titolo: lo specchio,infatti, rappresenta per antonomasia la maschera, l'apparenza, quel senso di doppiezza, caro alle tradizioni espressioniste, che ha sempre riscontrato in se' il regista.
Il suo alter ego,che ha le parvenze di Gunnar Bjornstrand, rappresenta un padre intellettuale, poeta che ha sacrificato l'aspetto personale della sua esistenza, l'amore per la poesia e l'arte, ai suoi due figli, Minus e Karin.
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Primo film della trilogia sulla ricerca di Dio, cui seguiranno "Luci d'inverno" e "Il Silenzio", "Come in uno specchio" costituisce la summa del pensiero di Bergman sui grandi nodi della vita: la malattia, l'unità familiare, il fine dell'arte, il raggiungimento dell'infinito e della trascendenza, il senso del dolore.
Non solo tematiche archetipe; il film, rivela una forte matrice autobiografica che emerge sin dal titolo: lo specchio,infatti, rappresenta per antonomasia la maschera, l'apparenza, quel senso di doppiezza, caro alle tradizioni espressioniste, che ha sempre riscontrato in se' il regista.
Il suo alter ego,che ha le parvenze di Gunnar Bjornstrand, rappresenta un padre intellettuale, poeta che ha sacrificato l'aspetto personale della sua esistenza, l'amore per la poesia e l'arte, ai suoi due figli, Minus e Karin. Ed è proprio sulla figura di quest'ultima,interpretata da una bravissima Hariett Anderson (definita dalla stesso Bergman un regalo per il cinema) che è incentrata la pellicola. La ragazza, schizofrenica, "in continuo passaggio tra due mondi" (follia e realtà),come da lei stesso affermato, è ossessionata dall'immagine di una porta, oltre la quale crede debba manifestrasi la voce di Dio, un Dio di cui ella è convinta si unirà a lei e diventerà un tutt'uno con la sua anima.
A questo personaggio, il regista affianca, nell'evolversi del film, tre importanti figure: Minus, fratello di Karin, legato alla fanciulla da un rapporto quasi incestuoso cercando in esso un'affettività ancestrale mai donatagli dal padre, il marito, Martin, dalla fredda mente razionale sofferente e incapace di aiutare la moglie durante le sue acute crisi e il padre,David,tentato suicida,definito dal genero durante la famosa scena della gita in barca, "un essere perverso e insensibile", una persona che in ogni cosa ha sempre visto il suo io, non avendo idea di cio' che la vita potesse offrire, al di la' della scrittura.
Padre, fratello e marito, costituiscono dunque una triade di un inferno di strinberghiana memoria, personaggi quasi incapaci di provare sentimenti, indifferenti e atarassici, il cui torpore sara' risvegliato solo dal delirio finale della ragazza, la quale riuscirà a vedere il Creatore.
La manifestazione di un Dio bestiale (dalle fattezze di ragno) possessore e violentatore contrapposto a quelle di un Dio sublime di eterea bellezza ricercato dalla giovane donna, ribadisce il tema della doppiezza, dell'instabilità ma anche quello del contrasto tra amore e calvario/sofferenza. Attraverso il dramma di Karin, i protagonisti capiscono una semplice filosofia: Dio è amore e Amore è Dio. Di conseguenza, come affermato da Minus nella scena liberatoria finale col padre, anche Karin, poiche' è circondata dall'amore della famiglia, è anche una persona amata da Dio.
Religione,dramma e famiglia, unite a un sapiente uso del bianco e nero, si fondono gioisamente in questo film, vincitore del premio Oscar nel 1961, trasmettendo allo spettatore un senso d'angoscia e drammaticità. Forse, Polanski nel 1965, ai tempi di Repulsion, seppur mosso da scopi e intenti diversi, si ispiro' alla figura di Karin nella caratterizzazione psicologica di Carol Ledoux;entrambe dalle movenze allucinate, entrambe con un angelico quanto instabile e stanco sorriso.
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lucy
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venerdì 17 novembre 2006
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grande film
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visto di notte fà ancora più effetto
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francesco spaghetti
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sabato 15 aprile 2006
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non ho capito
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Non ho capito niente ma stava un film bellissimo pero un po bruto. Non voglio dire che la storia stava difficile da capire ma lo stava. E una buona idea di andare a verderlo ma non ci andate ! bacione.
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biagio
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lunedì 25 luglio 2005
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da non perdere o da rivedere
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Questo film di Bergman uscito nel 1962 è uno dei più autobiografici del regista svedese. La pellicola rappresenta soprattutto un’originale chiave di lettura del senso religioso legato alla follia.
L’opera ha uno svolgimento delle parti visive e verbali ben equilibrato. Inoltre le idee letterarie nell’insieme sono efficaci e ricche di sottigliezze. Il film si avvale anche della musica di Bach che svolge una parte di rinforzo del significante filmico con notevoli risultati di rilievo estetico. Bergman riesce a mettere in luce con dovizia di particolari alcuni importanti nodi psicologici dei personaggi evidenziandone con bravura i relativi approdi di trasformazione esistenziale e comportamentale.
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Questo film di Bergman uscito nel 1962 è uno dei più autobiografici del regista svedese. La pellicola rappresenta soprattutto un’originale chiave di lettura del senso religioso legato alla follia.
L’opera ha uno svolgimento delle parti visive e verbali ben equilibrato. Inoltre le idee letterarie nell’insieme sono efficaci e ricche di sottigliezze. Il film si avvale anche della musica di Bach che svolge una parte di rinforzo del significante filmico con notevoli risultati di rilievo estetico. Bergman riesce a mettere in luce con dovizia di particolari alcuni importanti nodi psicologici dei personaggi evidenziandone con bravura i relativi approdi di trasformazione esistenziale e comportamentale.
David è un romanziere svedese di successo. Ha la figlia (Karin) affetta da problemi di follia schizofrenica. Lo stato clinico della malattia è complesso. La donna vive lunghe crisi psicotiche ravvivate da raffinate allucinazioni. Nei periodi di lucidità è dominata da forti pulsioni di odio. Di quest’ultimo il film preciserà il senso. Il padre dopo una prolungata e vile assenza coglie l’occasione delle vacanze estive per dialogare con Karin e il resto della famiglia. Le scene si svolgono in un’isola del mar Baltico. Nel film gli elementi culturali del pensiero si accoppiano in modo armonioso e brillante con la significazione della sceneggiatura dando forza al tema centrale della follia. Questi elementi culturali sono costituiti da alcune questioni esistenziali e psicologiche molto presenti nel ’62. Troviamo il tema dell’amore sublime che Bergman compara ad una raggiunta armonia familiare e a un contatto non privilegiato con l’essenza di Dio. Interessante anche il desiderio dell’incesto tra fratelli che il regista interpreta in questo caso lungo il versante della storicità delle pulsioni. L’incesto nel film appare come una reazione trasgressiva e vendicativa all’assenza e all’irresponsabilità di un padre. Anche la ricerca religiosa trova nel film molta attenzione. In questa opera la ricerca religiosa viene vista da un’angolazione inedita: Bergman la considera come un pretesto dell’inconscio teso a risolvere, da una prospettiva più di copertura dei ricordi, i problemi delle principali angosce terrene. Il film ha incontrato sia il favore della critica che quello del pubblico. Quest’ultimo in gran parte è stato molto attento a cogliere la significazione più filosofica dei conflitti.
La critica ha analizzato questo film in modo contradditorio ma con forte interesse. Una parte di essa, probabilmente quella più legata alla teoria linguistica del cinema anziché alla psicanalisi, ha considerato il tema della follia, così come è stato rappresentato, sconvolgente. Un’altra parte più vicina alla cultura psicanalitica ha valutato la schizofrenia di Karin in modo più enigmatico evidenziandone soprattutto le ambiguità, cioè quei meccanismi psichici tesi a vivere con passione le diverse componenti del proprio sé in particolare durante lo stato di sogno. Un sogno che si svolge in un contesto d’amore rassicurante: una regressione ricca di poesia? Entrambe le parti critiche sono giunte a conclusioni valutative molto precise e positive ed il film è divenuto subito oggetto di proposte per riconoscimenti prestigiosi. Riconoscimenti che poi ha avuto. Ne è un esempio l’assegnazione dell’Oscar come miglior film straniero.
Il tema più psicanalitico del film riguarda invece l’ambiguità dei confini tra sogno e realtà nella schizofrenia di Karin. Il sogno, la crisi psicotica sembrano occupare troppi spazi della realtà. Perciò la realtà in questo caso è più sul versante della verità storica. Cioè preda dell’inconscio. La psicosi sembra occludere tutte le zone percettive del reale. La realtà è dominata dall’inconscio, paragonabile, come il titolo del film suggerisce, al riflesso di un antico specchio metallico che rimanda solo immagini opache ( 1 Corinzi 13:12).
Il reale sembra farsi sogno, incubo, qualcosa che è impossibile vivere con il sostegno dell’amore. Il sogno, considerato nell’accezione freudiana di meccanismo psichico che elabora un desiderio inconscio per rappresentarlo come appagato, trova nel film un ulteriore rilancio teorico. Il film paradossalmente sembra voler dare al sogno psicotico una valenza di “principio di realtà” superiore, per via di qualcosa di incompiuto che esige soddisfazione passando attraverso l’attività onirica. I brandelli di realtà che karin può ancora vivere con lucidità razionale sono praticamente dominati da angosce e da un’idea di incesto con il fratello Minus associata a una sua pratica.
Come dire che il reale è dominato da un’altra forma di sessualità. Generosa verso il fratello Minus che ha grosse difficoltà di relazione con le donne e trasgressiva nei confronti del marito e del padre con cui Karin ha rapporti ambivalenti di odio e amore.
La svolta decisiva del racconto avviene quando Karin legge il diario segreto del padre.
Karin rimane molto delusa da ciò che legge. Nel diario scopre le reali intenzioni del padre. Quelle maturate durante la sua malattia. Egli pur di sfuggire al gravissimo stato senza speranza della figlia decide cinicamente di sfruttare la malattia della figlia. Cerca allora di capire freddamente la struttura dei sintomi della figlia per trarre dal loro studio conoscenze culturali e scientifiche utili alla sua attività di intellettuale.
Karin dopo l’incesto decide di ritornare all’ospedale psichiatrico e confesserà di non avere più le energie per passare da uno stato psichico normale ad uno alterato. Come se il passaggio dalla realtà al sogno psicotico comportasse un impegno rimuovente dell’odio che anima il suo reale. Come se Karin dovesse riconquistare faticosamente, all’approssimarsi della crisi, la rassicurazione assistenziale da parte di chi le sta vicino e la certezza del loro amore. Karin deve dimostrare in qualche modo che non odia il padre e il marito e lo fa prima dell’arrivo della crisi seducendoli con le sue visioni religiose.
La donna sceglierà con decisione l’isolamento dal reale. Karin preferirà il sogno. Il piacere della psicosi vissuta con accanto le persone della sua famiglia che la amano tanto.
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