luca scial�
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martedì 12 marzo 2013
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quei grisbi fatali
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Due gangster raffinati mandano in porto uno straordinario colpo, rubando ben 8 lingotti d'oro, chiamati in gergo "grisbi". Uno di loro, Max, vuole convincere l'altro di chiudere lì la carriera, ormai stanco e non più giovane. Ma devono rimettersi all'opera. Una band rivale vuole entrare in possesso dei Grisbi.
Raramente un film sui gangster è raffinato, posto sui binari della commedia con un finale drammatico. Jacques Becker traspone in modo impeccabile un omonimo romanzo del 1953, di Albert Simonin. La classe di Jean Gabin propone un protagonista di classe e sciupafemmine, ma spietato quando serve.
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carloalberto
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giovedì 9 settembre 2021
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il tramonto di un''epoca
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A metà degli anni cinquanta la mala francese non è più relegata esclusivamente nei bassifondi parigini, ha fatto i soldi con la droga e gestisce night e ristoranti ben frequentati dalla classe media e abita in lussuosi appartamenti del centro. I due protagonisti sono banditi imborghesiti che pensano di essere oramai troppo vecchi per quel tipo di vita ed immaginano di ritirarsi da tranquilli pensionati del crimine per godersi il bottino dell’ultimo colpo, il grisbì. Immagino che Jacques Becker con questo film volesse realizzare non soltanto un noir drammatico ma anche denunciare il salto di qualità della criminalità organizzata in Francia nel dopoguerra.
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A metà degli anni cinquanta la mala francese non è più relegata esclusivamente nei bassifondi parigini, ha fatto i soldi con la droga e gestisce night e ristoranti ben frequentati dalla classe media e abita in lussuosi appartamenti del centro. I due protagonisti sono banditi imborghesiti che pensano di essere oramai troppo vecchi per quel tipo di vita ed immaginano di ritirarsi da tranquilli pensionati del crimine per godersi il bottino dell’ultimo colpo, il grisbì. Immagino che Jacques Becker con questo film volesse realizzare non soltanto un noir drammatico ma anche denunciare il salto di qualità della criminalità organizzata in Francia nel dopoguerra.
Gabin è il solito Gabin, gli basta una smorfia e un mezzo sorriso per caratterizzare il suo personaggio, un burbero dal cuore d’oro che non esita a sacrificare il malloppo, che gli avrebbe cambiato la vita, per salvare il suo vecchio amico di sempre, forse l’unico, nonostante lo reputi un incapace che gli ha procurato soltanto guai come sodale nella sua carriera di malavitoso.
Debutto sul set di un giovane Lino Ventura, nella parte di un gangster spietato e senza scrupoli, che rappresenta la nuova delinquenza che traffica in cocaina, messa a confronto con la vecchia guardia della malavita, che ha un suo codice d’onore e perfino una certa eleganza, impersonata da Gabin, che, come massima espressione di violenza, elargisce quattro sonori ceffoni a chi l’ha tradito, salvo poi imbracciare il mitra per fare piazza pulita di chi minaccia di mandare all’aria i suoi progetti ed al contempo mette in pericolo la vita del suo amico.
A differenza del criminale interpretato da Ventura, Gabin sa cosa significa l’amicizia, un sentimento che non esiste più tra i delinquenti della nuova generazione, che pensano soltanto a far denaro, costi quel che costi, e la pone in cima alla sua scala personale dei valori, subito dopo l’amore per il gentil sesso.
Becker, quindi, rappresenta simbolicamente il tramonto di un’epoca, in cui anche i delinquenti potevano essere, a loro modo, dei galantuomini, attraverso la storia di due uomini sul finire della loro esistenza, di cui uno morirà, proprio per mano del nuovo crimine, e l’altro dovrà cambiar pelle reinventandosi una vita da tranquillo borghese.
In piccoli ruoli si notano due attori italiani ai loro inizi inizi, Vittorio Sanipoli e Delia Scala.
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