Vita di O-Haru, donna galante |
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Un film di Kenji Mizoguchi.
Con Kinuyo Tanaka, Ichiro Sugai, Toshirô Mifune
Titolo originale Saikaku Ichidai Onna.
Drammatico,
b/n
durata 148 min.
- Giappone 1952.
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Vita di una donna, allegoria di un mondodi Paola Di GiuseppeFeedback: 25414 | altri commenti e recensioni di Paola Di Giuseppe |
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giovedì 22 luglio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“La vita di una mondana” di Saikaku è la fonte letteraria di Vita di O-Haru donna galante,ma per Mizoguchi c’è una storia molto più vera,la sua infanzia e il padre, piccolo artigiano del distretto di Hongo a Tokyo,ridotto in miseria e costretto a vendere Suzu,la figlia quattordicenne, come geisha. La genesi poetica del mondo di Mizoguchi è stata sempre rintracciabile nelle radici di una vicenda biografica emblematica per la rappresentazione di una società e di una cultura. Quel suo ambientare le vicende nel passato feudale è,in realtà,un trasferirle verso un mondo apparentemente fuori dal tempo,in una dimensione che non appartiene a nessun genere definibile,non è epos e non è favola,non è storia né mito. Mizoguchi Kenji crea una realtà nuova,come nota Jacques Rivette “Egli sembra essere l'unico regista giapponese che è completamente giapponese, eppure è anche l'unico che realizza una vera universalità, quella di un individuo”. Ha visto la bruttezza della vita e l’ha rappresentata nei suoi film, ha costruito splendide allegorie ponendo al centro la figura femminile,sapendo che solo in essa poteva riscoprire la bellezza nascosta sotto la brutalità,il dono di sé totale in un mondo di uomini avidi e spietati,la dignità che sopravvive intatta anche nell’inferno in cui il potere relega le sue vittime. La vita di O-Haru è un racconto sconsolato,che si snoda in un lungo flash back e torna,in chiusura,in quel tempio dove l’ex cortigiana reale,ora prostituta segnata dagli anni nel viso affilato e nelle occhiaie profonde,si è sentita attratta da suoni che tessono per tutta la durata del film una rete sonora fortemente evocativa, attingendo ad un repertorio di musicalità tradizionale che incide fortemente nel linguaggio filmico. Fra le numerose immagini allineate come numi tutelari nel tempio, O-Haru rintraccia le sembianze di Katsunosuche,l’unico uomo che l’abbia amata e che lei amava. La legge degli uomini si è abbattuta su di loro,colpevoli di appartenere a caste diverse,con la katana che ha tagliato la testa di Katsunosuche e la caduta di O-Haru non ha più avuto fine. Per la ripresa di lei che oltrepassa il ponte, costretta all’esilio con la famiglia, la macchina è posta sotto un’arcata,così da relegare la scena in un triangolo angusto di ombre che man mano si restringono. La vita continuerà a stringersi intorno all’esile O-Haru,sembra non esserci fine alle sue disgrazie,ma regolarmente Mizoguchi ci pone di fronte ad una chiara individuazione di responsabilità sociali ed individuali,nulla che si possa attribuire al destino cieco. La storia di O-Haru è fatta di tante tappe, si trasforma e cambia secondo gli stilemi inconfondibili di una drammaturgia che mette a fuoco i caratteri nei gesti e nella vocalità, apre e chiude porte e pannelli,fa attraversare la scena creando spostamenti temporali, progetta un ambiente che è teatro dell’azione e insieme racconto e commento,ogni parola diventa spazio, ogni gesto tempo. Il ritmo predilige il passo lento,lo sguardo indugia spesso sui particolari con gusto pittorico e organizza lo spazio scenico con rigore geometrico, mentre dispone oggetti e persone con evidenza plastica. Opera di vigore doloroso nell’implacabile susseguirsi di ingiustizie,capace di comunicare un senso di disperazione profonda nel ritratto devastante di una donna portata alla rovina da regole a cui nessuno sembra voler opporsi,è l’allegoria di una condizione femminile certo estrema, ma solo in apparenza anacronistica.
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