Il fiore del male |
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Un film di Claude Chabrol.
Con Nathalie Baye, Benoît Magimel, Suzanne Flon, Bernard Le Coq
Titolo originale Le Fleur du mal.
Drammatico,
durata 104 min.
- Francia 2002.
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Chabrol e la Provincia non stanca mai (lui e noi)di luigimFeedback: 0 |
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venerdì 21 aprile 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
E' un po' di anni che Chabrol sembra essere ritornato al suo cavallo di battaglia: l'intreccio giallo dal sapore irresistibilmente noir gettato nel classico groviglio di vipere della borghesia medio-alta della provincia francese. A dire il vero, si ha l'impressione che il regista transalpino abbia già girato questo film, ma ogni volta ci aggiunge quel qualcosa che lo distingue da quello precedente: è come guardare uno stesso paesaggio attraverso filtri ogni volta diversi, approfondendo quell'analisi di cui Bunuel era stato maestro. Stavolta lo fa mettendo in scena una storia che, lo dice una battuta del film, "come in un romanzo di Zola", ricorda straordinariamente le vicende dei Rougon-Macquart: come la dinastia zoliana ereditava continuamente la tara dell'alcolismo, gli Charpin-Vasseur si portano dietro quella degli amori incestuosi e dei delitti macabri, tanto che, sia l'innamoramento tra François e Michele che l'assassinio del patrigno da parte di lei sono quasi predestinati. Anche se il film si apre come un giallo, per il delitto iniziale di cui lo spettatore diviene testimone oculare (conoscendo la verità per la sua evidenza ma quasi rigettandola egli stesso), e per la struttura circolare che presenta (un morto all'inizio ed un morto alla fine, accomunati dal carattere aggresivo, cattivo, traditore che li contraddistingue, ed entrambi vittime di omicidi "giustificati"), non è proprio un giallo. Stonerebbero, altrimenti, le numerose sentenze snocciolate qua e là (sugli americani, il tempo, la menzogna ed i legami di quest'ultima con la civiltà), l'irresistibile humour nero (emblematica la scena in cui la vecchia Suzanne Flon e la nipote si lasciano scappare un'animosa risata mentre trascinano un cadavere su per le scale) e il peso dato alle chiacchiere del paese (si veda l'episodio del volantino, tra l'altro rimasto irrisolto, e la scena della propaganda elettorale nel condominio di periferia). Chabrol si conferma un regista raffinato: dietro ogni ripresa (tutte stupende) si nasconde un significato, a volte palese a volte nascosto, tranne nei casi in cui un'inquadratura è giustificata soltanto da un mero gusto per il bello cinematografico. Inoltre è diventato anche straordinariamente attento alla psicologia e si lascia andare spesso a disquisizioni di sapore freudiano; ma è comunque azzardato tentare di ravvisare un suo possibile alter ego nel personaggo di Mélanie Doutey. A proposito della Doutey, la sua freschezza e la sua bellezza candida ammaliano quasi quanto la perfezione delle immagini. Dunque, Chabrol merita un plauso oltre che per la maestria registica, anche per la scelta degli attori, tutti bravi, a partire dalla già citata veterana Flon.
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