leonardo granatiero
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martedì 8 agosto 2006
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la vita come forma di recitazione quotidiana
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La vita è solo un'apparenza e, pertanto, le persone, etimologicamente parlando, non sono altro che maschere.
Ma quale è la "realtà" delle cose?
Forse fingere ad oltranza. Diventare protagonisti della propria esistenza a colpi di menzogna, come se si fosse sempre sul palco e con i riflettori accesi.
Inventare, desiderare. Giocare con gli altri. Muoverli come se fossero delle marionette. Pedine da spostare.
Ma la vita riesce a fare a meno di noi. Si compie anche altrove; e quando un protagonista viene scavalcato, il sorriso teatrale si trasforma in una semplice smorfia. In una tragica forma di dolore.
Forse, quindi, è inevitabile dire solo la verità?
Ma se palesare le cose come stanno è inutilmente distruttivo, che significato ha questa "realtà-delle-cose"?
Una dimensione sfacciata, che, per non essere ipocrita, si permette di destabilizzare gratuitamente la vita "altrui", quasi con la cattiveria di chi vuole riprendere la propria rivincita sul male subito.
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La vita è solo un'apparenza e, pertanto, le persone, etimologicamente parlando, non sono altro che maschere.
Ma quale è la "realtà" delle cose?
Forse fingere ad oltranza. Diventare protagonisti della propria esistenza a colpi di menzogna, come se si fosse sempre sul palco e con i riflettori accesi.
Inventare, desiderare. Giocare con gli altri. Muoverli come se fossero delle marionette. Pedine da spostare.
Ma la vita riesce a fare a meno di noi. Si compie anche altrove; e quando un protagonista viene scavalcato, il sorriso teatrale si trasforma in una semplice smorfia. In una tragica forma di dolore.
Forse, quindi, è inevitabile dire solo la verità?
Ma se palesare le cose come stanno è inutilmente distruttivo, che significato ha questa "realtà-delle-cose"?
Una dimensione sfacciata, che, per non essere ipocrita, si permette di destabilizzare gratuitamente la vita "altrui", quasi con la cattiveria di chi vuole riprendere la propria rivincita sul male subito.
Ecco, allora, Alida Valli: la seduzione è un'arte di perpetua simulazione e dissimulazione. Mentire come se si giurasse; giurare come se si mentisse.
Rimanere distanti. Lasciare tutti con il fiato sospeso, fra lacrime che sanno di malinconica felicità e sorrisi amari ed ambiguamente indecifrabili.
L'enigma dell'animo umano. Questo viene richiesto dal pubblico e questo avrà.
Parole fasulle urlate a squarciagola e verità sussurrate appena a se stessi. Sentimenti svelati solamente da un labbro morso o da uno scatto nervoso malcelato.
Tuttavia il cinema di Giuseppe Bertolucci non è solo un teorema. Un saggio filosofico. Anche un dialogo di immagini mute a cui bisogna abbandonarsi fra suoni e colori, fra dettagli e primissimi piani alienanti.
Il cinema riflette su se stesso.
Ma la vita è un'altra cosa?
leonardo granatiero
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[+] ottima recenzione leonardo!!!
(di lol)
[ - ] ottima recenzione leonardo!!!
[+] ottima per davvero!!
(di francesco2)
[ - ] ottima per davvero!!
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francesco2
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domenica 10 luglio 2011
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il cinema, probabilmente. forse.
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Quando anni fa Rohmer si era accostato all'uso del digitale, ci si era -O forse no- stupiti della maturità con cui nella "Nobildonna e il duca" il già ottantenne cineasta francese aveva scelto uno strumento più consono, teoricamente, per i suoi nipoti.
Per un puro caso, "L'amore probabilmente" uscì nei nostri cinema dieci anni fa, proprio come il film appena citato. Giuseppe Bertolucci, il cui film precedente -Che non ho visto- "Il dolce rumore della vita"aveva pare un'impostazione già curiosa, non da tutti apprezzata, pare interessato a queste nuove tecniche per (rac)cogliere frammenti di vita e teatro: quando in un'opera si fondono -Per essere molto sintetici- vero e falso, recitato e vita vera (Sempre che siano sempre contrapposti, ed è questo banalizzando abbastanza uno dei temi del film)uno sguardo ed un sorriso particolarmente grotteschi, sottolineati talora con qualche leziosaggine di troppo, suggeriscono non tanto che Bertolucci non crede nel suo lavoro, quanto che i suoi attori, nello spettacolo ed a volte nella vita, sono i primi a non credere in categorie come "La verità", "Il reale", "L'omogeneità".
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Quando anni fa Rohmer si era accostato all'uso del digitale, ci si era -O forse no- stupiti della maturità con cui nella "Nobildonna e il duca" il già ottantenne cineasta francese aveva scelto uno strumento più consono, teoricamente, per i suoi nipoti.
Per un puro caso, "L'amore probabilmente" uscì nei nostri cinema dieci anni fa, proprio come il film appena citato. Giuseppe Bertolucci, il cui film precedente -Che non ho visto- "Il dolce rumore della vita"aveva pare un'impostazione già curiosa, non da tutti apprezzata, pare interessato a queste nuove tecniche per (rac)cogliere frammenti di vita e teatro: quando in un'opera si fondono -Per essere molto sintetici- vero e falso, recitato e vita vera (Sempre che siano sempre contrapposti, ed è questo banalizzando abbastanza uno dei temi del film)uno sguardo ed un sorriso particolarmente grotteschi, sottolineati talora con qualche leziosaggine di troppo, suggeriscono non tanto che Bertolucci non crede nel suo lavoro, quanto che i suoi attori, nello spettacolo ed a volte nella vita, sono i primi a non credere in categorie come "La verità", "Il reale", "L'omogeneità". Se secondo la vulgata comune (ma forse non solo) il comico una volta smessi i suoi panni è triste o quantomeno malinconico, il personaggio della Bergamasco non cessa mai quella contaminazione costante tra "Palco e realtà" iniziata con la Melato, dove chi lavori si diverte a fingere (O soprattutto, come fa notare la Melato stessa, è chi si diverte che finge di lavorare).
Colpisce allora l'atteggiamento dissacrante del regista, interessato a fare notare come per la protagonista recitare diventi una scelta non perché voglia ferire o non esca dai suoi personaggi, ma perché convinta che siamo costantemente condamnnati a vivere in bilico tra verità e menzogna. Scoprire l'amore tra i due suoi amici rafforza questa supposizione.
Nel secondo episodio si esplorano(?) teoricamente gli aspetti grotteschi dell'opposto della menzogna, IL COLORE DELLA VERITA', come avrebbe detto il maestro Chabrol. Ma Bertolucci sconfesserebbe quella mancanza di manicheismo morale ed artistico che, seppure con un uso non sempre indispensabile delle nuove tecnologie, aveva evidenziato senza proclami. Fingere e non fingere sono sempre più interdipendenti, perché la giovane ha letto in un treno un articolo in cui la Melato stessa compie un'elogio della dimensione stanislavskiana dell'attore, ed anzi sostiene che l'attore è sempre sé stesso. Dunque è disgustosamente -Nel senso letterale- sincera con la moglie di un ferroviere con cui ha "Amoricchiato"(O forse no?) Tutto questo però svanisce spesso in una lentezza pseudo-artistica che rischia seriamente di fare evaporare i discreti risultati della prima parte.
Nell'ultima, "L'illusione", legata all'ingenuità dell'artista, si cade in certe macchiette di veline &C,, ma si realizza un omaggio al cinema lontano dai Noiret e dai paesini siciliani, un elogio poetico della "Finzione" nella sua non smielata dolcezza, lontani ma non sempre dall'umorismo sardonico prima espresso. Senza rinunciare a giocare (Bene) col digitale, in una dimensione ancora "A metà",: i personaggi parlano lingue diverse, (con) fondono la recita con le piccole frustrazioni reali, come anche i sentimenti col risvolto professionale.
per quanto un pò furbo e gigione, e con una seconda parte che era meglio eliminare, un film provocatorioed anticonformista, dove il cinema di casa nostra và oltre il
suo ombelico noiosamente paffuto.
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