salvonastasi
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lunedì 27 dicembre 2010
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l'uomo ridotto a bestia religiosa.
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Recensire questo monumento della cinematografia moderna, italiana ed europea richiede ingegni e sensibilità ben più alti delle mie. Tuttavia, la tragedia sessuale dell'uomo moderno, bestia abbandonata ai propri impulsi, nella solitudine, nella povertà, nell'abbandono estremo del meridione più profondo è la cosa che da subito ci sbatte in faccia questo film.
Le smorfie di dolore misto a estasi, della maschera sfigurata di Minico mentre oscilla a pantaloni calati sulla statua della Madonna, il tutto amplificato dalla perfetta simbiosi di musica,fotografia e moviola è una delle scene che si consegnano agli annali.
Il fatto che quest'uomo non sia un attore poi, rende il tutto ancora più atrocemente sconcertante.
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Recensire questo monumento della cinematografia moderna, italiana ed europea richiede ingegni e sensibilità ben più alti delle mie. Tuttavia, la tragedia sessuale dell'uomo moderno, bestia abbandonata ai propri impulsi, nella solitudine, nella povertà, nell'abbandono estremo del meridione più profondo è la cosa che da subito ci sbatte in faccia questo film.
Le smorfie di dolore misto a estasi, della maschera sfigurata di Minico mentre oscilla a pantaloni calati sulla statua della Madonna, il tutto amplificato dalla perfetta simbiosi di musica,fotografia e moviola è una delle scene che si consegnano agli annali.
Il fatto che quest'uomo non sia un attore poi, rende il tutto ancora più atrocemente sconcertante.
La girandola di immagini e voci che si accavallano nel sonno inquieto di Paletta e da questo lo strappano per gettarlo nell'azione, nell'azione compulsiva del sesso, della volontà di annientamento nel sesso, unico desiderio ormai rimasto e possibile, anche se il destino di morte e vendetta è già assicurato e lui lo sa, è quanto di più straziante si può concepire.
La pioggia battente e le risa convulse degli altri clienti in attesa della Trummatura, a megghiu pulla, mentre lo deridono impietosamente, sono tutte raccolte nello sguardo chino e senza speranza di chi non ha mai conosciuto altro che la sconfitta e la derisione, metafora intera di un sud prono a ogni ingiustizia, a ogni crudeltà.
La storia di un ennesimo povero cristo che per sfuggire la fame e la solitudine della sua ignoranza è pronto ad accoppiarsi col primo omosessuale che il suo amico checca li presenta, è impagabile,oltre che essere smodatamente divertente.
"Rapiti i feddi ro culo, luce dei miei occhi" è un'altra frase fantastica, che accosta, col gusto del grottesco tutto meridionale, il romanticismo più sognante alla carnalità più bestiale.
Davanti al Cristo più apatico della storia dei cristi poi non si può che spanciarsi dalle risate ammirati.
Parodia sopraffina. Perfetta consegna al non senso che gli spetta, la storia di uno che "fu incaricato" evidentemente contro ogni suo parere.
In sintesi, obbligo di vedere e rivedere questo film, per tutti.
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paolo 67
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sabato 19 novembre 2011
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il bianco-nero della condizione umana
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Diceva Marco Ferreri, il regista più anarchico del cinema italiano, che per combinare qualcosa bisogna riportare l'uomo allo stato brado, al livello animale (lo pensava anche Dino Risi): Ciprì e Maresco sono i registi che sono andati più all'estremo nella loro polemica contro una società non soltanto siciliana per la quale nutrono un dichiarato profondo disprezzo. La loro arte è quella laica e libera che periodicamente ha fatto scandalo (vedi "La dolce vita" di Fellini o i film di Pasolini) e che secondo pareri autorevoli di intellettuali e perfino di magistrati può avere un significato salutare. Le battaglie, in genere vittoriose, del cinema contro la censura hanno dimostrato che l'arte può fiorire solo nella libertà: il caso politico di questo film fu l'abolizione della norma sul divieto assoluto di visione che la competente commissione di primo grado aveva per l'ultima volta decretato (anche se prima dell'approvazione del disegno di legge la commissione d'appello aveva già dato il nulla osta col divieto ai minori di 18 anni).
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Diceva Marco Ferreri, il regista più anarchico del cinema italiano, che per combinare qualcosa bisogna riportare l'uomo allo stato brado, al livello animale (lo pensava anche Dino Risi): Ciprì e Maresco sono i registi che sono andati più all'estremo nella loro polemica contro una società non soltanto siciliana per la quale nutrono un dichiarato profondo disprezzo. La loro arte è quella laica e libera che periodicamente ha fatto scandalo (vedi "La dolce vita" di Fellini o i film di Pasolini) e che secondo pareri autorevoli di intellettuali e perfino di magistrati può avere un significato salutare. Le battaglie, in genere vittoriose, del cinema contro la censura hanno dimostrato che l'arte può fiorire solo nella libertà: il caso politico di questo film fu l'abolizione della norma sul divieto assoluto di visione che la competente commissione di primo grado aveva per l'ultima volta decretato (anche se prima dell'approvazione del disegno di legge la commissione d'appello aveva già dato il nulla osta col divieto ai minori di 18 anni). Nel degrado di una Palermo dominata dalla mafia il cui clima oppressivo era reso in maniera straordinaria dalla fotografia di Luca Bigazzi, si muovevano in un clima allucinato e apocalittico i personaggi della rubrica "cinico tv" che li rese celebri se non mitici, specialmente tra i giovani. Con immagini di straordinaria forza visionaria, Ciprì e Maresco disegnavano le figure di un girone dantesco, tra la tragedia e la vignetta satirica. In "Totò che visse due volte" già dai titoli di testa si avverte il senso di un'altro mondo, come nel "Satyricon" felliniano. Qualcosa ricorda "2001", oltre a Pasolini. L'ironia nel sacro rimanda invece a Bunuel. L'evidenza della rappresentazione (con momenti decisamente teatrali) costituisce l'umiltà di un film che rispetta il sacro, che sa rendere in maniera scandalosa. Momenti di cinema nero e horror si alternano con quelli surreali, con svolte nella vignetta comica. A volte il film ha la forza espressiva del cinema muto, e alcune composizioni fotografiche hanno una grande bellezza pittorica. Di una libertà fino allo sperimentalismo, il film, in tutta la sua sgradevolezza, riesce a rivelare lo stato magico della realtà come capita solo ai capolavori altissimi (Rossellini ad esempio) anche se rivela un'umanità che può essere riscattata (come avveniva in Pasolini) solo dalla gratuità della grazia, malgrado la propria scelleratezza.
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'mox'
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lunedì 1 agosto 2011
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blasfemia grottesca per un film di culto
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I film di Ciprì e Maresco sono in bianco e nero, e così pure i giudizi su di essi: o li ami o ti disgustano, bianco o nero. Difficile trovare una via di mezzo.
Totò che visse due volte è composto da tre episodi: il primo racconta l'esistenza miserabile di Paletta, segnata dalle persecuzioni dei compaesani e dalla frustrazione sessuale; il secondo la storia d'amore fra due grotteschi pederasti; il terzo è un'originale rilettura del personaggio di Gesù, che fa risorgere Lazzaro dall'acido in cui un boss mafioso l'aveva fatto sciogliere. Sullo sfondo una Sicilia sprofondata nel degrado, in cui nulla si sottrae allo schifo.
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I film di Ciprì e Maresco sono in bianco e nero, e così pure i giudizi su di essi: o li ami o ti disgustano, bianco o nero. Difficile trovare una via di mezzo.
Totò che visse due volte è composto da tre episodi: il primo racconta l'esistenza miserabile di Paletta, segnata dalle persecuzioni dei compaesani e dalla frustrazione sessuale; il secondo la storia d'amore fra due grotteschi pederasti; il terzo è un'originale rilettura del personaggio di Gesù, che fa risorgere Lazzaro dall'acido in cui un boss mafioso l'aveva fatto sciogliere. Sullo sfondo una Sicilia sprofondata nel degrado, in cui nulla si sottrae allo schifo. Il mondo di Ciprì e Maresco è popolato da un'umanità mostruosa, ridotta alle proprie pulsioni elementari e capace di soddisfarle soltanto in modo perverso (le uniche donne presenti sono vecchie o prostitute, e per giunta interpretate da uomini). Non c'è personaggio che non sia squallido, e non c'è inquadratura, non c'è dialogo, non c'è gioco di luce (semplicemente magistrale la fotografia) che non sottolinei impietosamente lo squallore, amplificandolo e distorcendolo fino alla farsa. Un'umanità così perduta che anche il Gesù-Totò, profeta quanto mai riluttante, dispera di poterla redimere. Un Gesù che rifiuta ai fedeli il Discorso della Montagna perché non c'è spazio per alcuna beatitudine, non c'è riscatto possibile. Gli ultimi resteranno gli ultimi. Anche restituire la vita è un'impresa ridicola, se la vita è irrimediabilmente sfigurata.
Un film estremo, e allo stesso tempo innocente nella sua oscenità (un esempio per tutti: la sequenza rallentata in cui lo scemo del villaggio si accoppia con la statua della Vergine), che regala alcune scene memorabili a chi apprezza lo stile eterodosso degli autori. Per tutti gli altri può essere difficile da digerire. Ma bastano i primi cinque minuti per capire a quale categoria si appartiene.
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