minnie
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martedì 11 maggio 2010
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folgorante
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Facendo ricorso ad un’innovativa formula narrativa che rinuncia alla parola per affidarsi al linguaggio universale delle immagini, Angelus Hiroshimae esprime in maniera avvincente e folgorante lo strazio interiore che corrode la tormentata esistenza di un padre a causa della tragica scomparsa del figlio, reso magistralmente da Franco Nero, probabilmente alla sua prova più intensa e matura. Attingendo un po’ al Lynch di “Mulholland Drive”, un po’ al Fellini di “Tre passi nel delirio”, molto a “La vida es sueño” di Pedro Calderón de La Barca, il film scritto, prodotto e diretto da Giancarlo Planta rappresenta la dolorosa catarsi del protagonista che attraverso una serie di percorsi sensoriali e visivi conducono lo spettatore in un labirinto minato da continue trappole narrative e illuminato da rivelazioni improvvise, capaci ad ogni inquadratura di sconvolgere percezioni abitualmente collaudate e introdurlo in quel mondo a parte - il sogno appunto - metafisico, trascendente, popolato di nebbie e di presenze concretamente surreali.
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Facendo ricorso ad un’innovativa formula narrativa che rinuncia alla parola per affidarsi al linguaggio universale delle immagini, Angelus Hiroshimae esprime in maniera avvincente e folgorante lo strazio interiore che corrode la tormentata esistenza di un padre a causa della tragica scomparsa del figlio, reso magistralmente da Franco Nero, probabilmente alla sua prova più intensa e matura. Attingendo un po’ al Lynch di “Mulholland Drive”, un po’ al Fellini di “Tre passi nel delirio”, molto a “La vida es sueño” di Pedro Calderón de La Barca, il film scritto, prodotto e diretto da Giancarlo Planta rappresenta la dolorosa catarsi del protagonista che attraverso una serie di percorsi sensoriali e visivi conducono lo spettatore in un labirinto minato da continue trappole narrative e illuminato da rivelazioni improvvise, capaci ad ogni inquadratura di sconvolgere percezioni abitualmente collaudate e introdurlo in quel mondo a parte - il sogno appunto - metafisico, trascendente, popolato di nebbie e di presenze concretamente surreali. Di straordinaria potenza visiva, davvero inedita nel tranquillizzante offertorio di banalità proposto dall’odierno cinema, italiano e non solo, Angelus Hiroshimae nel buio della sala cinematografica riesce ad incatenare lo spettatore ed insieme a liberarlo dall’equivoco che quando vi si reca di solito lo nutre, ovvero: sto per assistere ad un film o a teatro filmato? Planta questo dubbio l’ha sciolto e ce ne offre un saggio di alta scuola.
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zubolina
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lunedì 10 maggio 2010
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innovativo
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Un passaggio onirico intriso di vissuti dolorosi ed elaborazioni fantasmatiche restituisce il senso della vita ad un padre angosciato dalla prematura perdita del proprio figlio. Il film di Planta, volutamente non delimitato dalle parole e arricchito dalle molteplici manifestazione del parlamento interiore del protagonista, un medico tormentato dalle troppe domande rimaste senza risposta prima che fatalmente scadesse ogni tempo utile per una conciliazione col figlio.
La scelta artistica dall’autore da luogo ad una forma di rappresentazione innovativa quanto sperimentale. Una nuova concezione e ancora unica rappresentazione di un linguaggio cinematografico che attraverso la frantumazione d’ogni assetto usuale tempo/immagine/parola rende possibile azioni usualmente affidate nella settima arte a esplicazioni guidanti e comunque rispettose dei canoni più o meno usuali della drammaturgia.
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Un passaggio onirico intriso di vissuti dolorosi ed elaborazioni fantasmatiche restituisce il senso della vita ad un padre angosciato dalla prematura perdita del proprio figlio. Il film di Planta, volutamente non delimitato dalle parole e arricchito dalle molteplici manifestazione del parlamento interiore del protagonista, un medico tormentato dalle troppe domande rimaste senza risposta prima che fatalmente scadesse ogni tempo utile per una conciliazione col figlio.
La scelta artistica dall’autore da luogo ad una forma di rappresentazione innovativa quanto sperimentale. Una nuova concezione e ancora unica rappresentazione di un linguaggio cinematografico che attraverso la frantumazione d’ogni assetto usuale tempo/immagine/parola rende possibile azioni usualmente affidate nella settima arte a esplicazioni guidanti e comunque rispettose dei canoni più o meno usuali della drammaturgia.
La definizione dello strano Essere, capace di dare l’impressione di una sua possibile auto-generazione, sgombera ogni dubbio su quella che si sarebbe potuta interpretare come possibile contaminazione di una iconografia classica. Un’iconografia a cui oramai l’inconscio fa riferimento nella strutturazione della religiosità.
Ciò rende possibile azioni forti e risolutorie, altrimenti non affidabili ad una religiosità che dal confronto esce rafforzata.
Un film quasi leggenda che lascia ampi spazi alla interpretazione e alla riflessione.
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minnie
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giovedì 6 maggio 2010
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folgorante
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Facendo ricorso ad un’innovativa formula narrativa che rinuncia alla parola per affidarsi al linguaggio universale delle immagini, Angelus Hiroshimae esprime in maniera avvincente e folgorante lo strazio interiore che corrode la tormentata esistenza di un padre a causa della tragica scomparsa del figlio, reso magistralmente da Franco Nero, probabilmente alla sua prova più intensa e matura.
Attingendo un po’ al Lynch di “Mulholland Drive”, un po’ al Fellini di “Tre passi nel delirio”, molto a “La vida es sueño” di Pedro Calderón de La Barca, il film scritto, prodotto e diretto da Giancarlo Planta rappresenta la dolorosa catarsi del protagonista che attraverso una serie di percorsi sensoriali e visivi conducono lo spettatore in un labirinto minato da continue trappole narrative e illuminato da rivelazioni improvvise, capaci ad ogni inquadratura di sconvolgere percezioni abitualmente collaudate e introdurlo in quel mondo a parte - il sogno appunto - metafisico, trascendente, popolato di nebbie e di presenze concretamente surreali.
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Facendo ricorso ad un’innovativa formula narrativa che rinuncia alla parola per affidarsi al linguaggio universale delle immagini, Angelus Hiroshimae esprime in maniera avvincente e folgorante lo strazio interiore che corrode la tormentata esistenza di un padre a causa della tragica scomparsa del figlio, reso magistralmente da Franco Nero, probabilmente alla sua prova più intensa e matura.
Attingendo un po’ al Lynch di “Mulholland Drive”, un po’ al Fellini di “Tre passi nel delirio”, molto a “La vida es sueño” di Pedro Calderón de La Barca, il film scritto, prodotto e diretto da Giancarlo Planta rappresenta la dolorosa catarsi del protagonista che attraverso una serie di percorsi sensoriali e visivi conducono lo spettatore in un labirinto minato da continue trappole narrative e illuminato da rivelazioni improvvise, capaci ad ogni inquadratura di sconvolgere percezioni abitualmente collaudate e introdurlo in quel mondo a parte - il sogno appunto - metafisico, trascendente, popolato di nebbie e di presenze concretamente surreali.
Di straordinaria potenza visiva, davvero inedita nel tranquillizzante offertorio di banalità proposto dall’odierno cinema, italiano e non solo, Angelus Hiroshimae nel buio della sala cinematografica riesce ad incatenare lo spettatore ed insieme a liberarlo dall’equivoco che quando vi si reca di solito lo nutre, ovvero: sto per assistere ad un film o a teatro filmato? Planta questo dubbio l’ha sciolto e ce ne offre un saggio di alta scuola.
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federinik
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venerdì 9 aprile 2010
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dimensioni sovraccariche
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Un cacciatore e un angelo. Un angelo che s’imbatte in volo sulla feroce pallottola di un cacciatore che sarà costretto a fare i conti con il proprio passato.
Girato a l’Aquila, prima del terremoto, Angelus Hiroshimae (titolo esplicativo) è il quarto film del regista sardo Giancarlo Planta, e sono trascorsi dodici anni da Onorevoli Detenuti.
Angelus Hiroshimae è un film viscerale come pochi altri. A partire dal volto marmoreo di Franco Nero (a suo dire si tratta del ruolo che ama di più della sua grande carriera internazionale) che scolpisce dolore e pietà nei confronti di questa creatura abbattuta, in possesso di due grandi ali pelose, e di un corpo candido come quello di un angelo, piovuto però dal cielo di Hiroshima (e il giovane volto androgino è dell’esordiente Kyojiro Ikeda).
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Un cacciatore e un angelo. Un angelo che s’imbatte in volo sulla feroce pallottola di un cacciatore che sarà costretto a fare i conti con il proprio passato.
Girato a l’Aquila, prima del terremoto, Angelus Hiroshimae (titolo esplicativo) è il quarto film del regista sardo Giancarlo Planta, e sono trascorsi dodici anni da Onorevoli Detenuti.
Angelus Hiroshimae è un film viscerale come pochi altri. A partire dal volto marmoreo di Franco Nero (a suo dire si tratta del ruolo che ama di più della sua grande carriera internazionale) che scolpisce dolore e pietà nei confronti di questa creatura abbattuta, in possesso di due grandi ali pelose, e di un corpo candido come quello di un angelo, piovuto però dal cielo di Hiroshima (e il giovane volto androgino è dell’esordiente Kyojiro Ikeda).
Film muto, le uniche parole pronunciate nel corso del film sono latte e vino, le sole cose di cui si nutre l’angelo giapponese. L’opera audio-visiva, nel suo incanalarsi costante da un mondo all’altro, si presta a molteplici interpretazioni. Innanzitutto, Angelus Hiroshimae è cinema per immagini, e lo è nella forma che gli è più consona, quella di film-limite (da questo punto di vista solo Lynch ha avuto il coraggio dirompente di sorpassare quella rassicurante soglia da plot canonico, con il suo immenso Inland Empire, opera per immagini che riassume tutto il suo cinema andando anche oltre). Film-limite per il semplice motivo che è un divenire in crescendo che si fa beffe di ogni sorta di tentativo di normalizzazione. Si parte dall’incredulità di un bizzarro ritrovamento per passare ad allucinazioni e incubi che sembrano reali. Sembra davvero di stare in un mondo a parte, gli scenari sono di una claustrofobia e di una agorafobia allo stesso tempo, straordinari. Film-limite anche perché dà l’idea di un’opera che è ancora da definirsi nella sua complessità, ripeto audio-visiva, in quanto siamo di fronte ad un film che è veramente un’opera, costellata di immagini inscindibili con i suoni in crescendo ed i rumori assordanti che colpiscono la mente del pubblico. Ogni avvenimento si fonde e confonde con il successivo, in un affastellarsi di suggestioni emotive che stordiscono le membra, fino a farle tremare, come l’angelo stesso in una scena del film.
Film che gode tra l’altro di contributi tecnici di una certa fama e d’ispirazione sempre in linea con le corde autoriali, come quello delle musiche di Ennio Morricone, la scenografia di Gianni Quaranta e la fotografia di Gelsini Torresi. Il tutto amalgamato in un montaggio particolarmente elaborato, dove le sfumature e le dissolvenze incrociate, particolarmente lente, assumono la forma di un sogno nel sogno che è del resto la vita stessa.
Cosa ha fatto Planta di così innovativo oggi?. Ha fuso il minimalismo di una storia praticamente a due che il più delle volte finisce per essere teatralizzata fino al midollo, con l’alterità di uno spazio-tempo che non ha distinguo perché il cinema si nutre di follia.
Quegli scenari, quei punti infinitesimali, anticipano paradossalmente una tragedia che di lì a poco si sarebbe abbattuta negli stessi luoghi dell’anima, dove il respiro del vento e della quiete di chi ne è alla vana ricerca, cessano di soffiare per fermarsi col tempo, nella sua inafferrabilità suggellata da orologi di diversa grandezza.
Opera-Film di assenze e presenze così pesanti da rendere muti, col tempo, sempre presente, inesorabilmente.
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[+] vuoto pneumatico
(di nicoghisa)
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[+] il regista che colleziona "fiaschi"
(di uragano)
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