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Here è un film/sfida incentrato su un’idea che cerca di coniugare tecnica, stile e cuore.
Inquadratura fissa in cui si alternano vicende che coprono un arco temporale di milioni di anni, dal mesozoico al giorno d’oggi.
Zemeckis si autocita spesso, a partire da una scelta attoriale fondante: i protagonisti sono Tom Hanks e Robin Wright di Forrest Gump, che tornano ad accompagnarci lungo la storia americana non più “di corsa” ma immobilizzati nel totale fisso di un salotto.
Sono loro, certo, ma opportunamente de-aged per la maggior parte del tempo, perché c’era bisogno proprio di loro e allora la tecnologia ci soccorre.
Quella dei coniugi Young è la vicenda principale alla quale se ne alternano altre invero non molto organiche o significanti.
Here ci vuole anche emozionare alla vecchia maniera, si concentra sulla vita di Richard e Margaret in un crescendo emotivo che culmina con l’espediente/ricatto dell’alzheimer, con un dialogo finale che però sa di troppo costruito, intenzionale e meccanico, oltre che prevedibile, per emozionare davvero, accompagnato dall’ipotetico corrispettivo relativo/emotivo linguistico, ossia il primo, unico e ultimo movimento di macchina del film, a mostrare un controcampo negato che però non svela niente di particolare o decisivo.
Lode a Zemeckis che cerca sempre e comunque di fare qualcosa di interessante, nuovo e rilevante a più livelli. L’idea/sfida, però, stavolta è realizzata in modo molto freddo e controllato eppure poco organico (le storie collaterali lasciano spesso indifferenti e sembrano esserci solo perché devono esserci) e anche poco rigoroso, essendo in parte contraddetta da una preannunciata svolta melodrammatica finale.
Il risultato della sommatoria delle sue parti è che Here non è abbastanza “sperimentale”, non è abbastanza “tradizionale”, non è abbastanza “freddo” e non è abbastanza “caldo”.
Here è un po’ di tutto, ma finisce per essere non abbastanza.
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