''CODA'' (Child of Deaf Adults, letteralmente: bambino in una famiglia di non udenti) è un interessante racconto di formazione e di emancipazione ottimamente strutturato, che fa della sordità una parentesi essenziale per contemplare l''essenza del silenzio e riflettere sul concetto stesso della vera comunicazione. ''CODA'' ha dalla sua una storia riflessiva e toccante, l''attenzione nei confronti di persone non rappresentate dal cinema mainstream (la comunità dei non udenti), un messaggio ispiratore, un cast adorabile, un''ambientazione tipica, un dialogo diretto col pubblico, e offre una fiducia nei legami familiari (anche quando rischiano di diventare un ostacolo al percorso di affermazione individuale), l''importanza di inseguire i propri sogni, e soprattutto tanto calore sentimentale e speranza. La godibile trama coinvolge per la curiosità di scoprire quale strada la giovane protagonista sceglierà di percorre – in bilico tra il mondo domestico, isolato e privo di suoni dei suoi cari e quello esterno persino troppo caotico e rumoroso; tra i doveri familiari e il diritto a realizzare i propri sogni. La sceneggiatrice e regista Sian Heder, attraverso il suo sguardo preciso ed empatico nel modulare umorismo e serietà, in sintonia con i bisogni e i limiti del paese profondo, riesce non solo a reinterpretare con efficacia e sensibilità "La famiglia Bélier" di Éric Lartigau (pellicola francese del 2014 di cui questo film è il remake), ma anche a ben evidenziare il senso ultimo dell''opera: ricongiungere l''universo del mondo dei segni con quello dei suoni, collegare due universi apparentemente separati; e questo sia al livello narrativo che simbolico. La famiglia Rossi saprà aprirsi al mondo esterno, solo riconoscendo i propri limiti di giudizio oltre quelli fisici, e tendendo la mano verso una figlia che deve seguire la propria strada: il desiderio di Ruby non è altro che comunicare, comunicare non soltanto con la lingua dei segni nei confronti di chi non può cogliere le sonorità, ma anche col dono del proprio talento creando emozioni e trasmettendo ciò che di autentico e intenso si nasconde in un cuore appassionato e determinato. Il fulcro centrale e tematico di questa pellicola è allora la riflessione allegorica sul concetto di vera sordità. La sordità intesa come mancanza di ascolto, soprattutto nei confronti di sé stessi e di chi ci è attorno... Insomma, una bella pellicola che scalda il cuore e che merita sia la visione, sia i molti riconoscimenti che ha ricevuto, tra cui i premi Oscar più importanti (3 statuette su 3 nomination): miglior Film dell''anno, miglior Attore non protagonista (Troy Kotsur) e miglior Sceneggiatura non originale (Sian Heder). CURIOSITÀ: insieme a ''Grand Hotel'' nel 1932, ''Gigi'' nel 1959 e ''Il Signore degli Anelli: Il ritorno del Re'' nel 2004, è tra i pochi film a ottenere tutti i premi ai quali era candidato. Ed è il secondo remake USA a vincere l''Oscar per il Miglior Film dopo ''The Departed'' di Martin Scorsese. Kotsur è il secondo interprete e il primo uomo sordo a ricevere un Oscar nella storia dell''Academy. La prima interprete e la prima donna sorda è stata invece l''attrice Marlee Matlin, presente in questo film nel ruolo della madre di Ruby. Gli attori principali de ''I segni del cuore'' sono tutti sordi (Marlee Matlin, Troy Kotsur e Daniel Durant), mentre ovviamente non lo è la protagonista Ruby, interpretata da Emilia Jones. Altri attori sordi sono la maggior parte membri del Deaf West Theatre.
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