Alla mia piccola Sama

Un film di Waad Al-Khateab, Edward Watts. Con Jasmine Trinca, Waad Al-Khateab, Sama Al-Khateab, Hamza Al-Khateab.
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Titolo originale For Sama. Documentario, Ratings: Kids+13, durata 100 min. - Gran Bretagna 2019. - Wanted uscita giovedì 13 febbraio 2020. MYMONETRO Alla mia piccola Sama * * * * - valutazione media: 4,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

(S)ama Valutazione 4 stelle su cinque

di Rossella Romano


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martedì 24 novembre 2020

Cielo. Quello che traduce il nome di Sama e quello che ogni giorno assume un colore e un odore diversi, che annuncia disfatta o allegria per un momento, un istante, gioioso.

Non ho mai visto Aleppo ma se volessi ricordarla e memorizzarla attraverso le immagini di questa lettera, fermerei nella mente il suo aspetto 'sabbioso', il suo essere perennemente impolverata come una stanza che pulisci ma, che, subito dopo è come prima se non più sporca. Questo perchè i bombardamenti non si mettono in fila, non aspettano il loro turno e, così, mentre permane nelle orecchie l'eco dell'ultima bomba, arriva la polvere di quella dopo e di quella ancora dopo.

Non sono queste le cose di cui si dovrebbe stare attenti, o di cui aver paura, dalle quali i genitori ti mettono in guardia come nel caso di Waad al-Kateab, non sono questi i rumori con cui abituarsi a vivere. Ma forse proprio quando non si vorrebbe (e dovrebbe), si è costretti a prendere consapevolezza della realtà, di quanto dolore ci sia intorno e di quanto sia meglio abituarsi il prima possibile per mettere quella corazza sul cuore e sugli occhi che permette di cogliere, in tutte quelle macerie umane e sociali, uno spiraglio di speranza. E la speranza di tutti è proprio Sama, quel cielo diverso. Quel cielo che fa capire cosa vuol dire stare veramente attenti adesso che bisogna esserlo non solo più per sè stessi.

La speranza è il filo conduttore di questo lascito, e anche gli spostamenti e i movimenti non la dimenticano mai: Sama, infatti, viene portata ovunque, abituata a qualsiasi cosa, trascinata sullo sfondo di scenari orribili quasi come portafortuna e come quel cassetto da aprire ogni tanto per ricordare le cose belle e quello che ci aspetta nel futuro.

I bambini come lei nascono e crescono con una musica di sottofondo surreale: i rumori delle granate di ferro fanno da sfondo ad ogni attività e diventano, surrealmente, la normalità. E così si ride in uno scantinato per proteggersi dai bombardamenti, si gioca abbassando una mascherina che protegge il viso e si continua a filmare per non dimenticare e per non far dimenticare.

Questo sceglie di fare la regista e protagonista: sceglie quali ricordi lasciarle e sceglie per la figlia ancora prima di capire come lottare lei stessa, inserendola in un mondo in cui, forse, se si fosse potuto scegliere, nessuno sarebbe voluto essere detentore di quei ricordi mentali e sonori, di quelle bombe come il ticchettio di un orologio.

Così si telefona ai parenti lontani con il sottofondo musicale non di un film ma di una quotidiana paura a cui non si fa quasi più caso, piuttosto è diventato un fastidio dovuto alle interferenze e ai rumori che impediscono di far arrivare chiari i pensieri dall'altra parte. Si raccontano conquiste, si trasmette una finta serenità, si confidano paure ma anche certezze che mentre escono con voci fioche rassicuarano gli altri, ma tranquillizzano anche noi.

In tutto questo combattere non per una guerra in cui si impugnano le armi, ma per la vita che ancora deve svilupparsi, ci si rende conto che si è rinunciato a tutto: chi aveva progettato di studiare architettura, chi medicina, chi economia, si ritrova unito nello stesso percorso che è quello che porterà a salvare più ideali che persone. Un percorso apparentemente non scelto, in cui ci si è ritrovati ma che risulterà la vera scelta fatta fin dall'inizio che non trova rimpianti o rimorsi, nessun guardarsi indietro ma solo propensione verso il futuro, visto attraverso gli occhi di chi ancora non ha scelto ma che detiene e offre la vera speranza.

E mentre si corre in avanti, rimane sempre qualcuno indietro che, forse, viene sacrificato per ricordarci dove stiamo andando e perchè: "perdere le persone amate, ha reso ancora più importante continuare a lottare". Non che serva il sacrificio di qualcuno per ricordarlo, ma, mentre si arresta la corsa di alcuni, si dà un senso a quello che succede e chi rimane aggiunge un carico di responsabilià nel lottare, per tutti quelli che non possono più farlo.

In questa corsa sfocata, il 'cielo' sembra prevedere e accomapganare la quotidianità dei protagonisti e plasmarsi a loro piacimento: dona colori sereni quando si uniscono i percorsi di vita di Waad e di Hamza e regala notti tranquille quando i canti e i battiti coraggiosi di chi lotta coraggiosamente coprono i rumori dei bombardamenti, quasi a significare che la vita e la voglia di vivere con la lotta che si porta dietro vincerà sempre su qualsiasi granata. Questo è quello che guida e dà forza ai due protagonisti, ma, per estensione a tutti gli abitanti sofferenti di Aleppo e, per partecipazione, a tutti noi: un percorso insieme che ha come obiettivo la libertà e quindi la gioia come premio finale.

Le immagini della città si alternano con la cadenza dei continui bombardamenti, sembra quasi un danza orribile che dà il ritmo alla costruzione e alla distruzione senza troppe interruzioni: si costruisce e si demolisce, si tira su e si tira giù. Sembra di trovarsi all'interno di un cantiere dove si parte da zero ogni volta, con un progetto che puntualmente viene disatteso e interrotto da quel frastuono che è come un allarme che ti ricorda che, di nuovo, non puoi proseguire i lavori.

In questa immagine di distruzione i bambini sono i protagonisti, perchè rappresnetano il futuro ma allo stesso tempo l'impossibilità di sceglierlo. Bambini che piangono altri bambini con le lacrime che non trovano spazio in quei visi in cui tutto si mischia come in un impasto: lacrime, fango e sangue. Loro non c'entrano, sono il danno collaterale di una società che vive tutte le consuete emozioni della vita in una atmosfera di gioia, paura e fragilità. I bambini non dovrebbero portare altri bambini in ospedale, eppure lo fanno perchè sono rimasti solo loro. Ma anche perchè ormai sono bambini adulti, che, come quegli adulti, scelgono con le lacrime di non andarsene da tutto quello che odiano ma che li fa sentire responsabili, portatori di fiducia, di speranza che quando tutto potrà essere ricostruito loro saranno li, pronti.

In questo senso i genitori danno l'esempio: "i genitori ottimisti crescono bambini ottimisti". Questo ottimismo viene tradotto nella volontà di rimanere per non dare l'idea di essere egoisti, di volere una vita serena scappando dagli orrori lasciati dietro. Il grido che si sente è che si può e si deve essere felici ma che questo è possibile solo attraverso la resilienza e la lotta. E, in una socità come la nostra, dove la lotta è abbandonata, dove chi lotta è compatito, questo è il messaggio che bisogna portarsi dietro gelosamente e che bisogna tramandare in maniera generosa: la vera felicità si raggiumge solo se si ha lottato per essa, quando si sentono i segni sulla pelle di una soddisfazione raggiunta e sudata, è una guerra, diversa, ma pur sempre guerra.

Questo bisogna insegnare ai bambini, futuri adulti e questo è quello che imparano, pur non volendo, i bambini di Aleppo. Ci si chiede se, potendoli incontrare, a separarci nel comprenderci, sia solo il contesto, la lingua, la realtà diversa. Perchè dovremmo parlare con loro nei termini che usano più comunemente: fanno il bagno in piscine di fango, parlano di bombe a grappolo come se fosse l'ultimo gioco uscito quando noi, quasi, ci copriamo gli occhi per non guardare dove andrà a far danno. Noi viviamo in una società in cui dobbiamo solo scegliere quale delivery attendere a casa, recensire con quanta velocità ci è stato consegnato tutto e, nel caso, continuare a scegliere quello. Ad Aleppo si studia con la pancia che reclama e ci si ricorda che "non si risolvono equazioni con lo stomaco vuoto".

Di fronte a tutto questo Waad ti porta nell'unica strada in cui si incanale anche lei, quella che ti fa domandare: ha senso venire al mondo a queste condizioni? Ti lascia l'incognita della risposta ma nemmeno per troppo: nella scena in cui fanno nascere con parto cesareo un bambino che sembra morto ti assale un pò di ansia ma anche serenità nel pensare che si sta evitando tutto quel rumore costante di bombe che persiste anche mentre nasce. Ma, mentre ti fai cullare da questo pensiero, il momento subito dopo, quando senti quel fragoroso pianto, ti rendi conto che il tuo cuore voleva questo: una nuova nascita e una madre che rimane in vita per godersela. Allora torna il vero senso che dobbiamo dare alla vita e non quel sentimento negativo dovuto a quello che ci circonda: il miracolo della vita avviene a prescindere da noi, a prescindere dalle brutture che questo mondo gli riserverà, e menomale. Così assume senso lo slogan sulla maglietta di Hamza.."BORN TO WIN"! Non siamo fatti per sopportare le perdite, anche se le accettiamo.

Questo forte senso di nascita è più forte dei bombardamenti, della distruzione degli ospedali che sono simbolo di quelle vite. Perchè quella della nascita, è una forza che spinge più della guerra, più dell'odio, più di tutto e per questo avviene ovunque, non sceglie dove ma sceglie di facrela. E, quando ce la fa, dà vita anche a tutti quelli che di vivere non ce la fanno più, ma che ricordano quano sia importante combattere perchè non possiamo decidere di non lottare più, quando nasciamo non è più una decisoine contemplata non lottare. Questa è la lotta che decidono di fare Waad e Hamza fin dall'inizio, per loro, per Sama e per tutta la collettività ma che iniettano acnhe in ognuno di noi.

E' vero, il colore del film è il rosso, il rosso del sangue. Forse dovrebbe essere il bianco il colore predominante, il colore del latte delle madri che, a volte, hanno ancora il latte ma non più figli a cui darlo. Come dice dalla sua telecamera Waad, "a volte si piange sangue", quello degli altri che ci si ritrova addosso per averli pianti e quello personale per le ferite contratte senza nemmeno sentirne più il dolore.

Sama cresce e ride (perchè ride sempre come dovrebbe essere) in questa realtà dove si usano i resti delle bombe per riscaldarsi e dove le scene di normalità e serenità aprono sempre il sipario a qualcosa di negativo e tragico: i continui "saluti di addio alle persone con cui si è fatto questo viaggio di scelte che sono peggio della morte", perchè "non è il luogo che conta, sono le sue persone", commenta il marito, mentre gli scende una lacrima in rappresentanza di tutte quelle trattenute.

La scelta di andare via non è mai facile ma non lo è sopratutto se la si fa perchè non si ha scelta. Bisognerebbe sempre poter scegliere. E così si sceglie solo la strada che porterà ad una altra lotta per la felicità, con una pianta che, come Sama, crescerà lontana da Aleppo e con una nuova motivazione che da vita alle vite: un'altra Sama!

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