lucio di loreto
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sabato 28 dicembre 2019
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fuga dalla normalità
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La vita comune di una giovane mamma e moglie viene rivisitata da Dominic Savage in maniera claustrofobica e intimistica, rimarcando la (forse) prima crisi psicologica di Tara, improvvisamente delusa, stanca e satura della dura routine quotidiana. Con dei meravigliosi primi piani parlanti il regista aiuta la bravura di Gemma Arterton a sottolineare le difficoltà di ogni donna a vivere la normalità, fatta di cura della casa, assistenza continua ai figli e soddisfazione quotidiana verso il marito, unico e ottimamente remunerato del gruppo, da appagare e accontentare perciò in ogni situazione, da una costante attività sessuale alla comprensione affettiva dopo giornate stressanti, fino alle riunioni amicali di gruppo, davanti a carne alla brace e bicchieri di vino bianco.
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La vita comune di una giovane mamma e moglie viene rivisitata da Dominic Savage in maniera claustrofobica e intimistica, rimarcando la (forse) prima crisi psicologica di Tara, improvvisamente delusa, stanca e satura della dura routine quotidiana. Con dei meravigliosi primi piani parlanti il regista aiuta la bravura di Gemma Arterton a sottolineare le difficoltà di ogni donna a vivere la normalità, fatta di cura della casa, assistenza continua ai figli e soddisfazione quotidiana verso il marito, unico e ottimamente remunerato del gruppo, da appagare e accontentare perciò in ogni situazione, da una costante attività sessuale alla comprensione affettiva dopo giornate stressanti, fino alle riunioni amicali di gruppo, davanti a carne alla brace e bicchieri di vino bianco. Il regista offre un perentorio spaccato di crisi coniugale ma soltanto da un lato, chiudendo a chiave dentro al cassetto una sceneggiatura bipartisan e lasciando al consorte una veste vaga e costernata nel momento di intuire i nuovi e pericolosi processi interiori della consorte, dando al soggetto del film un primo colpo al ribasso. E’ voluta ma risulta infatti surreale la dimenticanza di allacciare la clamorosa infelicità di Gemma/Tara, unita alla reazione caustica ma meravigliata dell’uomo, a un passato fatto magari di vecchie ruggini e incomprensioni come violenza, fisica o verbale, di Mark stesso, un altresì valido Dominic Cooper, oppure all’estraneità erotica o morale tra i due, racchiudendo invece il tutto ad un’inattitudine a rapportarsi coi propri bimbi o con la società ad essa limitrofa, trascurando di chiarire e sfiorando a malapena ognuno di questi aspetti. L’altra omissione, consequenziale alla precedente, avviene nel dare alla donna un’immagine quasi primitiva e lontana dalla modernità attuale dell’universo femminile, fatto di relazioni umane anche telefoniche, mediatiche nonché tecnologiche, raffigurandola come un essere impaurito ed insicuro, al quale però basta una passeggiata a Londra e la scoperta degli arazzi per fare bagagli e abbandonare l’intera famiglia alla ricerca dell’arte parigina, trovando pure una (sgradevole) notte d’amore clandestina. Il regista fa questa scelta per schierarsi univocamente da una parte, riuscendo quindi nell’impresa di dare la giusta portata di tormento a chi troppo spesso non riceve la legittimità del ruolo che riveste, soprattutto da chi le è più vicino e lo ha vissuto prima di lei, che senza carpirne la devastazione d’animo, le consiglia di continuare e superare il momento, attendendo crescita dei figli e consolandosi col bel conto in banca familiare. Tara conquista con la sua dolcezza allorquando dimostra di aver ritrovato serenità e felicità e una fotografia che si accende improvvisamente negli esterni francesi aiuta non poco, al pari della saggezza di donna matura che accorre in suo aiuto. La fuga serve dunque per riscoprire un mondo perduto e da qualcuno (?) oscurato, recuperare identità e ripartire da capo, pronta a riavviare la propria esistenza come era stata lasciata, mettendo stavolta anche l’io al centro dell’universo.
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fabio
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domenica 28 aprile 2019
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adatto ad un pubblico femminile
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senz'altro un buon film piu', indicato piu' per una donna, un maschietto rischia di annoiarsi...
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mattosc
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martedì 7 agosto 2018
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sopravvalutato, secondo me
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Film noioso, squilibrato, con un regista che malamente cerca le inquadrature alla Truffaut (sul viso di lei) e alla Godard (sulla camminata di lei); con una spruzzatina di Lars von trier con la camera in movimento. Ma Savage proprio non è Truffaut o Godard o Lars von Trier. I gesti tecnici rimangono freddi, estetizzanti, privi di emozione. La storia si sviluppa in modo squilibrato perché troppo tempo è dedicato alla quotidianità, a mostrare in maniera ripetitiva, quasi ossessiva la monotonia e la frustrazione, oltre all'ansia della protagonista. Dalla fuga in poi il film precipita in una superficialità e in una banalità disarmanti, senza alcun approfondimento del personaggio di lei, ma anche del marito o della persona incontrata per caso a Parigi (un fotografo) e senza sviluppo delle situazioni, buttate lì quasi frettolosamente.
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Film noioso, squilibrato, con un regista che malamente cerca le inquadrature alla Truffaut (sul viso di lei) e alla Godard (sulla camminata di lei); con una spruzzatina di Lars von trier con la camera in movimento. Ma Savage proprio non è Truffaut o Godard o Lars von Trier. I gesti tecnici rimangono freddi, estetizzanti, privi di emozione. La storia si sviluppa in modo squilibrato perché troppo tempo è dedicato alla quotidianità, a mostrare in maniera ripetitiva, quasi ossessiva la monotonia e la frustrazione, oltre all'ansia della protagonista. Dalla fuga in poi il film precipita in una superficialità e in una banalità disarmanti, senza alcun approfondimento del personaggio di lei, ma anche del marito o della persona incontrata per caso a Parigi (un fotografo) e senza sviluppo delle situazioni, buttate lì quasi frettolosamente. E lo spettatore resta lì senza capire che cosa passi per la testa alla protagonista, senza che il suo personaggio venga sviluppato. Un film inutile e noiosissimo.
Mattia Toscani
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giovannamaria
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venerdì 29 giugno 2018
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quando mancano le parole
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Ma di che ti lamenti? esprime molto bene la mancanza di uno spazio riflessivo, di pensiero, in questo tempo in cui tutto è azione, risultato, profitto. Quando manca la possibilità di uno spazio elaborativo interno, dove "cucinare" gli ingredienti del malessere, perchè non ci sono gli attrezzi, le risorse, per dare un nome alle cose e legarle tra di loro... La mancanza di cultura appiattisce tutto sulla reazione immediata, precipitosa, che non conduce a effetive ed efficaci trasformazioni. Mi piace molto la notazione che in quella casa non c'è un libro, non ci sono nemmeno, ci sono molto poco, i nomi delle persone, e c'è un frammento, delizioso, in cui lui nel leggere la rivista d'arte che lei ha portato da Londra, questa sconosciuta, (la rivista d'arte), inciampa nella lettura di una parola a cui è poco avvezzo.
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Ma di che ti lamenti? esprime molto bene la mancanza di uno spazio riflessivo, di pensiero, in questo tempo in cui tutto è azione, risultato, profitto. Quando manca la possibilità di uno spazio elaborativo interno, dove "cucinare" gli ingredienti del malessere, perchè non ci sono gli attrezzi, le risorse, per dare un nome alle cose e legarle tra di loro... La mancanza di cultura appiattisce tutto sulla reazione immediata, precipitosa, che non conduce a effetive ed efficaci trasformazioni. Mi piace molto la notazione che in quella casa non c'è un libro, non ci sono nemmeno, ci sono molto poco, i nomi delle persone, e c'è un frammento, delizioso, in cui lui nel leggere la rivista d'arte che lei ha portato da Londra, questa sconosciuta, (la rivista d'arte), inciampa nella lettura di una parola a cui è poco avvezzo..
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flyanto
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giovedì 28 giugno 2018
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il coraggio di una donna
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“The Escape” del regista britannico Dominic Savage, come si evince dal titolo stesso, è un film che parla di una fuga e, precisamente, di quella della protagonista (Gemma Arterton) da un matrimonio ormai finito. Ella è una donna sposata ad un uomo che la ama, che provvede a mantenere la famiglia in una certa agiatezza ed amorevole con i loro due bambini, ma la protagonista avverte ugualmente un senso di insoddisfazione che cresce giorno per giorno per la sua vita dedita esclusivamente alla cura dei propri cari e della casa. Ella vorrebbe di più o, meglio, vorrebbe dedicarsi a qualcosa che la appassioni come, per esempio, il disegno od un'altra attività artistica, che la soddisfacesse maggiormente di quelle uniche di consorte e mamma, e più rispondente direttamente alle proprie inclinazioni naturali di donna.
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“The Escape” del regista britannico Dominic Savage, come si evince dal titolo stesso, è un film che parla di una fuga e, precisamente, di quella della protagonista (Gemma Arterton) da un matrimonio ormai finito. Ella è una donna sposata ad un uomo che la ama, che provvede a mantenere la famiglia in una certa agiatezza ed amorevole con i loro due bambini, ma la protagonista avverte ugualmente un senso di insoddisfazione che cresce giorno per giorno per la sua vita dedita esclusivamente alla cura dei propri cari e della casa. Ella vorrebbe di più o, meglio, vorrebbe dedicarsi a qualcosa che la appassioni come, per esempio, il disegno od un'altra attività artistica, che la soddisfacesse maggiormente di quelle uniche di consorte e mamma, e più rispondente direttamente alle proprie inclinazioni naturali di donna. In conclusione, la donna desidererebbe una vita intellettualmente più stimolante di quella routinaria e casalinga che invece svolge. Pur avendo una certa comprensione e sostegno da parte del marito in queste sue innocenti aspirazioni, la donna giunge ugualmente ad un tale esaurimento nervoso, rasente quasi addirittura la depressione, che un giorno, in seguito anche ad un litigio col consorte, decide di fuggire a Parigi ed allontanarsi così per il momento dall’opprimente ambiente familiare. Questa sua breve fuga, le sarà estremamente utile al fine per prendere delle decisioni importanti sulla sua vita futura.
Con questo intenso dramma familiare, Dominic Savage firma una pellicola ben precisa e quanto mai realistica sulle crisi matrimoniali e soprattutto sullo stato di insoddisfazione che molte donne, purtroppo, vivono e mal sopportano, sentendosi come in una prigione, all’interno della loro famiglia. Il regista prende in esame principalmente il menage matrimoniale di una coppia ma il senso di insoddisfazione, di mancata realizzazione personale e, dunque, di completa inutilità ed infelicità, può essere esteso anche alla condizione femminile delle donne in generale anche non sposate. In “The Escape”, dunque, Savage presenta la suddetta problematica all’interno di un ambiente familiare con l’intento appunto di dimostrare che, nonostante l’affetto sincero dei propri cari ed una condizione economica e sociale agiata, l’insoddisfazione personale, quando si verifica, fa ugualmente soffrire un individuo a tal punto che, sospeso ogni giudizio morale, si rende assolutamente necessario trovare il coraggio di compiere una svolta definitiva nella propria triste esistenza. Solo così si può raggiungere la propria realizzazione personale e la conseguente felicità sia pure pagando il caro prezzo delle dolorose scelte e delle eventuali conseguenze.
Con una regia nitida e rigorosa, Savage riesce ben a centrare e presentare la tematica da lui affrontata, con un’analisi profonda e sensibile che scandaglia la problematica da ogni punto di vista. Inoltre, a ciò si aggiunge l’ottima interpretazione della bella Gemma Arterton nella parte della protagonista, che ben riesce ad esprimere e comunicare il suo senso di frustrazione, di dolorosa e crescente sofferenza, i suoi dubbi, insomma, il suo malessere fisico e soprattutto psicologico, comunicando una sensazione di claustrofobia interiore anche direttamente allo spettatore in sala.
Del tutto consigliabile, ma non allegro.
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nicola
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domenica 24 giugno 2018
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ma di che ti lamenti?
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MA DI CHE TI LAMENTI?
Una bella famiglia, un marito amorevole che non le fa mancare nulla grazie a un lavoro di tutto rispetto, due bei bambini, una casa decorosa con backgarden nella periferia londinese, due macchine, un barbecue con gli amici nel fine settimana, dove lei è ancora più triste del solito. Che cosa manca alla bellissima protagonista del film „Escape“ che potrebbe renderla una donna soddisfatta? Non si sa.
Non lo sa. E quanto più il marito la riempie di amore e di attenzioni tanto più lei sprofonda in una tristezza senza limiti. Fino a soggiacere vittima di violenti attacchi di panico. E’ chiaramente depressa, forse quell‘amore e quella passione che il marito le manifesta ad ogni pie‘ sospinto la soffocano ancora di più.
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MA DI CHE TI LAMENTI?
Una bella famiglia, un marito amorevole che non le fa mancare nulla grazie a un lavoro di tutto rispetto, due bei bambini, una casa decorosa con backgarden nella periferia londinese, due macchine, un barbecue con gli amici nel fine settimana, dove lei è ancora più triste del solito. Che cosa manca alla bellissima protagonista del film „Escape“ che potrebbe renderla una donna soddisfatta? Non si sa.
Non lo sa. E quanto più il marito la riempie di amore e di attenzioni tanto più lei sprofonda in una tristezza senza limiti. Fino a soggiacere vittima di violenti attacchi di panico. E’ chiaramente depressa, forse quell‘amore e quella passione che il marito le manifesta ad ogni pie‘ sospinto la soffocano ancora di più. Ha bisogno di aria, di nuova vita. Di dissotterrare il suo desiderio e di vederlo realizzato nell‘aperto mondo.
La sua casa è una decorosa ma tristissima casa in uno dei paesini dormitori intorno a Londra. Una casa senza libri. Mancano solo i nanetti nel giardino. “In città non c’è aria ma si respira“ diceva Toni Morrison. Questo lei non può saperlo perché non è una che legge. Ciononostante istintivamente riesce un giorno a raggiungere Londra - attacchi di panico permettendo - un giorno che i suoi bambini sono all‘asilo e il marito al lavoro. Una giornata fantastica per lei. Il turning Point della sua vita.
Dopo aver assaporato il piacere della libertà con tutti i suoi sensi, è evidente che non può più bastarle la sua angusta routine. Il ritorno a casa. La morte dell‘anima. E così quando in preda alla disperazione verserà il latte sul tavolo della colazione comprenderà che oltre non può andare. Fugge via (Escape) lasciando marito e figli nella loro disperazione, una disperazione di segno diverso dalla sua, un dolore atroce di chi non comprende.
Parigi è la vita, il recupero improvviso dell’eros. Un miracolo. Quello che le mancava. La consapevolezza di aver un desiderio. Ma non dura molto. Quando scoprirà che l‘uomo che ha incontrato nel suo vagabondaggio e col quale ha trascorso un’appagante notte d‘amore, è sposato e ha un figlio, ha una stranissima reazione. Lei che ha appena abbandonato due bambini e un marito mostra ripulsa per l‘uomo e gli ingiunge di andar via. Lei che ha appena lasciato la famiglia... Un comportamento apparentemente assurdo. Un evidente rispecchiamento. Disprezza l‘altro per disprezzare se stessa. Ostaggio di un senso di colpa incommensurabile rischia di distruggersi del tutto. Non è rimasto nulla di quel alito di vita che l’aveva portata a Parigi. Non una considerazione sull’accaduto. Nessuna presa di coscienza di quello inaspettato svelamento del suo mondo interno. Nessuna elaborazione di quello squarcio improvviso nella sua vita. Ritorna a casa, contro tutte le aspettative, e riprende pari pari la sua routine. Riprendono puntuali i suoi attacchi di panico. Sconcerto negli sparuti spettatori del film. Peste e corna su Dominic Savage, il regista.
Ma che film è? Dove succedono delle cose e poi si torna al punto di partenza. Ma che storia è una storia dove i personaggi non si evolvono? Che storia è una storia che non racconta. È proprio qui la peculiarità di questo film. Una storia che non può raccontare perché la generazione a cui appartengono i protagonisti (trent’anni lei-trentacinque lui) non hanno le parole per dirlo, per raccontare il loro disagio. È una generazione senza cultura e quindi senza possibilità di elaborazione del loro vissuto. Ecco cos’è questo film. Una denuncia della miseria culturale in cui sono cadute le nostre ultime generazioni. Un gran bel film. Nicola Corrado
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