veritasxxx
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martedì 28 ottobre 2014
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buenos aires diventa cool
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Gustavo Taretto, alla sua prima prova registica e da sceneggiatore, sviluppa in formato esteso il soggetto di un cortometraggio da lui realizzato nel 2005 e ci racconta la storia di due solitudini in una Buenos Aires dalla crescita incontrollata e disordinata come le vite dei protagonisti. Lui programmatore web depresso e agorafobico (Javier Drolas, già visto nel corto originale), lei vetrinista per sopravvivenza con la fobia degli ascensori. La storia della cinematografia degli esordi è costellata di storie di personaggi buffi e con le idee poco chiare riguardo al loro futuro. Grazie a Dio perlomeno non sono i soliti americani con le loro smanie di riscatto sociale e tutti concentrati su se stessi e sulla scuola serale per ottenere quel pezzo di carta che gli aprirà le porte del successo.
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Gustavo Taretto, alla sua prima prova registica e da sceneggiatore, sviluppa in formato esteso il soggetto di un cortometraggio da lui realizzato nel 2005 e ci racconta la storia di due solitudini in una Buenos Aires dalla crescita incontrollata e disordinata come le vite dei protagonisti. Lui programmatore web depresso e agorafobico (Javier Drolas, già visto nel corto originale), lei vetrinista per sopravvivenza con la fobia degli ascensori. La storia della cinematografia degli esordi è costellata di storie di personaggi buffi e con le idee poco chiare riguardo al loro futuro. Grazie a Dio perlomeno non sono i soliti americani con le loro smanie di riscatto sociale e tutti concentrati su se stessi e sulla scuola serale per ottenere quel pezzo di carta che gli aprirà le porte del successo. Ma gli argentini sono più simili a noi europei, pure con i loro governi traballanti e i disastri economici all'ordine del giorno, e con noi condividono le ansie e le inquietitudini del terzo millennio. E si innamorano, per qualche strano motivo, anche quando pensano che nessuno si potrà mai dedicare a loro pieni come sono di paure e di incertezze. Quale miglior modo per superare l'ansia che innamorarsi, ricetta più sana e ben più economica di overdosi di antidepressivi?
La vera protagonista del film è in realtà la capitale Argentina che pullula di vita nei suoi grattacieli, nei bistrot, nelle piscine comunali e nella cui folla si nasconde Wally, perso tra un milione di altri volti indistinti, e di cui la protagonista cerca le tracce nel suo libro preferito e nella vita reale tra incontri sbagliati e le nevrosi di turno. Alla "generazione 1000 euro" piace sentirsi rappresentata in maniera tanto poetica, visto che oggi c'è ben poco da stare allegri riguardo a sicurezza sociale e garanzia dei diritti. Meglio allora isolarsi dal mondo, collegarsi alla rete e sperare che arrivi la bella vicina di casa a sorprenderci e a cambiarci la vita, perchè nessun altro lo farà di certo.
Medianeras è un piccolo gioiellino indipendente, che farà sorridere tanti trentenni con lavori precari che si rispecchieranno come gocce d'acqua nei due attori principali, e che dimostra che piccole brillanti idee sono più efficaci di cast colossali o di effetti speciali stratosferici. Vamos Gustavo!
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flyanto
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lunedì 6 ottobre 2014
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la solitudine e le nevrosi in una grande città
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Film che racconta lo stanco trascinarsi delle giornate di due giovani, un uomo ed una donna, peraltro nevrotici, i quali vivono in solitudine dopo essere stati entrambi abbandonati sentimentalmente. Dopo tanto smarrimento essi riusciranno finalmente a reagire ed a trovare se stessi, pronti per una nuova storia d'amore.
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Film che racconta lo stanco trascinarsi delle giornate di due giovani, un uomo ed una donna, peraltro nevrotici, i quali vivono in solitudine dopo essere stati entrambi abbandonati sentimentalmente. Dopo tanto smarrimento essi riusciranno finalmente a reagire ed a trovare se stessi, pronti per una nuova storia d'amore.
Quest'opera prima di Gustavo Taretto, a noi oggi finalmente e fortunatamente giunta, è stata girata nel 2011 ed ha giustamente vinto il premio come miglior film al Gramado Fil m Festival. Essa è una pellicola molto ben girata, originale nella sua rappresentazione e dotata di una brillante e concisa sceneggiatura ed una bella fotografia che illustra una Buenos Aires insolita e, probabilmente, poco conosciuta, se non ai residenti. Il regista affronta, presentando la vicenda parallela dei due protagonisti, il tema della solitudine e delle nevrosi di cui soffrono purtroppo ormai la maggior parte degli individui della società contemporanea e come residenti soprattutto di grandi e popolose città che più che unire, contribuiscono a dividere gli esserei umani, che comunicano ormai solo attraverso Internet. E Taretto affronta queste tematiche non in maniera altamente drammatica ma con molta sensibilità, mista a note malinconiche, non prive però di un pizzico di sottile ironia che serve a stemperare l'atmosfera del film ed a non renderlo pesante e deprimente.
Molto ben scelti tutti gli attori che interpretano i vari personaggi, scelta con accuratezza pure la colonna sonora e molto interessante e suggestiva la presentazione verbale iniziale attraverso cui il regista descrive la città di Buenos Aires: un insolito sguardo sui palazzi cittadini in concomitanza allo stato d'animo ed alla condizione dei suoi abitanti.
Un piccolo gioiello per un pubblico d'elite però.
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stefano capasso
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venerdì 13 febbraio 2015
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l'importanza dei sogni
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Martin e Mariana vivono a Buenos Aires in quei monolocali chiamati “scatola di scarpe”. Web designer lui, architetto (“che non ha mai progettato nulla”) lei vivono appieno le nevrosi e la solitudine dell’era moderna caratterizzata dalla crisi economica e dalla presenza massiccia di internet. Vivono in due edifici adiacenti, si incrociano più volte, dal vivo e in chat, condividono abitudini ed emozioni eppure non si incontrano mai. Entrambi collezionano incontri poco significativi che alimentano il loro senso di solitudine e la loro frustrazione. Fin quando un giorno Mariana, affacciata dal decimo piano della sua abitazione, riconosce Martin perché indossa la stessa maglia di Wally, il personaggio che lei continuamente cerca nella folla sterminata del disegno che rappresenta il suo gioco preferito.
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Martin e Mariana vivono a Buenos Aires in quei monolocali chiamati “scatola di scarpe”. Web designer lui, architetto (“che non ha mai progettato nulla”) lei vivono appieno le nevrosi e la solitudine dell’era moderna caratterizzata dalla crisi economica e dalla presenza massiccia di internet. Vivono in due edifici adiacenti, si incrociano più volte, dal vivo e in chat, condividono abitudini ed emozioni eppure non si incontrano mai. Entrambi collezionano incontri poco significativi che alimentano il loro senso di solitudine e la loro frustrazione. Fin quando un giorno Mariana, affacciata dal decimo piano della sua abitazione, riconosce Martin perché indossa la stessa maglia di Wally, il personaggio che lei continuamente cerca nella folla sterminata del disegno che rappresenta il suo gioco preferito. E comincia la loro storia d’amore.
Un bel film questa opera prima di Gustavo Tavetto. Semplice nella narrazione, nella scenografia e nella messa in scena eppure capace di interessare e rendere partecipi alle vicende di questi due ragazzi, che sono quelle comuni a tutti nei nostri giorni. Interessante il parallelo che propone sulle contraddizione dell’urbanistica e dell’architettura della città e quella degli essere umani, che di questo caos sono in realtà vittime. Quello che emerge è che tra tante opportunità tecnologiche e culturali che la società offre oggi, ciò che rende possibile il cambiamento è la capacità di conservare i sogni, quelli “di carta”, quelli che ci accompagnano nella nostra esistenza. Cosi Mariana può incontrare Martin: quando lui risponde a quell’immagine che lei ha sempre coltivato nei suoi giochi.
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andrea alesci
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martedì 9 febbraio 2016
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la vita oltre quelle pareti cieche
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Siamo tutti in cerca di un ordine. Di un’architettura che renda sopportabili le nostre oscurità, antidoto al caos urbano di città sregolate come Buenos Aires. Di una “città dell’aria buona” che in realtà opprime chi ci abita, stritolandone le più deboli cellule nel suo accumulo caotico di edifici l’uno accanto all’altro.
Gustavo Taretto ci porta nel cuore di questo disordine, e lo fa con la storia di due giovani solitudini, ciascuna incapsulata nel proprio appartamento-scatola-di-scarpe e avvolta da una pellicola di fobie: il web designer Martin (Javier Drolas) e l’aspirante-architetto-allestitrice-di-vetrine Mariana (Pilar López de Ayala).
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Siamo tutti in cerca di un ordine. Di un’architettura che renda sopportabili le nostre oscurità, antidoto al caos urbano di città sregolate come Buenos Aires. Di una “città dell’aria buona” che in realtà opprime chi ci abita, stritolandone le più deboli cellule nel suo accumulo caotico di edifici l’uno accanto all’altro.
Gustavo Taretto ci porta nel cuore di questo disordine, e lo fa con la storia di due giovani solitudini, ciascuna incapsulata nel proprio appartamento-scatola-di-scarpe e avvolta da una pellicola di fobie: il web designer Martin (Javier Drolas) e l’aspirante-architetto-allestitrice-di-vetrine Mariana (Pilar López de Ayala). Due solitudini che si raccontano in prima persona, che passano in rassegna le proprie vite come spettatori attoniti di uno spettacolo in sfacelo; due ragazzi che vivono nel medesimo palazzo, che scopriremo condividere gli stessi bisogni di luce, ma che riescono soltanto a sfiorarsi (emblematica la scena che li vede incrociarsi per strada come due elfi incappucciati).
Per via del suo lavoro, Martin vive iperconnesso allo schermo del computer, della sua relazione con una ragazza statunitense gli è rimasto soltanto un cane (Susù) e per ritrovare contatto con la realtà segue il consiglio del suo psicoterapeuta di uscire e fotografare la città, cogliendo ogni forma di bellezza anche dove sembra non esista e facendo dell’osservazione un modo diverso di ‘esserci’. Quel modo di guardare attraverso l’obiettivo di una camera fotografica che è retroterra del regista argentino e che sin dall’inizio capiamo essere la cifra stilistica del suo modo di raccontare.
Un approccio che trasforma ogni sequenza in un’illuminante diapositiva, facendo del film una collazione di istantanee che si imprime sulle nostre retine con tutte le irregolarità estetiche ed etiche di una Buenos Aires composta dalle perverse costruzioni di architetti e impresari edili. E di una vita metropolitana moderna legata da cavi che promettono di connettere ogni edificio, ma che nelle riprese di Taretto diventano ferite nelle campiture azzurre del cielo, legacci che provvedono a mantenere ogni solitudine costretta nel proprio isolamento.
Le giuste dosi di ironia e malinconia si impastano come il calcestruzzo dei grattacieli di Buenos Aires nel film di Gustavo Taretto, inquadrando le imperfezioni, le manie, le fobie di Martin e Mariana. Di chi (Martin) cerca una vita oltre le pareti della sua casa, aspirando a quella metà che può dare senso al suo sbattere continuo negli spigoli di un’esistenza sigillata. Di chi (Mariana) non vuole più curare le levigate (in)consistenze dei manichini che popolano le vetrine della città, di chi cerca disperatamente il suo Wally, sperando che il personaggio creato dall’illustratore Handford esca dalle pagine del libro per farsi vero nelle contorsioni della realtà.
Così, ci addentriamo in un’opera che ci immette in un disordine urbanistico come imprinting di un vivere cittadino che ha sviluppato la cultura dell’inquilino. Di chi sta ma non abita. Di chi occupa ma non vive. Di chi solo aprendo un squarcio nelle pareti laterali che separano un edificio dall’altro (medianeras) può trovare la luce oltre il proprio orizzonte cieco, lo spiraglio non convenzionale che può cambiare verso alla propria vita e dare una prospettiva nuova sul futuro. Quello di Martin e Mariana, che superano l’angoscia esistenziale di sapersi perduti nella città, incontrandosi infine inaspettatamente come nella più straordinaria delle favole.
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andrea alesci
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martedì 9 febbraio 2016
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la vita oltre quelle pareti cieche
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Siamo tutti in cerca di un ordine. Di un’architettura che renda sopportabili le nostre oscurità, antidoto al caos urbano di città sregolate come Buenos Aires. Di una “città dell’aria buona” che in realtà opprime chi ci abita, stritolandone le più deboli cellule nel suo accumulo caotico di edifici l’uno accanto all’altro.
Gustavo Taretto ci porta nel cuore di questo disordine, e lo fa con la storia di due giovani solitudini, ciascuna incapsulata nel proprio appartamento-scatola-di-scarpe e avvolta da una pellicola di fobie: il web designer Martin (Javier Drolas) e l’aspirante-architetto-allestitrice-di-vetrine Mariana (Pilar López de Ayala).
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Siamo tutti in cerca di un ordine. Di un’architettura che renda sopportabili le nostre oscurità, antidoto al caos urbano di città sregolate come Buenos Aires. Di una “città dell’aria buona” che in realtà opprime chi ci abita, stritolandone le più deboli cellule nel suo accumulo caotico di edifici l’uno accanto all’altro.
Gustavo Taretto ci porta nel cuore di questo disordine, e lo fa con la storia di due giovani solitudini, ciascuna incapsulata nel proprio appartamento-scatola-di-scarpe e avvolta da una pellicola di fobie: il web designer Martin (Javier Drolas) e l’aspirante-architetto-allestitrice-di-vetrine Mariana (Pilar López de Ayala). Due solitudini che si raccontano in prima persona, che passano in rassegna le proprie vite come spettatori attoniti di uno spettacolo in sfacelo; due ragazzi che vivono nel medesimo palazzo, che scopriremo condividere gli stessi bisogni di luce, ma che riescono soltanto a sfiorarsi (emblematica la scena che li vede incrociarsi per strada come due elfi incappucciati).
Per via del suo lavoro, Martin vive iperconnesso allo schermo del computer, della sua relazione con una ragazza statunitense gli è rimasto soltanto un cane (Susù) e per ritrovare contatto con la realtà segue il consiglio del suo psicoterapeuta di uscire e fotografare la città, cogliendo ogni forma di bellezza anche dove sembra non esista e facendo dell’osservazione un modo diverso di ‘esserci’. Quel modo di guardare attraverso l’obiettivo di una camera fotografica che è retroterra del regista argentino e che sin dall’inizio capiamo essere la cifra stilistica del suo modo di raccontare.
Un approccio che trasforma ogni sequenza in un’illuminante diapositiva, facendo del film una collazione di istantanee che si imprime sulle nostre retine con tutte le irregolarità estetiche ed etiche di una Buenos Aires composta dalle perverse costruzioni di architetti e impresari edili. E di una vita metropolitana moderna legata da cavi che promettono di connettere ogni edificio, ma che nelle riprese di Taretto diventano ferite nelle campiture azzurre del cielo, legacci che provvedono a mantenere ogni solitudine costretta nel proprio isolamento.
Le giuste dosi di ironia e malinconia si impastano come il calcestruzzo dei grattacieli di Buenos Aires nel film di Gustavo Taretto, inquadrando le imperfezioni, le manie, le fobie di Martin e Mariana. Di chi (Martin) cerca una vita oltre le pareti della sua casa, aspirando a quella metà che può dare senso al suo sbattere continuo negli spigoli di un’esistenza sigillata. Di chi (Mariana) non vuole più curare le levigate (in)consistenze dei manichini che popolano le vetrine della città, di chi cerca disperatamente il suo Wally, sperando che il personaggio creato dall’illustratore Handford esca dalle pagine del libro per farsi vero nelle contorsioni della realtà.
Così, ci addentriamo in un’opera che ci immette in un disordine urbanistico come imprinting di un vivere cittadino che ha sviluppato la cultura dell’inquilino. Di chi sta ma non abita. Di chi occupa ma non vive. Di chi solo aprendo un squarcio nelle pareti laterali che separano un edificio dall’altro (medianeras) può trovare la luce oltre il proprio orizzonte cieco, lo spiraglio non convenzionale che può cambiare verso alla propria vita e dare una prospettiva nuova sul futuro. Quello di Martin e Mariana, che superano l’angoscia esistenziale di sapersi perduti nella città, incontrandosi infine inaspettatamente come nella più straordinaria delle favole.
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