AE FOND KISS
Avevamo letto di Un bacio appassionato, l’ultimo film di Ken Loach, come di una commedia sentimentale, che poteva, pertanto, concludersi con l’usuale formula che corona spesso le favole, in cui i protagonistivissero felici e contenti.
Questa pellicola del regista inglese tratta, in primo luogo, della difficoltà dei rapporti fra le differenti generazioni di una famiglia pakistana inserita nella comunità scozzese di Glasgow. La trama è molto lineare e in buona parte - per quanto appena detto - simile a quella di numerosi altri film: si può forse già parlare di un vero e proprio filone? East is East, Aspettando Beckam, Il mio grosso grasso matrimonio greco, La sposa turca, sono solo alcuni degli altri titoli che ne farebbero parte.
Similmente a quanto accade nelle storie appena indicate, poi, il contatto fra le differenti culture, quella ospitata e quella ospitante, crea una lacerazione insostenibile, nel primo gruppo, fra gli anziani - essi vorrebbero mantenere intatti usi, costumi e tradizioni della loro terra d’origine, estraniandosi perciò il più possibile dal nuovo flusso in cui si sono venuti ad inserire - e la seconda generazione, i giovani che, invece, capiscono inevitabile, e preferiscono comunque operare, una sintesi fra quelle differenti forme.
In Un bacio appassionato, tuttavia, assume rilevanza altrettanto pregnante il tema della difficoltà dell’integrazione fra le differenti etnie. Se all’inizio del film vediamo Tahara, la sorella minore del protagonista Casim (Atta Yakub), che viene offesa ed è oggetto di scherno da parte dei compagni di classe, il vero dramma nasce nel momento in cui Casim s’innamora di Roisin (Eva Birthistle), locale insegnante di musica all’interno della stessa scuola, e fra i due nasce una relazione. È questo un incidente non contemplabile per i fondamentalisti di entrambe le sponde.
Ken Loach non tradisce, nemmeno in questo caso, la sua natura di regista impegnato nel campo politico e sociale e, con grande onestà intellettuale e lucida equidistanza, lancia il suo j’accuse in tutte le direzioni. Se, da una parte, questo amore sarà ostacolato in ogni maniera all’interno della comunità pakistana, che non accetta il rischio di scardinare il processo di conservazione della cultura e religione mussulmane, dall’altra le gerarchie cattoliche negheranno a Roisin una sorta di certificato di buona condotta richiestole dalla scuola in cui lavora. A dire il vero, in quest’ultimo episodio il rifiuto non appare propriamente motivato dalla differenza di culto dei due amanti; bisogna ad ogni modo calarsi nella realtà di un integralismo religioso occidentale che vede sempre più minato il suo potere dal laicismo e che, pertanto, potrebbe non vedere di buon occhio un suo ulteriore indebolimento ad opera di elementi esogeni.
L’andamento del film è, non di rado, drammatico e le situazioni che contrastano la relazione di Casim e Roisin sono vere, espresse con vigore e coerenza, e questo ci fa rifiutare la categoria di sentimentale applicata alla storia. Soprattutto ci ha convinti il modo in cui il regista ha trattato l’argomento: egli non ha esitato a mettersi in gioco, rischiando la sua reputazione di cineasta volto alla tematica del sociale, facendolo però con una contaminazione coerente, non da tutti apprezzata o compresa.
Il finale, poi, se non si può propriamente definire un coup de théâtre, potrà destare la sorpresa di molti.
Enzo Vignoli,
6 marzo 2005.
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