VOCI NEL TEMPO (Italia, 1996) diretto da Franco Piavoli
Di quest’opera il compianto, bravissimo Tullio Kezich scrisse: «Un invito a rallentare il ritmo, a sintonizzare il nostro respiro su quello delle cose. Vorremmo che Voci nel tempo diventasse una visita d’obbligo per tutti colori che ogni tanto avvertono il disagio della vita che fugge, senza lasciarci il tempo di guardarla in faccia». È infatti un pregevolissimo film sulle stagioni della vita, i giochi dei bambini, gli stupori e i turbamenti dell’adolescenza, le generazioni che s’avvicendano, dall’infanzia alla vecchiaia. Girato nella cittadina mantovana di Castellaro, questo straordinario film-saggio non s’adatta alla forma narrativa né sceglie la secchezza del documentario, ma si affida semplicemente alle immagini alquanto più esplicative, ai suoni e alle voci indistinte. Ideale continuazione de Il pianeta azzurro (1982) che ha per tema l’uomo anziché la natura, un ulteriore esempio di cinema polifonico senza un intreccio né tantomeno una battuta di dialogo, quasi senza musica esclusa quella interna all’azione. A Castellaro scorrono i periodi dell’anno, dalla primavera all’inverno, e questo pacato svolgimento va in parallelo con il filo biologico dell’esistenza umana, da quando si è giovani a quando si è anziani. Privo di personaggi, girato con gli abitanti del borgo lombardo, è intessuto di microstorie e ricco di emozioni, spesso compiute in un primo piano, un gesto. Detiene quali suoi temi il fluire delle cose e il corso del tempo, entrambi senza termine. Quando giunge l’inverno, nuovi pargoli son pronti a giocare su un laghetto gelato; accanto a loro, i vecchi osservano e li guidano per mano. Una pellicola fuori dal mucchio in tutti i sensi che si rivolge preferibilmente a spettatori che abbiano la pazienza del cuore, l’attenzione dell’orecchio, l’acutezza dell’occhio. È una di quelle non-storie che non arrivano in modo diretto alla comprensione immediata proprio perché respingono la struttura scontata a priori, e dunque il pubblico può meglio apprezzarlo analizzandolo nei dettagli singoli, ciascuno meraviglioso, che lo creano fino ad elevarlo a pietra miliare. Una pietra miliare semmai in ombra nell’universo movimentato e caotico del cinema italiano, ma pur sempre un gioiello di ammirevole poesia da non perdere per nessun motivo. Contro la velocità che pervade gli ambienti odierni (la loro ripetitività meccanica e la loro implacabile spinta verso la spersonalizzazione) e a favore della riscoperta di piccoli, genuini valori che, al contrario delle realtà monumentali dell’industria e del capitalismo, sono destinate a governare la Terra per sempre, diventando quei principi fondamentali cui gli esseri umani si dovrebbero conformare per beneficiare di una serenità che sta scomparendo con conseguenze sempre più preoccupanti. Nella rappresentazione della Natura che Piavoli descrive dosando con minuzia ombre e luci, la spiritualità troneggia incontrastata sull’edonismo.
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