Roberto Nepoti
La Repubblica
C'è molto amore nel documentario Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno, presentato all'ultima Mostra di Venezia e ora sugli schermi di prima visione. È un amore che traspare dal modo in cui sono accostati i materiali di repertorio, dalla colonna sonora malinconica, dalla struggente nostalgia che Laura Betti prova e che intende trasmettere allo spettatore, riuscendo a trovare più di un momento di poesia in forma di cinema. Ma c'è anche molta lucidità, la lucidità di un profeta che ci annunciò con largo anticipo, e con l'acre consapevolezza di non poterlo evitare, quel che stava per capitarci: la trasformazione antropologica del cittadino in consumatore, l'omologazione culturale, la produzione e l'acquisto di beni superflui, lo sviluppo senza il progresso. Per tutto ciò è largamente motivato il titolo, che convoca i termini di "ragione" e "sogno", contro il sonno della ragione venuto a contaminarci con la società delle merci, quella in cui viviamo. Di Pasolini, soprattutto, Laura Betti vuole far emergere la generosità umana e intellettuale, senza scolpirgli il monumento ma lasciando - ogni volta che può - parlare lui in prima persona, nei vecchi fotogrammi in bianco e nero che ci restituiscono la sua immagine nervosa, risentita e stranamente quieta, senza soluzione di continuità. Con una sola eccezione per Paolo Volponi, la regista ricorre poco, invece, alle testimonianze degli amici del poeta. Alla voce pasoliniana preferisce affiancare materiali di repertorio rari (come la sequenza in cui Pasolini fa il ritratto a Ezra Pound) o brani dei suoi film (Da Accattone a La ricotta e Che cosa sono le nuvole?, dal Vangelo secondo Matteo al Decameron), ricordandocila motivazione della scelta pasoliniana di fare cinema perché "rappresenta direttamente la vita e la sua poesia".
Da La Repubblica, 8 ottobre 2001
di Roberto Nepoti, 8 ottobre 2001