Totò contro il pirata Nero

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Il pirata di... San Giovanni a Teduccio! Valutazione 3 stelle su cinque

di parpignol


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martedì 24 dicembre 2013

Terzo ed ultimo film della trilogia parodistica del bravo Fernando Cerchio il quale dà prova di buone capacità nel dettare i tempi della regia e rendere al meglio le trovate scenografiche da inserire nei suoi lavori. Dei tre forse non è il migliore, ma può comunque essere considerato un buon film, per un'epoca in cui le parodie erano viste come intrattenimento senza pretese e senza possibilità di séguiti (a differenza dei tempi moderni in cui le parodie sono sempre molto apprezzate e godono -anche quelle che non dovrebbero- di numerosi capitoli successivi). La regia, si diceva, è intelligente, il montaggio è pulito e la qualità del complesso ci regala bei colori (sempre prediletti dal Cerchio lungimirante abbastanza per sapere che il bianco e nero era da considerarsi sorpassato già da un decennio) resi ancora più belli da dei costumi di scena e contesti degne di un film d'ambientazione di gran classe. Se, quindi, tecnicamente si fa tanto di cappello a questo regista, meglio poteva e doveva essere scelto -o impiegato- il cast per motivi di opportunità. Totò giganteggia nei panni inusuali di pirata, e dà un bel ceffone morale a quanti all'epoca -o ancor oggi- lo avrebbero considerato troppo anziano per un ruolo così dinamico: è un pirata fumettoso, disegnato e programmato con la concettualità che poteva avere uno sceneggiatore degli anni '60, quindi si parla di un bucaniere che tira di spada con uno stocco palesemente giocattolo, che butta a mare i soldati spagnoli, o che arringa la ciurma con una severità che non ha. Ci manca quasi che le pistole tirino fuori la bandierina con scritto "BANG" sopra, e poi si potrebbe iniziare a fare qualche rimostranza, pur nella considerazione che si tratta di una parodia zuzzurellona fatta con poco investimento e poche pretese (e qui ribadisco "purtroppo" poiché la regia, come detto, era inconsapevolmente lungimirante rispetto ad altre coeve). Se Totò deve essere fumettoso, allora lui ci riesce, e lo fa benissimo, muovendosi liberamente in un set che fa sognare lo spettatore (giovane e non): da ladruncolo diventa il vice del Pirata Nero, e ne veste bene i panni, così come altrettanto bene veste i panni del finto nobile al ricevimento del Governatore. Tira fuori le sue migliori battute, i suoi giochi di parole ed alcune trovate surreali che non sono da sottovalutare, se si vuole raffrontare questo film ad altri comico-demenziali contemporanei o moderni. Ad esempio: Totò arpeggia con le sbarre della cella: una scena che per il temperamento del pubblico dell'epoca poteva lasciare perplesso o far storcere il naso, oggigiorno strappa ben volentieri un sorriso, ad un pubblico abituato a vedere demenzialità anche più iperboliche, secondo il gusto moderno. Totò, comunque, primeggia ma in tutto questo rimane da solo per una serie di sfortune: Mario Petri, tenore prestato al cinema per il suo fisico piazzato, alza troppo la voce (eh be', è un tenore, direte voi...) ma anche se idealmente è giusto che il Pirata Nero abbia un vocione, di fatto ciò intimidisce non poco Totò, e gli nega di duettare per bene, smorzandogli le battute. Aldo Giuffré è una spalla che in questo film non convince accanto a Totò (con cui pure aveva lavorato spesso): è evasivo, confusionario, (troppo) tontolone. Giuffré sembra l'unico a non calarsi nella parte, a non divertirsi in quel ruolo bislacco di pirata. Mario Castellani invece è un credibilissimo pirata-cuoco che potrebbe benissimo stare nella ciurma di Pirati dei Caraibi: fenomenale con la sua trasandatezza, il suo uncino e la sua calamita affezionata! Castellani, però, è relegato in un ruolo di second'ordine, e questo è male, perché sarebbe stato il solito grande coppio per Totò. Giacomo Furia pure se la cava bene ma non brilla: lo si perdona perché recitava con la febbre. In definitiva un film comico-parodia degno di nota, ma che sarebbe potuto essere molto migliore con alcuni accorgimenti nella scelta dei ruoli e una trama un po' più studiata che non si limitasse a "raccontare una storiella" ma andasse a sviluppare meglio i personaggi spingendo lo spettatore ad apprezzarli singolarmente perché gli ingredienti c'erano tutti.

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