Il cuore grande delle ragazze

Non amo Pupi Avati. Il motivo è perché fa troppi film: almeno 2/3 all’anno. È un esempio di cinema industrializzato, di fabbrica del cinema. Suo fratello produce e lui gira. Meccanismi produttivi fin troppo collaudati: sponsor, finanziamenti statali grazie alle solite raccomandazioni italiane, incassi. Fare un film significa raccontare un esigenza: significa maturare delle emozioni per poi trascriverle in pellicola. E per far questo è essenziale far passare del tempo, osservare il mondo che ci circonda, osservare gli altri. La scrittura e realizzazione di un film deve essere un percorso interno di crescita. Crescita di idee, di sviluppo, di una lenta stagionatura. Avati al contrario produce con i ritmi di una catena di montaggio. Non fa cinema, ma fa prodotti commerciali: da vendere. Perde perciò tutta la sincerità nel raccontare storie che sente. Cerca storie non in base all’esigenze proprie, intime, ma in base a quello che può portargli profitto economico. Avati è un mercenario del cinema. Il modo in cui gira i suoi film è sempre identico e lo è perché non ha periodi di riposo, di stasi, che gli potrebbero permettere di far affluire nella mente metodi e storie diverse. Stesse inquadrature banali: gli attori generalmente sono presi sempre a mezza figura o campo medio, mai un primo piano, nemmeno a parlarne di primissimo piano. Sempre inquadrati di fronte, mai un profilo, mai un’inquadratura dall’alto, di dietro. Nessun rischio. Gira sempre con 2 telecamere, una a campo largo ed una un po’ più stretto, ma sempre sulla stessa linea, per evitare eventuali errori di grammatica cinematografica. I suoi film quindi appaiono scontati, sia nella recitazione, che nello sviluppo, che nella storia. Soffermandoci sugli ultimi suoi film, ci accorgiamo che pur cambiando la storia, in fin dei conti abbiamo l’impressione di assistere ad un unico film, magari ad episodi, in cui gli stessi protagonisti si comportano e parlano tutti alla stessa maniera. È come se l’attore X  e l’attore Y fossero sempre i protagonisti, ma ogni volta sostituendo la maschera. Nonostante tutto questo pensiero negativo nei confronti dell’industria Avati, devo dire che Il cuore grande delle ragazze, è il suo miglior lavoro degli ultimi 10 anni. Il film in questione racchiude almeno 3 sentimenti di elevato pregio che sono: divertimento, commozione e ritmo. Un film per riuscire deve innanzitutto PIACERE al pubblico. Diffido di quei film polpettoni che parlano di temi seri (o severi) di tematiche sociali importanti e che annoiano terribilmente il pubblico. Quando si realizza un film si deve pensare per prima cosa a farlo piacevole. L’aspetto critico, di rilevanza sociale lo si può considerare solo una volta che il film abbia coinvolto il pubblico. Senza coinvolgimento il film è un’opera NON riuscita. Chi vuole fare opere d’arte ha molti sistemi: può fare quadri astratti, sculture incomprensibili, istallazioni di materiali confusamente assemblati insieme….. ma per favore non fate cinema. Se i grandi del Neorealismo italiano facevano opere d’arte, allo stesso tempo raccontavano la vita di quei tempi e lo facevano senza la presunzione di voler fare arte. Facevano film per la gente. Film belli da vedere.
Quindi, quando vedo 3 o 4 stellette date a film assolutamente inguardabili, ma che fanno figo, poiché dalla critica impegnata vengono considerati di grande tematica sociale, mi viene da pensare.