Criticato dai più, l’esordio del regista tedesco è probabilmente il meno “fassbinderiano” dei suoi film.
Qui e là si intravedano frammenti delle tensioni emotive che saranno al centro delle sue opere future, ma in questo film l’atmosfera è completamente raggelata con protagonisti volutamente privi di spessore e portati davanti alla camera con una recitazione monocorde.
Il tema del rapporto uomo-donna e del “triangolo” tornerà sovente nei film successivi, ma in questo esordio Fassbinder si rifà molto più al cinema francese sperimentale in odore di Nouvelle Vague che alle tinte melodrammatiche e allo stile vagamente espressionistico che saranno il suo marchio di fabbrica: allo spettatore viene esplicitamente preclusa ogni partecipazione emotiva alla (esile) trama a causa di salti narrativi acrobatici e di riprese che inquadrano i personaggi come fossero oggetti statici con un montaggio chiamato quasi a “tagliare” i pochi elementi drammatici.
Un Fassbinder giovanissimo che, al suo esordio con un lungometraggio, gioca con alcuni dei suoi miti cinematografici, lasciando trapelare qualche sprazzo del genio che verrà.
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